La pioggia martella sulla finestra della cucina. A Minoo piace quel suono, le dà la sensazione di essere circondata da una casa sicura. La voce di Billie Holiday, dagli altoparlanti del salotto, arriva fino alla cucina. Il basso lampadario getta una luce calda sui volti stanchi e preoccupati dei genitori.
«Come stai, tesoro?» chiede papà. È la terza volta che le fa questa domanda, da quando è arrivata a casa.
«A posto» taglia corto lei. Più che altro si sente esausta, come prosciugata. Ha passato diverse ore a parlare con la mamma, ma non sa ancora di preciso come ‘sta’. L’unica cosa che sa è che non ha più la forza di pensare. «Scriverete un articolo?»
Papà si gratta la radice del naso, facendo sobbalzare gli occhiali. «Ne abbiamo parlato. Se quel povero ragazzo si fosse tolto la vita in casa sua, ovviamente non ne parleremmo sul giornale, ma visto che è successo a scuola, lo sa già tutta la città».
La mamma scuote la testa. «Se ci fate un articolo, verrete criticati».
«Verremmo criticati anche se non lo facessimo».
Il padre di Minoo è il caporedattore del giornale locale, che esce solo due volte alla settimana e in prima pagina presenta quasi sempre notizie del tipo ‘Nuova rotonda in Gnejsgatan’. Quasi tre quarti delle famiglie della città hanno un abbonamento alla Gazzetta di Engelsfors, tutti sanno chi è il padre di Minoo.
«Cissi ha scritto un articolo» continua lui. «Ne ho dovuto tagliare la metà, ovviamente. Ho tolto tutte le frasi melodrammatiche e i particolari sanguinolenti, sapete com’è fatta lei. Però, per quanto si cerchi di smorzare i toni, il suicidio resta pur sempre un argomento delicato».
Minoo tiene gli occhi bassi sul piatto. Non ha quasi toccato cibo, e tutt’a un tratto il sugo della carne le sembra repellente. «Ma la polizia è sicura che sia un suicidio?»
«Non c’è alcun dubbio» risponde papà. «Però... Se ti dico una cosa, resta fra noi? Non ne parlerai a scuola?»
«No, certo che no» sospira Minoo. Non gli ha mai dato motivo di dubitare che lei sappia mantenere i segreti. Minoo ha imparato presto che la maggior parte della gente raccoglie informazioni solo per diffonderle a sua volta, ma che l’unico modo per farsi dare informazioni veramente interessanti è quello di sapersele tenere per sé.
«Elias è morto dopo le quattro e mezzo di ieri, subito dopo avere avuto un incontro con la preside. Aveva accumulato molte assenze, quindi lei voleva ‘ripescarlo in tempo’, così si è espressa. Hanno parlato per una mezz’oretta».
Tutt’a un tratto, Minoo capisce che cosa intendeva Linnéa, quando accusava la preside. Che cos’è successo veramente durante quel colloquio? «Che cosa dice la preside?»
«È sconvolta, naturalmente».
«Ma non aveva notato nessun segno di manie suicide?» chiede la mamma.
«Già, questa è una domanda che qualcuno farà, prima o poi».
«Povera donna. Lavora in questa città da meno di un anno, e guarda che cosa va a capitare».
«Ovviamente si discuterà anche della responsabilità della scuola, soprattutto visto il modo in cui si è tolto la vita, che sembrerebbe proprio una sorta di messaggio alla scuola stessa».
«Erik» dice la mamma, «magari non è il caso di ricordare a Minoo...»
«Infatti le mie intenzioni non erano queste, e che diamine!» sibila papà.
«Scusate, non potremmo parlare d’altro?» dice Minoo.
I genitori la guardano preoccupati, poi si scambiano un’occhiata.
«Io non ce la faccio, a sentir parlare di Elias» mormora Minoo.
«Lo credo bene» dice la mamma, a bassa voce.
Per tutto il resto della cena, parlano dei tagli al giornale. Di tanto in tanto, Minoo interviene con qualche commento, ma quando si alzano da tavola, non ricorda nemmeno una parola della conversazione.
