CHRIS

Mi tolsi le scarpe da ginnastica davanti alla porta e appoggiai le chiavi nel piattino sopra il bancone della cucina. Nella stanza accanto il volume del televisore era alto.

«Ehi» mi salutò Isobel quando la raggiunsi in salotto.

«Ehi» Mi buttai sul divano accanto a lei. «Cercavo di muovermi in silenzio nel caso in cui stessi dormendo.»

Sottotesto: non stavo rientrando di soppiatto. Ciononostante mia zia mi guardò scettica.

Tentai di concentrarmi sullo spot di una catena di fast food aperta fino a tardi, al che il mio stomaco brontolò. Isobel puntò il telecomando verso lo schermo; osservai la barra del volume abbassarsi fin quasi a zero.

«Allora, com’è andata la serata?» domandò.

«Tutto bene. E tu? Nottata impegnativa in ospedale?»

«Di solito il Quattro luglio va peggio, quest’anno solo circa sei idioti con ustioni di secondo e terzo grado. E un signore di mezza età che è caduto dal tetto e si è rotto un paio di ossa. Un ragazzo con un foro da proiettile sulla coscia… Non capirò mai perché la gente reputi una buona idea festeggiare sparando in aria con la pistola. Quello che va in alto torna sempre giù. Ma tutto sommato non è andata così male.» Si fermò osservandomi annuire. «Tu hai passato una bella serata, vero?»

Facevamo spesso quel gioco. Io fingevo di non volerle raccontare quello che mi succedeva, e lei di tirarmelo fuori a forza quando invece volevamo entrambi la stessa cosa.

«Sì, bella» confermai. «Sono stato in giro.»

Fece schioccare la lingua tre volte e inspirò profondamente. Alla fine incontrai il suo sguardo: sorrideva, poi scosse la testa e commentò: «Bene, bene, bene». E aggiunse con un sospiro: «Ragazzo…».

«Che c’è?»

Rispose con una sola parola: «Combinaguai».

«Perché?»

«Perché?» mi imitò. «Combinaguai» ribadì in modo più deciso, indicandomi con il dito.

Scossi la testa e risi, e lei fece altrettanto. Poi mi alzai, la abbracciai e le diedi un bacio sulla guancia. «Buonanotte, zia Isobel.»

«Buonanotte, combinaguai.»

Cominciai ad allontanarmi, quando lei mi chiamò. «Ehi, Chris?» mi girai per guardarla. «Sai che un po’ di guai fanno bene all’anima, vero?»

«Non so a cosa alludi» osservai, salendo il primo scalino.

«Come no» ribatté allegra, poi sentii il volume della TV alzarsi di nuovo. «Ti voglio bene!»

«Ti voglio bene anch’io» gridai.

Quando mi sdraiai sul letto, ebbi l’impressione di riuscire a sentire il mio corpo muoversi, come in un viaggio immaginario in macchina. L’aria era intrisa dell’odore della polvere da sparo dei fuochi d’artificio. Mi sentivo stordito e confuso, caldo e freddo allo stesso tempo. Una parte di me desiderava ignorare quella sensazione di euforia che percepivo nel petto, perché sapevo maledettamente bene che tipo di emozioni fossero.

Erano guai.

Terribili, certo. Ma quanto mi facevano stare bene.