CHRIS

Aspettai che l’amica di Maia se ne andasse prima di presentarmi. Reggevo in mano la busta con i pezzi di ricambio per la bici che lei aveva lasciato sul sedile posteriore. Ebbi un tempismo impeccabile perché, non appena avevo terminato di attraversare il campo, un pick-up entrò nel viale.

L’uomo aspettava davanti al portico quando arrivai, indossava un cappello che sembrava avesse messo ogni giorno negli ultimi dieci anni. Gli stivali, i jeans e la camicia button-down con le maniche arrotolate ai gomiti erano coperti di macchie di vernice o malta. Studiò anche lui il mio aspetto. Notai che cercava di inquadrarmi, ma se era giunto a qualche conclusione non ero certo di quale fosse.

Avvicinandomi, lo salutai con la mano libera: «Salve». Gli spiegai che ero il nipote di Isobel. Il nipote. Quell’articolo maschile aveva un peso notevole sulla mia lingua. Aggiunsi che ero passato a trovare Maia e che avevo una cosa da restituirle. Lui guardò con sospetto la busta, come se contenesse qualcosa di pericoloso che poteva esplodere da un momento all’altro, perciò ritenni opportuno informarlo: «Sono i pezzi per sistemare la bicicletta».

«Cos’ha che non va la bici?» chiese, girandosi verso la ringhiera del portico, dov’era appoggiata.

«Le gomme sono a terra» risposi.

Appoggiò sul pavimento la borsa frigo che aveva in mano e si diresse verso la bici. Si chinò per esaminarla, passando le mani sulle gomme.

Un’altra macchina percorse il viale e parcheggiò vicino al pick-up. riconobbi un po’ di Maia nella donna che scese e cominciò a camminare verso di noi. Aveva gli stessi capelli e occhi scuri, la stessa andatura. Mi guardò dritto negli occhi mentre ci veniva incontro.

«Salve» salutai per primo.

Mi fece un sorriso stanco, ma bello. Lo stesso modo in cui avrebbe sorriso mia madre dopo una lunga giornata. «Devi essere Chris» disse, al che provai una fitta per l’emozione – all’idea che Maia avesse parlato di me alla madre –, però poi aggiunse: «Isobel mi ha riferito che passerai l’estate da lei».

«Sì» confermai e, in un secondo momento dissi: «Signora».

Fece quel verso simile a una risata, come la figlia. «Avverto Maia del tuo arrivo. È un piacere conoscerti.»

«Anche per me» commentai mentre si allontanava.

Non mi sfuggì che i suoi genitori non si erano scambiati neanche un cenno di saluto.

«Avanti, aiutami a ribaltarla» fece il padre.

Appoggiai la busta a terra e afferrai un lato della bici, seguendo le sue istruzioni, e con qualche manovra goffa la sistemammo al contrario, le ruote in alto e il telaio in equilibrio sul manubrio e il sellino.

«Hai mai cambiato le gomme?» domandò mentre me ne stavo lì a guardare le ruote mosse delicatamente dal vento. «Sei capace a ripararle?» chiarì.

Annuii, ma poi precisai: «In un certo senso». Fui grato di aver deciso di guardare un altro video online la sera precedente, prima di addormentarmi, ma la verità era che nonostante avessi un’infarinatura teorica, mancavo di pratica. Lui annuì ancora, ma chissà se dalle mie dita lisce riuscì a capire che non avevo alcuna esperienza.

«Tienila ferma così un minuto» ordinò con la mano salda sulla ruota inferiore.

Misi entrambe le mani dove si trovava la sua, poi rilasciò un freno, spostò la catena da una parte e tolse la ruota dal telaio proprio come avevo visto nei video.

«C’è qualche leva lì dentro?» domandò, grattandosi il mento in direzione della busta.

Frugai finché non trovai il pacchetto con gli arnesi che la persona del video aveva chiamato leve per pneumatici. «Intende questi?» domandai per esserne certo.

«Sì» confermò, annuendo ancora.

Mentre aspettava che rimuovessi la carta che le proteggeva per estrarle dalla confezione di plastica, fui certo che mi giudicasse un inetto. Ma poi ripensai a Coleton: è un ragazzo, nessun dubbio al riguardo, e neanche lui avrebbe saputo dove mettere le mani, ma questo non lo rendeva certo meno virile, solo differente, e a me andava benissimo essere un tipo di uomo diverso.

«Prendi una leva da questo lato» tenne lo strumento per la parte piatta «e poi infilala sotto il battistrada, così.»

«Okay» obbedii, chinandomi. Volevo che capisse che ero concentrato.

«Poi afferrane un’altra e fai la stessa cosa. Adesso potrai togliere la gomma con le mani.» Lo guardai mentre faceva scorrere la leva lungo tutta la circonferenza della gomma, rimuovendola delicatamente dal bordo.

Procedette esattamente come avevo visto in quel video, solo che lui non aveva certo bisogno di guardarlo, la sua era una conoscenza innata e competente. Mi domandai se sarebbe appartenuta anche a me un giorno o se la desiderassi, o persino se avesse importanza.

