Roxie era l’unica ad aspettarmi in piedi. Mi seguì lungo le scale, fino in camera, e mi osservò attentamente cambiarmi e infilarmi nel letto. Diedi dei colpetti sul materasso, invitandola a saltare su, ma lei camminò sul pavimento e si mise accanto a me. Lasciai penzolare il braccio lungo un lato e la grattai in modo poco entusiasta dietro le orecchie. Alla fine si sdraiò a terra, vicino a me, e io mi addormentai mentre lei russava leggermente.
Fu una di quelle notti che passano in fretta, un battito di palpebre ed è già giorno. Il sole sorgeva implacabile anche se desideravo che fosse notte per sempre, perché sapevo come erano i nuovi inizi, e che ogni giorno sarebbe stato solo l’ennesimo da quando non vedevo Chris, e li avrei contati tutti finché non sarebbero stati così tanti da non riuscire a farlo più.
Lo sapevo perché mi era già successo con Mallory.
Roxie dormiva ancora sul pavimento nella stessa posizione in cui si era addormentata. Drizzai la schiena, ma ogni osso del mio corpo oppose resistenza. Spostai le gambe e, quando i miei piedi toccarono il pavimento, Roxie non si mosse. Mi alzai e vidi che il tappeto era bagnato. Mi chinai per guardare meglio e sentii odore di pipì. Le era capitato di nuovo durante la notte.
«Roxie» le dissi in tono amorevole. «È tutto a posto, piccola.»
Mi accovacciai accanto a lei, affondando le dita nel suo manto fino alla pelle, e poi tirai via la mano, lasciando uscire di riflesso un urlo acuto. Roxie era rigida, tesa e fredda. Caddi sul sedere direttamente nella pipì. Era fredda e mi inzuppò all’istante il retro dei pantaloncini. Tuttavia mi tirai su con mani e ginocchia e mi precipitai su di lei, le toccai il petto e il muso, accarezzandole il pelo rovinato attorno al naso e alla bocca. Cercai di sollevarle la testa, ma lei non si mosse.
Non riuscii a capire se urlavo parole sensate o se le mie fossero solo grida.
«Maia?» Era mio padre. Sentii i suoi passi correre su per le scale mentre strillava: «Cosa diavolo succede quassù?».
Sollevai lo sguardo e vidi mia madre sulla soglia, immobile. Era truccata, ma i capelli erano ancora bagnati e aggrovigliati dopo la doccia. Stringeva le mani al petto, gli occhi spenti, pallida in volto. Papà si precipitò nella stanza ansimando, il viso arrossato. Prima guardò me, poi Roxie, e infine mia madre.
«Fate qualcosa!» strillai, ben sapendo che non c’era nulla da fare.
Mia madre restò ferma nello stesso punto, senza battere ciglio.
Mio padre si avvicinò, si inginocchiò sul pavimento accanto a me, e appoggiò la mano sulla cassa toracica di Roxie. La osservammo rimanere completamente immobile.
Papà scosse la testa.
Sentii un lieve lamento, avrebbe potuto essere di Roxie, ma non fu così. Era mia madre, si era spostata alle nostre spalle, si copriva la bocca con entrambe le mani, eppure le era sfuggito quel piccolo verso animale.
Papà si rialzò e mia madre si avvinghiò subito a lui, che la strinse tra le braccia mentre lei gli sprofondava il volto nel collo. Era un dolore silenzioso, sapevo che stava piangendo solo perché tremava tutta. Mentre scostava la bocca dalla spalla di mio padre, riuscii a sentirla ripetere: «Non ce la faccio. Non ce la faccio. Non ce la faccio».
E mio padre le parlò tra i capelli accarezzandoli, tranquillizzandola: «Lo so».
Non avevo mai visto mia madre così, neanche dopo la morte di Mallory.
Dovevo andarmene. Guardai indietro, verso il corpo immobile di Roxie e poi la lasciai lì con i miei genitori. Corsi in bagno, mi tolsi i pantaloncini del pigiama bagnati di urina e mi infilai quelli sopra il cesto del bucato. Andai al piano di sotto e presi la bici.
Tuttavia non c’era modo di fuggire abbastanza lontano.
Mi ritrovai in mezzo alla strada, in attesa di un segno da parte di Mallory o di Chris, non lo sapevo. Ma non accadde nulla. Il cielo era sbagliato: troppo limpido e senza nuvole, luminoso e azzurro. Non come nella foto, né come il giorno in cui ci eravamo incontrati. Superai la casa di Bowman e il distributore, la scuola, Bargain Mart e i binari.