* * *
La madre di Anna-Karin si accende una sigaretta prima ancora di aver deglutito l’ultimo boccone, sempre ansiosa di riempirsi di nicotina e catrame. L’alimentazione, per lei, è soltanto un’incombenza da sbrigare al più presto, per potersi finalmente fare la sua bella fumata. Ormai è da un bel pezzo che Anna-Karin ha rinunciato a lamentarsene. Sua madre vede le sigarette come l’unico lusso che riesce a concedersi, quindi ha tutta l’intenzione di fumarsele ‘senza sensi di colpa’.
La pioggia batte contro la finestra. Nel cortile davanti alla casa si formano pozzanghere di acqua torbida.
Anna-Karin sente l’insalata di patate e il cosciotto di maiale gonfiarsi nella sua bocca. È come se nel suo stomaco ci fosse posto soltanto per la tensione. Prima di cena ha cercato di studiare un po’, ma si è accorta che continuava a rileggere sempre lo stesso paragrafo.
Ha paura che non riuscirà a cavarsela, nello studio delle scienze naturali. Deve diplomarsi a pieni voti, se vuole iscriversi a veterinaria, e non può permettersi di restare indietro già al primo anno del triennio.
«Mi ha telefonato Åke» dice improvvisamente il nonno, guardandola. «Sai, suo figlio fa il pilota di ambulanza. Åke mi chiedeva come stai, se conoscevi quel ragazzo».
«Quale ragazzo?» chiede la mamma, fra una boccata di fumo e l’altra.
Tutti e due si voltano a fissarla. Tanto vale sputare il rospo.
«A scuola è morto un ragazzo, Elias. Si è ammazzato».
La mamma dà un lungo tiro alla sigaretta, poi con un’unica espirazione avvolge interamente la tavola in una nuvola ultravioletta. «E me lo dici soltanto adesso?»
Anna-Karin abbassa lo sguardo sul piatto.
«Quell’Elias? Il figlio di Helena?» chiede la mamma.
«Quale Helena?»
«Il figlio della pretessa! Come si chiamava di cognome?»
È facile dimenticare che una volta la mamma aveva una vita diversa. È quasi sempre durante conversazioni come questa che Anna-Karin se ne ricorda, cioè quando sua madre si mette a parlare di vecchi amici e amici di amici, qui in città.
«Malmgren» risponde Anna-Karin.
«Oh, Signore, è proprio lui». La mamma spegne la sigaretta e ne accende subito un’altra. Sembra scossa, eppure anche esaltata. Le succede sempre così, ogni volta che capita un incidente o una sciagura: sono le uniche volte in cui per un istante smette di crogiolarsi nella sua infelicità. «Povera Helena. Tipico, no? Il suo lavoro è aiutare gli altri, ma evidentemente anche così è possibile non vedere quel che succede in casa propria. Come ha fatto?»
«Non lo so».
«Ma si è ammazzato a scuola?» Ora la mamma è tutta un fuoco. Per una volta è presente, vigile e sfavillante. Si china verso Anna-Karin come se fossero due amiche che spettegolano al tavolino di un bar. «Chi è che l’ha trovato?»
«Due ragazze. Una è in classe con me, Minoo».
«Ah, la figlia di quello del giornale» dice la mamma.
Il nonno, che è rimasto in silenzio fino a questo momento, si sporge sopra il tavolo e accarezza la mano di Anna-Karin. «Tesoro. Questo Elias era un tuo amico?»
«No. Lo conoscevo soltanto di vista».
«Quando uno è giovane, crede che il mondo giri intorno a lui, e che i suoi problemi siano sempre più grandi di quelli degli altri» dice la mamma. «Non capite quanto state bene, tutta la responsabilità che vi evitate».
«Oggigiorno le cose non sono facili, per i giovani» dice il nonno.
«Eh no, vogliono sempre la pappa pronta» sbuffa la mamma.
Anna-Karin fa di nuovo fatica a deglutire. Ha la gola serrata dalla rabbia. Appoggia le posate sul tavolo.
«E dire che avete tutta la vita davanti a voi» prosegue la mamma. «Proprio non arrivo a capirvi».
Ci arrivo io, vorrebbe urlare Anna-Karin.
