MAIA

Aspettavo Hayden e Gabby sulla coperta che avevamo sistemato accanto al lago, spiluccavo l’insalata di maccheroni dal piatto di carta con la forchetta di plastica, separando i piselli mollicci, verdi e scongelati dalla pasta ricoperta di maionese e cubetti di formaggio. Qualcuno aveva osato quest’anno, mettendo il cheddar piccante. Hayden e Gabby erano in fila al barbecue.

Non sono mai stata una gran mangiatrice di carne – mi era impossibile non immaginare i musi degli animali – ma il cambiamento era avvenuto all’improvviso. Avevamo organizzato un ricevimento dopo il funerale di Mallory e c’era davvero un’infinità di cibo. Ricordo che i miei genitori non mangiavano da giorni e anch’io mi ero sentita in dovere di perdere l’appetito; in realtà avevo una fame assurda ed era l’unica cosa a cui ero riuscita a pensare durante la funzione.

Entrai in cucina e quando mi resi conto di essere sola, senza testimoni in giro, afferrai la prima cosa che trovai: wurstel in pasta sfoglia, portati dalla madre di qualcuno dei partecipanti, probabilmente. Ne avvolsi un bel po’ in un tovagliolo e mi nascosi in bagno per poterli mangiare senza essere giudicata. Chiusi la porta e aprii il tovagliolo sul lavandino. Avevano un profumo così delizioso – la pasta burrosa e calda, il gusto dolce e salato della carne – che ne mangiai cinque di fila, divorandoli come se non avessi mai assaggiato nulla di più buono in vita mia.

Rammento che qualcuno bussò alla porta, al che mandai giù l’ultimo boccone enorme e gridai: «Solo un minuto». Tirai lo sciacquone, feci scorrere l’acqua mentre guardavo lo specchio e fui colpita dalla sensazione opprimente di non riconoscermi. La differenza era sottile, ma senza dubbio ero cambiata.

Mi avvicinai di più: erano i miei capelli o qualcosa intorno agli occhi?

No, nessuna delle due.

Era Mallory. Anzi, la sua scomparsa. La sua assenza dalla mia vita mi dava l’impressione di essere fisicamente diversa, di avermi trasformata in una sconosciuta. Poi, all’improvviso, dopo la sensazione di sazietà, soddisfazione e calore allo stomaco, avvertii una specie di voragine aprirsi e turbinare sempre più veloce, come la macchina per le granite al distributore di benzina. Erano passati alcuni giorni dalla sua morte, tuttavia mi resi conto solo in quel momento che se n’era andata, e non solo per un weekend o per stare a casa di un’amica o in qualche spedizione fotografica con Neil. Era sparita. Per sempre.

E con lei la persona che ero.

Persi il controllo del mio corpo, barcollai due passi, la distanza che separava il lavandino dal water, raggiungendolo appena in tempo, e mi misi carponi per vomitare tutto ciò che avevo in corpo: il cuore, i polmoni e gli organi vitali che immaginavo galleggiassero dentro di me. Rimossi gli ultimi resti della mia vita come la conoscevo. Poi mi abbassai sul pavimento e chiusi gli occhi, tutta quella gente oltre la porta che a turno bussava e chiedeva: «Stai bene?».

No che non stavo bene.

In quel momento, con la guancia premuta contro le piastrelle fredde, e il sapore amaro e acre dell’interno del mio corpo ancora sulla lingua, avevo deciso di non mangiare più carne.

Hayden e Gabby tornarono verso di me a braccetto emettendo dei gridolini; ognuna portava nella mano libera, in equilibrio precario, un piatto di carta sottile. Gabby si tolse i sandali, li tirò sul prato e si sedette con un tonfo accanto a me. Indossava shorts cortissimi e il reggiseno di un bikini. Aveva trovato una serie di video con esercizi yoga online che praticava assiduamente nell’ultimo anno. Adesso approfittava di ogni occasione per ostentare la pancia piatta, le braccia e le cosce scolpite; a scuola aveva cominciato a girare per lo spogliatoio solo in reggiseno e slip.

«Che c’è di così divertente?» domandai.

«Oh, niente» rispose Hayden, liquidandomi con un cenno della mano.

«Dovevi esserci per capire» aggiunse Gabby.

La cosa più strana di essere l’ultima ruota del carro della nostra amicizia è che all’inizio erano entrambe mie amiche e non si piacevano nemmeno. In pratica avevo dovuto costringerle a cominciare a uscire insieme e adesso, in mia assenza, erano diventate migliori amiche, e io inutile.

«Sono sicura che potreste spiegarmelo» sorrisi, poi cercai di ridere, come se scherzassi e basta, ma suppongo che fu poco convincente.

«Era solo una stupidaggine che ha detto qualcuno» ribadì Hayden.

«Chi?»

«Senti, bella» Gabby chiamava tutte così, «perché ti interessa così tanto?»

«Voglio solo sapere.» Mi chiedevo come mai non riuscissi a smetterla. Forse credevo che avessero riso di me. O magari cercavo un pretesto per litigare. «Perché non volete raccontarmelo?»

«Era una sciocchezza che ha detto la sorellina di Gabby… non si è resa conto che fosse un riferimento sessuale.» Mi spiegò Hayden alla fine.

