Aggrappata alla staccionata, Alex non ce la faceva più a sostenere quella scena orribile. «Aiutatelo!» implorò in un gemito e guardò Ian. Lui era cinereo, irrigidito con le mani serrate sulle travi e gli occhi che non si staccavano dal figlio in difficoltà. Non interveniva perché non poteva farlo.
Nessuno l’aiuterà, pensò Alex, riportando lo sguardo su Marc nella lizza, solo e alla mercé del suo nemico. Era divisa in due tra l’istinto di chiudere gli occhi finché non fosse tutto finito e la coscienza di non poterlo fare. Volente o nolente, doveva assistere fino in fondo, qualunque cosa fosse successa. Non poteva abbandonare Marc da solo. Pregò per lui come non aveva mai fatto in vita sua.
Sigert de Morlhon attaccò ancora una volta con maestria e ferocia. I suoi assalti vennero deviati nei primi istanti, ma poi l’uomo fece un passo incrociato verso sinistra e con la punta della spada mirò alla testa. Marc alzò la spada per parare.
«Non così!» esclamò Ian, rompendo il rigido silenzio mantenuto fino ad allora. Alex tremò fin nel profondo.
Morlhon fece un passo obliquo, a destra, e spinse lo scudo sotto il braccio alzato del suo nemico. Marc si trovò bloccato, scoperto, incapace di attaccare, incapace di proteggersi.
Alex vide Morlhon caricare il braccio per affondare il colpo e seppe con certezza assoluta che sarebbe riuscito a trafiggere Marc infilando la spada nello spazio indifeso sotto il suo scudo.
Urlò di orrore, con tutto il fiato che aveva in gola, ma la sua voce si perse tra le mille che riempirono il cielo.
Fu un attimo.
Marc si spostò di lato, di pochissimo, ma abbastanza per colpire la mano di Morlhon con il bordo dello scudo. L’uomo gridò di sorpresa. Perse la spada. Marc gli sbatté lo scudo in faccia di taglio, con tutta la forza che aveva.
Caddero entrambi, uno sull’altro, il primo stordito, l’altro perdendo l’equilibrio a causa del movimento convulso. Gli scudi finirono nella polvere, Marc però aveva ancora la spada nella mano. Morlhon tentò di sfoderare il pugnale. Marc gli schiacciò il braccio sotto un ginocchio, gli piantò l’altro nel petto e lo tenne a terra con tutto il suo peso. Si risollevò seduto sui talloni e alzò la spada sopra la testa con entrambe le mani, la punta rivolta in basso verso la gola del conte.
La scena sembrò congelarsi. Marc teneva sotto la sua lama il conte di Morlhon, inerme. Nessuno si muoveva più, né nella lizza né tra il pubblico. Alex rimase immobile come gli altri, paralizzata.
Il duello era finito.
Marc aveva vinto.
«Mio Dio, perché ho dubitato della tua giustizia?» sussurrò Ian, tremando.
Alex capì che il giudizio era davvero concluso, che Marc era salvo. Scoppiò a piangere. Quando alzò gli occhi per condividere il suo sollievo con Ian, vide che anche lui si stava riprendendo a fatica dallo spavento. Michel aveva il fiato grosso, come se l’avesse trattenuto fino ad allora. Il meno scosso sembrava il conte di Grandpré.
Ian si voltò verso di lui. «Hai insegnato tu quella mossa a Marc?» domandò, mettendo a stento una parola dietro l’altra.
«Ho avuto un maestro di spada italiano. Ho cercato di trasmettere a Marc i suoi insegnamenti per quanto ho potuto» rispose il conte e anche la sua voce tradì l’emozione.
«Henri, non ti sarò mai grato abbastanza» sospirò Ian, passandosi le mani sul viso.
Alex fu d’accordo con lui fino nel più profondo del cuore.
Nella lizza, Marc sentiva i polmoni, ogni muscolo bruciare per lo sforzo. Impiegò tempo per capire davvero che il nemico non poteva più difendersi e rimase con la spada alta, pronta all’affondo mortale, ma immobile. Incredulo, si rese conto di avere vinto. «Arrendetevi…» ansimò alla fine. «Confessate la vostra colpa.»
Sotto di lui, anche Sigert de Morlhon ansava, eppure la sua voce fu un ringhio di rabbia attraverso l’elmo. «Uccidimi, se ne hai il coraggio, ragazzo!»
Marc strinse le mani sull’impugnatura, affondò il colpo, ma mancò di proposito la gola del conte e piantò la lama a terra. «Io non sono un assassino come te. Farai i conti con il boia.»
