Svoltai verso il vialetto ancora elettrizzato da quella giornata. Parcheggiai, chiusi la macchina e restai seduto lì un minuto. Era così stupido ammetterlo, ma Maia già mi mancava. Sollevai la mano e mi toccai lievemente il palmo… Riuscivo ancora a sentire la sensazione della sua mano nella mia.
I fari dell’auto di Isobel erano puntati su di me mentre si avvicinava alla mia station wagon. Scesi dalla macchina e la attesi, in mano un sacchetto di carta colmo della mia metà degli avanzi del Green House.
«Hai già cenato?» le domandai mentre mi veniva incontro.
«No» rispose guardando il sacchetto. «Dove l’hai preso?»
«Io e Maia siamo andati a New Pines, oggi, e abbiamo provato un ristorante vegetariano.»
Isobel mi lanciò un’occhiata entrando in casa.
«Siediti. Prendo le forchette» disse indicando il tavolo della cucina, mentre estraeva le scatole dalle buste per poi aprirle. «Okay» iniziò, prese un cavoletto di Bruxelles glassato agli agrumi e lo esaminò con curiosità prima di metterselo in bocca. «Hai intenzione di dirmi cosa sta succedendo?» domandò, inclinando la testa verso la porta.
«Niente» mentii, però mi resi conto che quella sera non me la sarei cavata con il nostro abituale scambio di battutine. «Siamo solo amici.»
«Sicuro?» domandò con un tono che mi parve di disapprovazione.
«Perché me lo chiedi così?» Non era stata lei a incoraggiarmi a vivere la mia vita senza dovermi sentire in colpa per cercare la felicità? Non era stata lei a dare per prima l’esempio?
Si accigliò e mi fissò stringendo gli occhi.
Continuai. «Voglio dire, sarebbe così brutto se fossimo più che amici? Non dico che lo siamo. Oddio, sarebbe un momento proprio di merda e sinceramente non sto cercando nulla, ma cosa ci sarebbe di male? Solo perché sono…»
«No!» gridò interrompendomi non appena capì cosa stavo per aggiungere. «Chris, non essere ridicolo. Non c’è nulla di sbagliato nel fatto che tu sia un transgender e che inizi una relazione. Come ti viene in mente?»
Mi meravigliai del modo in cui quella parola uscì dalla bocca di Isobel senza esitazione o incertezze; io ancora non ero a mio agio nel pronunciarla.
«Desidero solo capire a che punto sei. Se le cose tra te e Maia, o te e chiunque altro, evolvessero in quella direzione, sarebbe fantastico, cazzo.»
«Okay, bene» mi ammorbidii.
«Voglio solo assicurarmi che tu stia bene, che ti prenda cura di te stesso e che faccia attenzione.»
«Attenzione?» Sbuffai. «Di sicuro non c’è pericolo che la metta incinta.»
«Pessima battuta, ragazzo.» Aggrottò la fronte e scosse la testa, facendo pollice inverso con entrambe le mani. Aveva ragione. Ero sulla difensiva e non era divertente. «Intendevo attenzione al cuore, alla fiducia, e sì, anche ai vostri corpi.»
«Quindi non la reputi degna di fiducia?»
«No, non alludevo a questo. Tuttavia…»
«Cosa?»
«Sa che sei un transgender?»
Sospirai scuotendo la testa. «Sarebbe bello per una volta non dover esternare dichiarazioni a una persona prima ancora di salutarla.»
«Ehi, non ti sto mica impartendo ordini. Onestamente non so quale sia la risposta, Chris. Però…» Addentò la focaccia e continuò masticando: «Dal mio punto di vista» si fermò per deglutire «mi sembra che tu con lei sia ben oltre il semplice saluto».
Aveva ragione. Ma ogni volta che pensavo di parlarne a Maia, mi veniva voglia di scappare.
«Quando e se arriverà il momento giusto, troverai il modo.» Allungò una mano per stringermi il braccio. «Non intendevo turbarti, lo sai, vero?»
«Lo so, è solo che…»
«Fa paura?» finì per me. «Essere sinceri, mostrare a qualcuno ciò che si è spaventa sempre. Perché credi che io viva ancora in questo posto da sola?»
«Perché è ciò che vuoi» risposi.
«Vero.» Sorrise davanti a un pezzo di peperoncino ripieno che teneva in mano. «E sai una cosa? Mi piace la mia vita, maledizione, ma a volte mi chiedo se io sia sola perché è ciò che voglio o perché è il prezzo che pago per proteggermi.»