«Ehi.»

Sollevammo lo sguardo nello stesso istante e vedemmo Maia.

Mentre si avvicinava, sentii un profumo. Non capivo se fossero i suoi capelli o la pelle, ma era una fragranza fresca e agrumata che mi ricordava le arance. Per una volta nella mia vita ero davvero riconoscente per quello che non c’era nei miei pantaloni perché altrimenti, a giudicare dalla fitta che sentivo allo stomaco, ero certo che avrei dovuto nascondere un’erezione imbarazzante.

«Cosa fate?»

«Bisogna aggiustare le ruote, no?» rispose il padre.

«Già» confermò lei.

«Ecco» si limitò a dire lui.

Tolse la gomma frontale e poi mormorò: «Vuoi provare tu?».

Presi l’attrezzo che mi stava porgendo e staccai il copertone dal cerchio come mi aveva mostrato.

«Come mai si sono forate?» domandò. Quando sollevai lo sguardo verso Maia, lei scosse la testa in modo discreto, con un movimento microscopico, al che capii che non dovevo parlare.

«Non lo so» rispose in modo estremamente convincente. «Sono uscita dal lavoro e le ho trovate così.»

«Cosa succede a questa maledetta città?» chiese a nessuno in particolare.

Mentre passava davanti alla figlia le mise una mano sulla spalla.

«Grazie, papà» fece lei.

Lui non rispose, ma annuì, sembrava bravo nella comunicazione non verbale, come molti padri, immagino.

«Grazie per avermi mostrato la procedura» osservai, sollevando una mano in segno di riconoscimento.

Maia si accovacciò e fece una smorfia. «Spero che non sia stato imbarazzante»

Scossi la testa. «No, anzi, tutto okay, davvero.»

Il rumore della porta d’ingresso che si chiudeva fu seguito velocemente da una serie di ticchettii e un trambusto. Un cane si diresse dritto verso di noi. Mentre si avvicinava abbaiando, domandai a Maia nel modo più coraggioso possibile: «Non morde, vero?».

Guardò il cane avanzare e rispose: «Forse sì, se le fossero rimasti più denti».

«Non mi rassicuri per niente!» esclamai, scattando in piedi prima che il cane mi assalisse.

«Scherzo!» disse in tono lamentoso, afferrandomi la mano per trattenermi a terra, al che ebbi paura per una ragione completamente diversa: la sua mano toccava la mia e la cosa mi piaceva. «Giù.»

«Dici a me o al cane?»

«A entrambi, sedetevi.»

L’animale si avvicinò a Maia e smise di abbaiare.

«Roxie» cominciò Maia, come se parlasse a una bambina. «Lui è Chris. Non morderlo.» Poi si rivolse a me e con lo stesso tono fece: «Chris, lei è Roxie. Non ti morderà».

Roxie si sollevò e mi annusò le braccia, le gambe e poi si sedette davanti a me e mi fissò, il muso dritto sulla mia faccia, il fiato bollente tipico dei cani quando ansimano.

«Se la coccoli, ti lascerà in pace.» Maia allungò una mano e la accarezzò dietro le orecchie e lungo la schiena. «Non vede bene. Non credo si renda conto degli spazi personali.»

Permisi al cane di annusarmi e poi seguii quello che faceva Maia.

«Vedi?» disse piano. Non è un tipo così cattivo.»

«Sì, mi fa decisamente meno paura, adesso» osservai.

«In realtà parlavo con Roxie.»

Risi. «Grazie.»

Maia smise di accarezzare il cane e ordinò: «Roxie vai a sdraiarti».

L’animale si spostò di qualche centimetro a destra e poi si stravaccò a terra.

Ci impiegammo molto di più a sistemare la seconda gomma di quanto ci avesse messo il padre con la prima, ma significò avere accanto Maia per più tempo. Rigirammo la bici, entrambe le gomme riparate e gonfie, e ammirammo il nostro lavoro.

«Grazie, Chris.»

«Figurati.»

Stavo per andarmene quando lei si risedette a terra e ricominciò ad accarezzare il cane, che si svegliò e mi guardò come se dovessi sedermi anch’io, perciò mi accomodai.

«Davvero» continuò Maia. «Credevo che sarei rimasta senza bicicletta per tutta l’estate.»

Annuii, solo perché non capivo veramente cosa volesse dire, dato che suo padre c’era sempre. Avrebbe potuto sistemarla anche nei giorni precedenti, in cinque minuti netti. Tuttavia non glielo feci notare direttamente, cercai di girarci intorno, domandando: «Quindi non vuoi che i tuoi genitori sappiano di quell’episodio con Neil, ho capito bene?».

«Certo, assolutamente no.» Fece un’espressione inorridita e aggiunse: «Ci sono cose che preferisco non riferirgli, per il loro bene».

Non compresi a cosa alludesse, ma concordavo con quella scelta, del resto non celavo anch’io enormi segreti ai miei? Per il loro bene.

