La chiesa si stava facendo buia. Il sole scendeva dietro le finestre e lasciava affondare l’ambiente nell’oscurità, rischiarata a malapena dalle candele accese e dalla lampada sull’altare.
Marc era in ginocchio sulla pietra fredda del pavimento, in mezzo alla navata, davanti al Crocifisso. Aveva le mani giunte poggiate contro le cosce, il capo chino. Era lì da almeno tre ore, dopo essersi confessato. Espiava la sua colpa con la penitenza, in attesa di poter ricevere l’Eucaristia. O almeno così avrebbe voluto fare.
Invece era lì da un tempo infinito e non riusciva a concentrarsi abbastanza da terminare una preghiera. Troppe cose gli si agitavano nella testa, prima tra tutte il dolore vivo del rimorso, al quale col passare del tempo se n’era aggiunto un altro, più fisico e lancinante.
I muscoli avevano iniziato a fargli male molto presto. La posizione scomoda aveva ravvivato il dolore dei lividi e delle ferite, già riacceso dalla violenta esperienza di quel pomeriggio nella mischia. Marc aveva serrato i denti e cercato di continuare a pregare, ignorando le proteste del corpo, ma ne era stato sempre meno capace man mano che il tempo passava.
Eppure, doveva resistere e cercare almeno di non dimostrarsi indegno anche davanti a quell’altare dov’era venuto a implorare perdono e aiuto. Aveva appena tradito tutte le aspettative del suo tutore, aveva deluso suo padre come il più ingrato dei figli: doveva espiare la sua colpa e voleva farlo rimanendo a pregare per tutta la notte fino al momento del duello. Era il minimo che potesse fare e anche così l’espiazione non sarebbe stata di certo commisurata alla gravità del suo peccato.
Ma il dolore continuava e si faceva sempre più perentorio. Presto, come per beffa, erano arrivati anche i morsi della fame e il subdolo assillo della sete.
Marc irrigidì tutti i muscoli pur di rimanere in atteggiamento penitente davanti all’altare, ma nei suoi pensieri ormai non c’era più posto per la preghiera, solo per il dolore fisico che rubava tutta la sua attenzione e alimentava la rabbia verso se stesso. Il corpo si ribellò e cominciò a tremare per lo sforzo, a dispetto della volontà di resistere. Marc cedette di colpo e si ritrovò seduto sui talloni.
Aveva già esaurito le forze e la capacità di pregare e la notte non era nemmeno iniziata. Era l’ultima sconfitta, quella definitiva. Ora non gli restava che ammettere di essere troppo fragile non solo per essere un bravo figlio e un degno cavaliere, ma anche per poter rimediare alle sue mancanze e guadagnarsi il perdono.
Era sempre stato conscio di avere tanti difetti, ma credeva almeno di essere forte nel fisico e nella volontà. Adesso doveva riconoscere di essere soltanto presuntuoso.
Marc chiuse gli occhi. In silenzio invocò la pietà del cielo sulle sue infinite mancanze.
Qualcuno gli posò le mani sulle spalle. Una presa salda, che lo colse alla sprovvista. Marc rovesciò il capo all’indietro e vide suo padre chino su di lui. Il Falco aveva il viso molto cupo ma non più teso dalla collera. Non disse niente, gli strinse solo le mani sulle spalle per sorreggerlo.
Marc non l’aveva nemmeno sentito arrivare, ma non aveva più motivo di preoccuparsi di essersi lasciato sorprendere in un atteggiamento così vergognoso nella casa del Signore, seduto a terra come un cane randagio. Ormai aveva già mostrato il peggio di sé davanti a suo padre: quella era solo un’ulteriore conferma alla pessima opinione che lui poteva essersi fatto del figlio.
Riportò lentamente lo sguardo sulle candele, mentre si abbandonava con la schiena contro le gambe del genitore. «Non ce la faccio» ammise. «Mi fa male dappertutto. Non riesco a pregare.»
«È ora che tu venga a riposare» disse il Falco.
Marc scosse la testa. «No. Devo, voglio restare qui. A pregare fino all’alba.»
«E con quali forze, se sei sfinito?»
Marc non rispose. Anche da seduto sentiva male attraverso tutto il torace. Le gambe poi, piegate sotto il suo stesso peso, dolevano così tanto da fargli temere di non essere in grado di risollevarsi in piedi.
«Non hai bisogno di una veglia d’armi, sei già cavaliere ormai» osservò il Falco.
«Non è una veglia d’armi ma una penitenza, per tutto ciò che ho fatto» replicò Marc.
Suo padre non disse più niente, ma rimase chino su di lui, tenendogli le spalle. Marc trovò conforto in quel semplice gesto, che non alleviava il rimorso o il dolore fisico ma almeno attenuava la fredda solitudine delle ultime ore. Il Falco era lì e non più a una distanza invalicabile: pur sapendo di non meritare alcun perdono, Marc gli fu grato perché era tornato da lui e gli concedeva almeno la possibilità di parlargli.
