CHRIS

Il rumore del cellulare che vibrava sul comodino mi svegliò di colpo. Mi allungai per prenderlo e per un secondo dimenticai tutto ciò che era successo e per poco non risposi.

Poi, mentre mettevo a fuoco la stanza, i ricordi mi assalirono di nuovo.

Spensi il telefono e tornai a sdraiarmi. Ma ormai ero sveglio; il sole non era ancora alto, dalle finestre arrivavano i primi bagliori dell’alba. Pensai di andare a correre, di schiarirmi le idee prima di dover affrontare i miei genitori e una lista inevitabile di domande.

Il mio cervello ordinò al mio corpo di alzarsi, attivarsi e andare avanti, reagire subito, ma il solo movimento che voleva fare era girarsi e ricominciare a dormire.

Quando mi svegliai di nuovo, la luce del sole era forte e luminosa.

Sentii la voce attutita di mia madre provenire dalla sua stanza in fondo al corridoio.

«Lo so» fece in tono secco. «Non osare dirmi cosa è meglio per Chris!»

Ero certa che i miei genitori stessero litigando. Mi sfilai dalle lenzuola e saltai giù dal letto, spalancai la porta e marciai lungo il corridoio. Mi preparai a piombargli in camera ordinandogli di piantarla una volta per tutte, ma poi calò il silenzio, ci fu una pausa seguita da: «No, ti sbagli. Sì, ero sicura che sarebbe acc…». E poi ancora silenzio.

Non stava urlando contro mio padre. Era al telefono.

«So solo che ho mandato mio figlio a stare da te per due mesi ed è tornato con il cuore a pezzi e…»

Non ascoltai il resto della frase perché la cosa importante è che aveva detto “mio figlio”.

«Sì, certo, Isobel. Ciao.»

La sentii avvicinarsi alla porta, perciò mi girai e cercai di tornare in camera prima che mi vedesse, però era troppo tardi.

«Chris, aspetta» mi chiamò.

Mi girai lentamente. «Sì?»

«Come stai, oggi?» chiese, come se avessi solo un qualche virus allo stomaco.

«Bene» mentii, scrollando le spalle per sottolinearlo. Indossava un paio di jeans e una maglietta, e sembrava molto più giovane, come non succedeva da tempo. «Non lavori oggi?» domandai.

«No, mi sono presa un giorno libero. Be’, in realtà devo far visitare una casa a dei clienti verso le sei, è la terza volta quindi incrociamo le dita, ma pensavo che forse potremmo trascorrere un po’ di tempo insieme, che ne dici?»

Stavo per risponderle che non me la sentivo, che averla udita riferirsi a me al maschile non cancellava il fatto che mi avesse trattato come un reietto per tutta l’estate. Volevo ricordarle che non si era mai scusata per il nostro litigio. Ma lei continuò a parlare.

«Magari potremmo andare sul lungomare, in quel posto che ti piace tanto, quello che fa il fish and chips buonissimo.» Mi fissò sorridendo.

Incrociai le braccia. Capivo cosa aveva in mente. Voleva comportarsi come ai vecchi tempi. Ogni tanto, quando mi capitava di passare un periodo particolarmente difficile, mi permetteva di saltare la scuola, e allora passavamo la giornata insieme, sul lungomare, oppure mi portava a vedere l’ultimo film uscito con un supereroe, anche se li detestava. Eravamo anche andati alle cascate del Niagara, nonostante ci fossimo già stati milioni di volte, e finto di essere turisti: avevamo comprato magliette, occhiali da sole, cappelli e un globo di neve come souvenir per papà, e persino fatto l’escursione in barca, la Fanciulla della Nebbia. Tutto pur di distrarmi dai miei pensieri.

Be’, ora non riuscivo a fingere. Non più ormai.

«Mamma» feci, guardandola negli occhi per quella che mi pareva la prima volta. «Sai che tra noi due ci sono questioni in sospeso, vero?»

Abbassò lo sguardo e appoggiò la spalla alla parete. «Lo so, Chris. Ed è anche colpa mia. Ma cerco di…»

«Cosa? Di farmi sentire meglio?» la interruppi. «Arrivi un po’ in ritardo.»

Mi girai e tornai in fondo al corridoio, verso la mia camera. Chiusi la porta. Misi le cuffie e sprofondai nel letto.