«Però sei felice, no?» Non avevo mai visto Isobel mostrare dubbi su se stessa e nemmeno accennare al fatto che la sua vita non fosse esattamente come la desiderava.
«Lo sono quanto basta» rispose annuendo.
«Zia Isobel…» cominciai, ma non mi lasciò aggiungere altro.
«Oddio, non diventiamo sdolcinati.» Agitò la mano tra noi, come per liquidare l’eco delle sue parole precedenti. «Il punto è che non voglio vederti trattenere i tuoi sentimenti solo per evitare di soffrire, desidero che tu viva la tua vita al massimo, capisci cosa intendo?»
«Sì, certo» risposi.
Una volta in camera mi cambiai e mi preparai per andare a dormire. Prima di mettermi la maglietta larga e un paio di pantaloncini che indossavo come pigiama, mi misi di fronte allo specchio.
Non ero coraggioso abbastanza da farlo ogni giorno. Ma a volte ci riuscivo.
Mi scrutavo gli occhi nel riflesso e mi coprivo il seno con le mani.
Fino a non troppo tempo fa desideravo essere sincero, tornare a frequentare una scuola normale, uscire, ricominciare a vivere. Soprattutto desideravo essere onesto con me stesso e i miei genitori e con il mondo che mi aveva portato a Carson. Volevo davvero vivere la mia vita al massimo, come aveva detto Isobel.
Solo che la sincerità è molto più attraente in teoria che in pratica.
Chiusi gli occhi, mi infilai la maglietta larga e non li riaprii finché non mi allontanai dallo specchio. Chissà se era possibile conoscere la persona giusta, ma nel momento sbagliato. Non avevo mai pensato di poter provare dei sentimenti per qualcuno, non quando avevo appena iniziato la transizione, non prima di sistemare la mia vita.
Mi misi a letto e mi tirai su le coperte fino al petto, poi presi il telefono. Scrissi a Coleton: Come fai a sapere se piaci a una ragazza?
Digitò immediatamente: Non ne ho idea…
Io: Già, neanch’io
Coleton: Link http//www.come fai a sapere se piaci a una ragazza?
Coleton: Scusami, posso risponderti solo così.
Feci una grossa risata.
Io: Grazie, è di grande aiuto!
Coleton: Ci provo.
Dopo un minuto aggiunse: Allora, le piaci?
Io: Non lo so.
Coleton: Chi è?
Io: La vicina di mia zia.
Io: Maia.
Coleton: Fantastico.
Io: Forse.
Io: Cos’era che dovevo indovinare, l’altro giorno?
Mi inviò la foto di un tabellone segnapunti del flipper dei Transformers del Battleground, una sala giochi che frequentavamo. Sotto i punteggi più alti c’era scritto:
1 posto: CTN
2 posto: MGF
3 posto: CTN
4 posto: CTN
5 posto: CTN
Era un’impresa enorme. Il Battleground era il nostro posto preferito, ci eravamo conosciuti lì, a una festa di compleanno a cui ci avevano invitati, come del resto tutta la classe, in quinta elementare. Tra i tanti giochi del locale, compreso il minibowling e le pistole laser, il flipper dei Transformers era sempre stato, per ragioni che ignoravo, il tallone di Achille di Coleton. Solo io sapevo che CTN stava per Coletron e non Coleton.
Mi sentii in colpa per non avergli risposto prima perché riuscivo a immaginarlo chiaramente dentro la sala giochi, mentre batteva il punteggio incredibilmente alto, sul tabellone da sei anni, del misterioso MGF, senza nessuno con cui festeggiare.
Io: Porca merda! Ce l’hai fatta, cazzo!
Coleton: Il direttore mi ha regalato dei nachos
Io: Quando torno a Buffalo, voglio vederti.
Coleton: Bene.
Coleton: Okay, vado a letto, ora. Bello sapere di questa ragazza a cui *forse* piaci.
Coleton: Tienimi aggiornato.
Io: Grazie! Buonanotte.
Il pensiero di essere completamente sincero con Maia mi spaventava ancora molto, ma la notizia della vittoria a flipper di Coleton mi spinse ad avere più fiducia in me stesso. Magari c’era una piccola parte di me che cominciava a nutrire un minimo di speranza. Sperai che potesse accettarmi, anche se nemmeno io ancora ci riuscivo.
Mentre appoggiavo la testa sul cuscino una sensazione di vertigine mi attraversò tutto il corpo, come se riuscissi a percepire la mia vita prendere una direzione diversa. Maia stava cambiando ogni cosa.