«Ti sei confessato?» domandò il Falco dopo un po’.
Marc annuì. «Padre Baptiste mi darà l’Eucaristia domani, prima del giudizio.»
«Allora torneremo domani, prima dell’alba, e riceveremo l’Eucaristia insieme. Adesso verrai con me. Sei diventato cavaliere, ma io sono ancora tuo padre e questa volta mi obbedirai. Non andrai ad affrontare un giudizio senza aver mangiato o dormito. Malconcio e inesperto come sei, parti già fin troppo in svantaggio.»
Una constatazione vera e sensata, come sempre quando a parlare era suo padre. Marc l’accettò senza fiatare. «Non ho nemmeno la forza di pregare per rimediare alle mie mancanze» disse soltanto. «Perché sono così incapace?»
Il Falco fece un sospiro che tradiva la collera ancora viva sotto la calma apparente. «Non sei incapace, ma sei testardo come un mulo e non capisci quando è ora di rinunciare. Anche adesso: ti ostini a restare qui quando non hai la forza per farlo. Credi che sia debolezza arretrare e non sei contento finché non hai sbattuto la testa contro il muro, come uno stupido montone. E quando ti sei fatto male a tutti i costi, ti rimproveri? È peggio ammettere una momentanea debolezza e fermarsi finché si è in tempo o andare avanti comunque verso il disastro? Ti costa così tanto fermarti a riflettere o anche solo a riprendere fiato prima di partire alla carica?»
Marc subì la critica in silenzio, accettandone il tono sempre più duro. «Siete molto arrabbiato con me.»
«Certo che sono arrabbiato. Mio figlio va a rischiare la vita per la sua assurda ostinazione, ignorando tutti i miei ammonimenti e ogni forma di buonsenso. Sono così furioso che ti prenderei a schiaffi, anche se non l’ho mai fatto né ho permesso ad altri di farlo.»
Questa volta fu Marc a sospirare. «Forse avreste dovuto.»
«Sì, forse avrei dovuto. Anche se non credo che sarebbe servito a qualcosa.»
Nella chiesa rimase il silenzio, mentre la luce calava ancora.
«Andiamo» ordinò alla fine il Falco. «Non costringermi a trascinarti di peso fino al tuo letto. Ne sarei ancora capace, come quando ti riportavo in camera da bambino.»
Marc ebbe un sorriso malinconico a quel ricordo, ma poi, quando sentì la mano di suo padre allentare la presa sulla sua spalla, l’afferrò, stringendola forte. «So di non meritare il vostro perdono e non ve lo chiedo, ma vi prego: non lasciatemi andare alla prova senza la vostra benedizione. Se sopravvivrò al giudizio, rinuncerò agli speroni e mi rimetterò alla vostra volontà, qualsiasi cosa vorrete impormi. Michel saprà essere il vostro erede molto meglio di me.»
Il Falco non gli rispose e sottrasse la mano alla stretta. Subito dopo, gli assestò un doloroso scapaccione. Marc trasalì e si voltò. Suo padre lo guardava dall’alto con un’espressione durissima. «Così ti ricorderai meglio dei voti che hai pronunciato oggi, quando il tuo tutore ti ha impartito la collata. Hai giurato di essere un buon cavaliere e mio figlio mantiene gli impegni: non voglio più sentire idiozie riguardo il rinunciare agli speroni o al posto che ti spetta nella famiglia.»
Marc si massaggiò la nuca, in soggezione.
«Come puoi anche solo pensare che io voglia rinnegarti?» continuò il Falco. «Mi conosci così poco da non sapere che ti sorreggerò sempre, a maggior ragione nel momento del pericolo? Per quanto furioso io sia, credi che per questo ti ami di meno?»
Marc trattenne il fiato.
«Non capisci che sono tanto arrabbiato solo perché ho il terrore di perderti?» disse il Falco e Marc riconobbe nella sua voce un timbro diverso dalla semplice collera. «Che cosa vuoi che m’importi di tutto il resto, fosse anche il re di Francia, a paragone con la tua vita?»
Marc si risollevò sulle ginocchia doloranti e gettò le braccia intorno alla vita del Falco, stringendosi a lui. «Padre, non mi perderete, ve lo giuro. Quell’uomo è un assassino e lo dimostrerò con l’aiuto di Nostro Signore. Non gli permetterò di andarsene impunito o di arrecare danno alla nostra famiglia.» In silenzio pregò di riuscire a mantenere davvero quel giuramento, nonostante l’enorme svantaggio che sapeva di avere rispetto al suo nemico.
Il Falco gli circondò le spalle con le braccia. «Che il Signore ti protegga sempre, figlio mio» rispose piano. Subito dopo Marc lo sentì formulare una preghiera sommessa verso l’altare.