CHRIS

Continuai a chiamarla, però Maia non si girò. «Ehi» dissi alla fine, raggiungendola sul marciapiede davanti al cinema. «Cosa succede?»

«Niente» rispose, anche se era chiaro l’opposto: aveva le braccia incrociate, gli occhi sgranati, se ne stava immobile e rigida a guardare tutto tranne me. «Solo che non mi andava di passare così la serata e… non mi piace essere prevaricata, non mi sento a mio agio, okay?»

Cercai di restare calmo, anche se non l’avevo mai vista così irritata, e mi spaventò. «Non dovremmo avvertire le tue amiche, almeno?»

«No!» mi interruppe. «Scusami. Ti prego, riportami a casa. Per favore.»

«Ok, certo.» Le camminai accanto nel tragitto verso il parcheggio, ma quando cercai di prenderle la mano, la ritirò. Lanciai un’occhiata alle nostre spalle: le sue amiche erano sul marciapiede davanti al negozio e ci osservavano andare via.

Non tentai di parlarle di nuovo mentre tornavamo a casa. Lei si limitò solo a fissare fuori dalla finestra, evitando di guardarmi per tutto il tempo e mordendosi le unghie.

Parcheggiai sul suo viale e spensi i fari, in attesa che dicesse qualcosa. Appoggiò la testa sul sedile e finalmente mi guardò, mi prese la mano e fece: «Scusa». Eppure la sua voce sembrava esausta e provata, come se avesse urlato tutta la notte.

«Qual è il problema? Cosa posso fare?» domandai.

Scosse la testa. «Nessun problema.»

«Io?» Ero indeciso se farle o meno la domanda che mi stava davvero a cuore e scelsi di porgliene solo metà. «Maia… non è che ti vergogni di me, vero?» L’altra, quella più difficile era: “Non è che cerchi di nascondermi, giusto? Non ti spaventa che le tue amiche scoprano che sono un transgender?”.

«Tu non c’entri.» Slacciò la cintura di sicurezza e scivolò verso di me, appoggiando piano il viso sul mio collo. «È solo una pessima giornata» sussurrò.

Annui. La capivo.

Avevo trascorso giorni così, quelli in cui il passato ti sta con il fiato sul collo e sembra avvinghiarti; immaginavo che anche lei ne trascorresse di simili, però non me ne aveva mai parlato prima. Le misi il braccio attorno alla spalla e la tranquillizzai: «Andrà tutto a posto».

Si strinse a me ancora di più e fece: «Chris, ti amo tanto».

«Anch’io ti amo tanto» ricambiai.

Non riuscii a dormire per niente. La tristezza di Maia mi aveva contagiato ed ero tormentato dalla sensazione che ci fosse un problema grave, che non riguardava solo lei, ma in qualche modo noi due. Al mattino le mandai un messaggio per sapere come stava e chiederle se voleva un passaggio al lavoro, ma non rispose e un’ora dopo la vidi uscire di casa in bici, con indosso la maglietta di Bargain Mart.

Andai a correre. Mi feci la doccia e mi vestii come al solito. Pensai di fare un giro in macchina per schiarirmi i pensieri. Ma quando passai davanti al negozio di antiquariato mi fermai.

La campanella suonò non appena entrai, proprio come la sera precedente. Ritrovai la donna che ci lavorava. «Buongiorno» mi salutò dall’altra parte del negozio, dove stava sistemando degli oggetti in fila su una vecchia scrivania.

«Buongiorno» dissi.

Mi lanciò uno sguardo di intesa e andò verso il bancone dei gioielli. La seguii e, prima che potessi chiederle qualunque cosa, estrasse la collana che piaceva a Maia. «È venuto per questa, vero?»

«Come fa a saperlo?» domandai.

Alzò le spalle e disse: «Un’intuizione. Facciamo così, gliela metto a quaranta dollari, che gliene pare?».

Avrei pagato volentieri sessanta – era il prezzo del telescopio antico – e anche di più se quel regalo fosse servito a far sorridere Maia.