Mallory non c’era più. Chris se ne era andato. E adesso anche Roxie.
Al semaforo estrassi il cellulare dalla tasca. Volevo richiamare Chris, però sapevo che non era giusto per nessuno dei due. Guardai la lista dei contatti, in cerca di un numero che era lì da anni per poter rintracciare Mallory quando il suo telefono era scarico, cosa che accadeva spesso.
Mi rispose la segreteria telefonica, come mi aspettavo. Attesi il bip per lasciare un messaggio:
«Neil, sono Maia. So che probabilmente sono l’ultima persona da cui vorresti ricevere una telefonata, ma devo dirti, o meglio, chiederti una cosa. Richiamami, per favore. Riguarda Mallory.»
Quella sera, mentre il sole tramontava, io, mia madre e mio padre ci ritrovammo attorno a un cumulo di terra scavata da poco sotto una quercia davanti a casa nostra.
Io e mia madre avevamo aspettato sul portico con il corpo di Roxie avvolto in una coperta di cotone bianco mentre papà scavava una buca profonda un metro. Prese tra le braccia il fagottino di Roxie e noi lo seguimmo verso l’albero, poi lo appoggiò sull’argilla rossa.
Recitammo le nostre preghiere in silenzio, mentre a turno la coprimmo con la terra. Proprio quando pensavo che saremmo tornati ognuno in camera sua, per non nominare mai più quell’evento, mia madre si inginocchiò sul terreno, poi si sedette con le gambe incrociate a osservare il sole che tramontava. Mio padre si accomodò vicino a lei, senza proferire parola, e lo stessi feci io.
«Sembra che tu l’abbia portata a casa solo ieri, vero?» osservò, girandosi verso mio padre.
Lui annuì, soffocando una risata.
«Eri così arrabbiata» commentò papà, con un fischio. «Ti sei precipitata in fondo alle scale, urlandomi contro.»
«Perché?» domandai, dato che non sapevo nulla.
«Perché avevamo due bambine, di un anno e di tre, e avevamo deciso di aspettare che Mallory andasse a scuola e tu fossi in grado di camminare prima di prendere un cane!» Mia madre per una volta guardò mio padre in modo dolce.
«E tu volevi un golden retriever, non un randagio. Ma poi cosa è successo? Diglielo» la prese in giro papà. «Mezz’ora dopo tua madre era seduta sul pavimento della cucina con quel cucciolo, la chiamava Roxie e le dava il macinato di manzo che aveva cucinato solo per lei!» Rise come non accadeva da anni.
Anche mia madre scoppiò a ridere, ma poi smise, sospirò e fece: «Ha vissuto con noi ogni momento».
Anche il sorriso di mio padre svanì, e infine il mio.
Sapevamo che alludeva ai brevi momenti belli, agli anni bui dopo la separazione dei miei genitori e alla perdita straziante di Mallory e a tutto ciò che era seguito.
«Non so come farò senza di lei.» Riuscì a dire mia madre prima di liberare il pianto che si era sforzata di trattenere.
Papà mi lanciò un’occhiata, sapevamo entrambi che stava parlando di Mallory.
Le mise il braccio attorno alla spalla e io mi spostai sull’altro lato e le presi la mano.
Era una strana disposizione, che fino a quel momento non eravamo stati in grado di assumere.
«Neanche noi, mamma.» Volevo capisse che non era l’unica a soffrire, che io e papà stavamo male come lei, ma anche che non era sola, come a quanto pareva, pensava.
Mi strinse la mano e sussurrò: «Lo so».
Restammo così finché il sole scomparve.
Quando rientrammo in casa, preparai dei panini con il formaggio grigliato, poi ci sedemmo al tavolo finalmente tutti e tre nello stesso momento, e mangiammo il nostro primo pasto insieme, senza Roxie e senza Mallory.
Andai a letto prima di loro.
Tuttavia non riuscivo a dormire, continuavo a girarmi e rigirarmi. Mi svegliai nel cuore della notte e vidi che la porta della camera di mia madre era leggermente aperta. Feci capolino per controllare se fosse sveglia anche lei, ma non era così. Era sdraiata sul letto, ancora vestita. Tuttavia, accanto c’era mio padre, anche lui vestito: indossava persino gli stivali. Era avvinghiato a mia madre.
Entrai in punta di piedi, attenta a non svegliarli, e salii sul letto accanto a mia madre: non lo facevo da quando avevo sei anni.
Mia madre non disse nulla, mi mise la mano sul braccio e mi attirò a sé.