«Davvero?» Persino io riuscivo a capire che non si trattava di una domanda, ma di una sfida. «Lo era sul serio?»

Hayden e Gabby si scambiarono uno sguardo di intesa.

Gabby sospirò poi aggiunse: «Ti comporti così perché siamo andate al mare senza di te?», ma prima che potessi replicare proseguì: «Anche se ti abbiamo chiesto, no anzi pregato, un milione di volte di venire con noi?».

«Cosa vorresti dire? “Così” come?» Appoggiai il piatto e mimai le virgolette con le mani per enfatizzare. «Non mi comporto in nessun modo strano, vi ho solo chiesto di rendermi partecipe di una storia buffa. Perché non potete riferirmi semplicemente cosa vi ha fatto tanto ridere?» insistetti di nuovo. «Qual è il problema?»

«Ha detto “smanettarsi”, va bene, adesso?» urlò Hayden, gli occhi sgranati e scuri come le accadeva quando si appassionava a qualcosa o si arrabbiava. «Ma non è divertente senza il contesto, e…» guardò Gabby, in modo che terminasse la frase.

Gabby alzò gli occhi al cielo. «E abbiamo pensato che non avremmo dovuto raccontarti un aneddoto stupido su mia sorella, e che in fondo non era tanto divertente.»

«Puoi parlare di tua sorella, cosa credete, che mi crolleranno i nervi solo a sentire quella parola? Sorella!» gridai. «Sorella!» Mi portai le mani attorno alla bocca e urlai: «Sorellaaaaaa!».

«Oddio» borbottò Gabby.

«Bene» fece Hayden, parlando sopra la mia voce. «Non accadrà mai più. La smetti di urlare, ora?»

«Nessun problema, la finirò di mettervi in imbarazzo.» Mi alzai e presi piatto e borsa.

«E dài, Maia» si lamentò Gabby mentre cominciavo ad allontanarmi.

«Lasciala andare» controbatté Hayden.

Una rabbia pura e incontenibile mi attraversò il corpo mentre mi dirigevo verso il bordo del lago dove anatre e oche erano in attesa. Si avvicinarono subito, accorgendosi che avevo resti di cibo. Ero riuscita a mangiare solo una manciata di patatine salate e unte e mezzo panino senza senso perché avevo tolto l’hamburger per riempirlo solo di lattuga, pomodoro, ketchup, salsa ai sottaceti, senape, cipolla. Quindi presi a staccare pezzi di pane e a lanciarli agli anatroccoli. Continuai finché l’unica cosa che restò nel piatto era un mucchio di poltiglia scolorita e piselli grigi.

«Sai che fa malissimo agli uccelli?» domandò una voce. Mi ci volle un minuto per rendermi conto che si rivolgeva a me.

Guardai oltre la spalla e vidi Chris venirmi incontro.

«Ehi, ciao.» Ero sorpresa di quanto fossi sollevata che fosse lui e non Hayden o Gabby. «Aspetta, cosa?»

«Il pane» chiarì. «Non è salutare per questi animali.»

«Oh» ripetei, guardando in basso, verso il piatto. «Perché no?»

«Gli provoca una serie di problemi. Malnutrizione, deformità e cose simili. Persino la morte. Ho letto un articolo, tempo fa, hanno delle piccole sacche nei becchi in cui conservano il cibo e se il pane ci resta bloccato può ammuffirsi e avvelenarli.»

Riflettei per un secondo mentre guardavo le oche beccare il prato in cerca di briciole. «Eppure glielo danno tutti.»

«Già, lo so. Esatto.» Infilò le mani in tasca e oscillò sui talloni, poi, come se si fosse accorto della stranezza di quella conversazione, aggiunse: «Quindi diffondi l’informazione».

«Certo.»

Guardammo il lago per un istante, poi mi chiese: «La tua bici? Ancora fuori uso?».

Annuii.

«Che guaio» sospirò. «Be’, fammi sapere se vuoi una mano con le gomme» propose.

«Sai aggiustarle?»

Distolse lo sguardo e sorrise in quel suo modo timido, come se avesse appena capito di poter essere d’aiuto. «In realtà no» ammise. «Ma so come cercare dei video che ci spiegheranno come fare.»

«Grazie» dissi. «Prenderò in considerazione la tua offerta.»

«Bene.» Annuì e si guardò attorno in modo maldestro. «Be’, volevo solo salutarti. Di nuovo.» Sorrise e aggiunse: «Quindi ciao». Poi iniziò a indietreggiare.

«Ciao» ripetei. «E grazie per la pubblicità progresso.» Indicai anatre e oche.

Si guardò oltre le spalle mentre andava via e salutò con la mano gridando: «Quando vuoi!».

Guardai le mie amiche, sembravano così piccole da quella distanza, erano sedute vicine, probabilmente parlavano di me, del mio scatto nervoso, e decidevano se mantenere il nostro trio intatto, se valesse ancora la pena visto lo sforzo che ultimamente richiedeva essere mie amiche.

Cominciai a camminare e, senza avere ben chiaro in testa cosa fare, le oltrepassai.

Seguii Chris.