Annuii, al che lei prese una bustina di plastica da sotto il bancone, tenne sospesa la collanina con cautela sopra la zip, la lasciò cadere ordinatamente dentro, la chiuse e me la porse. Non vedevo l’ora di darla a Maia, continuavo a immaginare la sua reazione, perciò decisi di farle una sorpresa al lavoro. Camminai su e giù lungo le corsie prima di mandar,le un altro messaggio.

Sei riuscita ad andare al lavoro, oggi?

Mi rispose immediatamente: Sì, certo. Grazie, scusami, ho dimenticato di risponderti.

Girai per i reparti svendita e abbigliamento. Il negozio era grande, ma non così tanto da non riuscire a trovarla. Quando passai davanti ai camerini per la ventesima volta, la commessa anziana di turno lì mi chiese se avessi bisogno di aiuto.

«In realtà sì» risposi. «Sto cercando Maia. È qui in giro?»

La donna serrò le labbra, girò la testa e rispose: «No, poverina. Non lavora oggi, sta male».

Uscii dal negozio e mi recai sul retro, dove vidi la bici parcheggiata. Presi il telefono e rilessi il messaggio, sì aveva confermato in modo chiaro di essere al lavoro. Mi aveva mentito.

Tornai nella station wagon, la mente che si arrovellava per comprendere gli eventi di quell’ultimo giorno, senza trovare una logica. Volevo andare a parlare con Hayden e Gabby, però non sapevo dove raggiungerle. Arrivato davanti al distributore di benzina, rallentai.

Il pick-up di Neil era parcheggiato di fronte a una delle pompe.

Mi fermai dietro di lui, proprio mentre sbucava dal retro dell’edificio. Si fermò non appena mi vide lì in piedi, ad aspettarlo, e si avvicinò con cautela, guardandosi attorno.

«Chris?» fece. «Cosa è successo?»

Tralasciai i convenevoli e arrivai subito al sodo. «A cosa alludevi l’altro giorno?» chiesi, ma lui inclinò la testa come se fosse confuso. «Mi hai messo in guardia da Maia, a cosa ti riferivi?»

Si avvicinò al lato del pick-up, tolse la pompa dal serbatoio e la sistemò al suo posto. Si mise le mani sui fianchi, si appoggiò al cassone e mi guardò con attenzione. «Cosa vuoi sapere?»

Desideravo che mi rivelasse qualunque informazione riteneva dovessi conoscere, soprattutto quelle che lo avevano spinto ad avvertirmi. «Prima di tutto» risposi, «perché l’hai attaccata a quel modo alla festa?»

Sospirò e distolse gli occhi. «Senti, quello che è successo a Mallory ha sconvolto tutti. E so che Maia è sua sorella, ma lei era la mia migliore amica. Dover vedere Maia che si comporta in modo crudele e folle, come se fosse l’unica che le voleva bene, non è giusto.»

«Cosa ha fatto di così crudele e folle?» domandai.

«Sai che ha dato fuoco a tutti i lavori di Mallory?» spiegò, cominciando a parlare con fatica e fermandosi, ma non per via della rabbia, bensì per la tristezza, come se potesse scoppiare a piangere da un momento all’altro se si fosse lasciato andare.

«No» risposi. «Non so di cosa parli.»

«Ha bruciato tutte le sue foto!» gridò. «E, come se non fosse abbastanza, se ne va in giro con la sua macchina fotografica» aggiunse.

«Aspetta, sono confuso. Le foto erano della sorella?» Tentai sul serio di trovare un filo logico, tuttavia non ci riuscivo. «E perché Maia non dovrebbe poter andare in giro con la propria macchina fotografica? Cos’è che mi sfugge?»

Raddrizzò la schiena, lasciò andare le braccia lungo i fianchi e si girò a guardarmi. Scosse lentamente la testa e sollevò una mano, liquidando le mie parole. «Un momento. Mi stai dicendo che Maia spaccia quella macchinetta per sua?»

Lo fissai mentre mi guardava esterrefatto e annuii.

«Oddio» borbottò, strofinandosi le mani sul viso. «Noi due dobbiamo farci una chiacchierata.»