Guardò di nuovo verso la casa e sospirò dicendo: «I genitori sono così…». Si interruppe senza più terminare. Ma non era necessario.

«Già» confermai. «Se può significare qualcosa, sono stati molto gentili con me.»

«Oh, se è per quello sono gentilissimi» riconobbe. «Ma non l’uno con l’altro.»

«Okay» commentai.

«Ma comunque, probabilmente non è una buona idea continuare a vivere con una persona dopo che hai divorziato.»

«Sul serio?» Guardai anch’io verso la casa. «Sono… wow, è una situazione…»

«Incasinata?» terminò la frase per me. «Già. Non vorrei mai finire come loro.»

Ripensai alla tensione e ai litigi tra i miei durante l’ultimo anno, a come li mettevo uno contro l’altro e fossi spaventato di finire in una relazione come la loro: due sconosciuti che condividono la stessa casa, ma a malapena sopportano di guardarsi.

«Neanch’io.» Il senso di colpa mi provocò una fitta allo stomaco simile a una coltellata.

«E i tuoi genitori?» domandò. «Stanno ancora insieme?»

«Sì, almeno per ora.» Riflettei se confessarle quello che mi passava per la mente. E il momento di silenzio sembrò creare i giusti presupposti. «Non sono venuto qui solo perché avevo bisogno di allontanarmi da loro. Ma per alleggerirli della mia presenza.»

«Perché?»

«Non concordano su molti argomenti che mi riguardano. Non mi stupirei affatto se finissero con il divorziare.»

Maia mi guardò in modo premuroso mentre eravamo lì seduti a terra, con il calore del giorno che iniziava ad attenuarsi.

«Se accadrà» cominciò, «non sarà per causa tua. Lo sai, vero?»

«Non ne sono certo.» Scrollai le spalle. «Forse.»

Restai in silenzio, ma non volevo che pensasse che mi compiangevo, quindi ricominciai a parlare, cercando di essere un po’ più allegro. «Hai mai sentito parlare dei sistemi stellari binari?» le domandai. «Sono costituiti da due stelle che orbitano una intorno all’altra.»

Scosse la testa.

«Be’, circa quattro quinti delle stelle sono binarie. Ma quelle due sono così vicine che sembrano un unico punto luce. Gran parte delle stelle nella nostra galassia simili al nostro Sole si trova in questi sistemi stellari binari.»

La stavo annoiano, ne ero certo.

Mi schiarii la gola. “Dacci un taglio, Chris” pensai. «Le stelle binarie orbitano una intorno all’altra, e sono così vicine che a volte possono scambiarsi una quantità di massa, come se una stella si nutrisse dell’altra, e a volte una continua ad accumularne sempre più, fino a consumare la sua compagna.»

Inclinò la testa lievemente mentre mi ascoltava, corrugando le sopracciglia come se scherzassi e non riuscisse a capire bene quale fosse la battuta.

Scrollai le spalle e aggiunsi: «È solo un paragone a cui ho pensato in passato, riferito ai miei genitori, anche se forse vale per quelli di tutti, per le coppie in genere. Non so».

Le notai uno scintillio negli occhi, come una luce intermittente, un secondo luminosa e quello dopo scura. Prima che potessi interpretare cosa significava, lasciò cadere la testa, il mento verso il petto; la osservai portare le mani al viso per coprirlo. Restò in silenzio, le spalle che tremavano. Credevo che stesse piangendo, ma poi gettò il capo all’indietro e udii la sua risata. Non quel suo verso tipico, ma una risata vera, rumorosa e forte.

Il cane balzò in piedi e camminò goffo verso la casa.

«Che c’è?» le chiesi alla fine. «Perché ridi?»

Trasse un profondo respiro e tenne una mano sul fianco mentre si sforzava di far uscire le parole. «Scusa» rantolò senza fiato. «Hai appena… io…»

«Cosa?»

«Era…»

«Cosa?»

«È solo che… è stato davvero divertente, Chris» disse alla fine ridacchiando. «Grazie di tutto, davvero, mi sento molto meglio.»

Abbassai la testa. «Okay, concetto afferrato. Suppongo che ti sia sembrato un po’ oscuro.»

Portò il pollice e l’indice davanti al viso in modo che si sfiorassero e ammise: «Giusto un po’».

Sentii il viso diventare bollente, passando per tutti i toni del rosso. «Doveva essere un pensiero confortante» tentai di spiegare.

Arricciò il naso, i lineamenti contorti in un’espressione tra il divertito e l’orripilato. «In che modo?» gridò.

«Nel senso che ci fa capire che forse è naturale che le cose non durino. Quindi magari non dovremmo percepirla come una tragedia, giusto?»

Rise di nuovo in modo silenzioso, serrando le labbra mentre scuoteva la testa.

«No?»

«No.»

Dopo un altro attacco di riso mi guardò, gli occhi illuminati di una luce interiore, e sentenziò: «Sei strano».

Solo che il suo modo di dirlo mi fece sentire normale come non mai.