I cavalieri reali raggiunsero i due contendenti con le spade sguainate. «Il giudizio di Dio è stato emesso» annunciò uno di loro alla folla e si fermò accanto a Marc. Padre Baptiste alzò al cielo la croce di legno. Il pubblico si segnò in silenzio.
Sulla lizza comparve all’improvviso il sole. Le nuvole si erano diradate durante il combattimento e lo splendere dei primi raggi colse tutti di sorpresa. La folla mormorò piena di timore reverenziale, vedendo nel sereno forse il segno con cui il cielo sottolineava il verdetto. In molti si fecero di nuovo il segno della croce. Anche Marc sbatté le palpebre quando la luce attraversò le feritoie dell’elmo e gli colpì gli occhi.
«Aspettate!» gridò qualcuno e la lizza fu turbata dall’arrivo di due cavalli al galoppo.
Marc si voltò di scatto e vide arrivare André de la Cour, visibilmente sfinito dopo quella che doveva essere stata una cavalcata di molte ore. Portava con sé un uomo malconcio su un secondo cavallo, con i polsi legati al pomo della sella. Marc riconobbe uno dei suoi aguzzini della casaforte di Arençon.
André valutò in un istante la scena e si rilassò vedendo che Marc non era in pericolo immediato. Si rivolse al re. «Sire, ho trovato quest’uomo ancora chino sul cadavere del barone di Doisel. Ieri, al vespro, nei boschi di Montriche» annunciò.
Marc ritrasse la spada. Quando capì fino in fondo la portata di quelle parole, si liberò dell’elmo e si abbassò il camaglio, sapendo che adesso nessuno avrebbe più potuto dubitare della verità già sottolineata dal giudizio di Dio. Il vento fresco sul volto sudato e insanguinato l’aiutò a schiarire del tutto le idee.
Il prigioniero, che aveva un’aria ostile al suo arrivo in lizza, era sbiancato nel vedere il conte di Morlhon sconfitto e la sua esclamazione di spavento fu più eloquente di un’intera ammissione di colpa. Avrebbe resistito ben poco agli interrogatori a cui l’avrebbero sottoposto gli ufficiali della giustizia.
Marc sentì Sigert de Morlhon abbandonarsi supino al suolo, definitivamente sconfitto. Guardò il re e vide che Luigi IX era immobile con le mani ancora serrate sui braccioli dello scranno. Poté soltanto immaginare cosa potesse provare nell’avere la certezza che un uomo a lui così vicino avesse tentato di assassinarlo.
Un cavaliere reale aiutò Marc a rimettersi in piedi. L’altro tenne il conte di Morlhon sotto la minaccia della sua spada, nel rumoreggiare sempre più intenso della folla presente.
Il re impose il silenzio con la mano aperta. «Arrestate i colpevoli e interrogateli. La giustizia degli uomini applicherà il verdetto di quella divina non appena tutti i complici saranno trovati» decise con voce tagliente. I suoi occhi irati non lasciarono un istante Sigert de Morlhon, che si era risollevato su un gomito per liberarsi dall’elmo. Lo sconfitto gli indirizzò uno sguardo di puro odio, prima a lui e poi a Marc.
Molti soldati accorsero a prendere in custodia i prigionieri e li portarono via. Luigi IX seguì Morlhon con lo sguardo e anche Marc guardò il nemico sconfitto, poi però cercò André, che gli fece un cenno di incoraggiamento scendendo di sella, e infine si voltò verso il bordo della lizza dove c’erano suo padre, Michel, il suo tutore e Alex.
Lei piangeva sorridendo. Con la mano sinistra Marc andò istintivamente a cercare il nastro annodato all’altro polso. La consapevolezza che tutto fosse finito gli prosciugò anche le ultime energie e quasi gli fece venir meno le gambe. Esausto, dolorante, ma infinitamente grato, chiuse gli occhi e indirizzò al cielo la sua più fervente preghiera di ringraziamento.
Re Luigi si alzò in piedi.
I cavalieri, il sacerdote e tutti quelli rimasti nella lizza si inchinarono quando scese i gradini del palco. Marc si inginocchiò, e posò la spada a terra ai piedi del sovrano. Non riuscì a dire nemmeno una parola, mentre lo attendeva a testa alta.
Luigi IX gli si fermò di fronte e guardò la gente nel silenzio generale. Sollevò la mano destra in alto perché tutti potessero vederla, con le prime tre dita stese nel gesto sacro della benedizione, poi l’abbassò e, riaprendola, la posò sul capo di Marc, che fu scosso da un brivido.
«Ecco il nuovo Falco del Re» sussurrò Ian e Alex poté sentirlo.