Già, quante volte ha pensato a come sarebbe facile mettere fine a tutto quanto? La prima volta è stata quando aveva otto anni, cioè quando ha raccontato al maestro che vita d’inferno faceva. Lui ha cercato di fare un discorso serio con i bulletti che la perseguitavano, i quali, per tutta risposta, l’hanno spogliata e l’hanno lasciata in mutande e maglietta nel cortile della scuola, in pieno inverno. Ed Erik Forslund le ha detto: «La prossima volta ti ammazziamo, bifolca!» Quando la mamma è venuta a prenderla, Anna-Karin le ha detto che era solo un gioco. Se sua madre avesse fatto qualche domanda in più, lei le avrebbe raccontato la verità, invece no, l’ha soltanto sgridata per averla costretta a farsi tutta quella strada fino alla scuola per venirla a prendere.
Sì, Anna-Karin lo sa, come ci si sente, quando si vuole morire. È da otto anni che fa quel pensiero quasi tutti i giorni. Poi però lo scaccia, perché dopotutto ha pur sempre il nonno, e gli animali, e le vacanze, durante le quali può evitare di andare in città. E certe volte, quando osa pensare un po’ più in grande, vede davanti a sé il miraggio di un’altra vita: un futuro in cui lei fa il medico veterinario e si compra una fattoria tutta sua, in mezzo al bosco, lontano da Engelsfors.
«Però probabilmente ci sono tante cose che non sappiamo, di come viveva quel ragazzo» dice il nonno, con la sua solita diplomazia.
«Be’, in effetti non poteva avere una vita facile, con due genitori così» ammette la mamma, fraintendendo il nonno, come al solito.
Certe volte Anna-Karin non sa decidere chi dei due la innervosisca di più: il nonno che non giudica mai nessuno, o la mamma che giudica tutti, tranne se stessa.
«Cioè, Helena ha sempre lavorato tanto, e Krister... non occorre neanche parlarne» continua la mamma. «Il grande assessorone, non ha tempo, lui, per questioni insignificanti come la sua famiglia. Eh già, le cose non sono mai così perfette come appaiono in superficie». Non tenta nemmeno di nascondere quanto si rallegra delle disgrazie di quelli che lei considera persone realizzate. «Adesso non voglio arrivare a dire che sia colpa dei genitori, ci mancherebbe, però io mi farei qualche domanda, ecco. I bambini, quando vengono al mondo, sono come pagine bianche, e siamo noi adulti a scriverci sopra. E quando tuo padre se n’è andato, io mi sono detta che mia figlia non avrebbe mai dovuto...»
La mamma continua a parlare, ma Anna-Karin non ha più la forza di ascoltarla. Vorrebbe solo gridare: Sei una stronza! Non sai niente della famiglia di Elias, anzi, non sai niente neanche della tua, e ti metti a trinciare giudizi? Non sei nella posizione adatta per dire niente, quindi STAI ZITTA UNA BUONA VOLTA.
Il cuore le martella nel petto. Tutt’a un tratto, si accorge che intorno a lei è calato il silenzio.
La mamma ha spento la sigaretta, ma il mozzicone, piegato a V sul bordo del piatto, sprigiona ancora un filo di fumo. Sta guardando Anna-Karin, con gli occhi spalancati. Si schiarisce la gola e cerca di dire qualcosa, ma riesce soltanto a emettere un suono fischiante.
Anna-Karin lancia un’occhiata al nonno, che sembra preoccupato e dice: «Che cosa succede, Mia? Ti è andato di traverso qualcosa?»
La mamma prende il bicchiere e beve un grosso sorso d’acqua, poi si schiarisce nuovamente la gola ma non riesce a pronunciare una parola.
«Mamma?» dice Anna-Karin.
Muovendo le labbra, la mamma forma le parole: Ho perso la voce. Si alza e si trascina fuori dalla cucina, con il pacchetto di sigarette in mano. Poco dopo, si sente il televisore acceso in soggiorno.
Il nonno e Anna-Karin si guardano, e Anna-Karin comincia a ridacchiare in modo incontrollato.
«Non c’è niente da ridere» la sgrida il nonno, e lei tace, ma vorrebbe dire: Veramente sì, è una cosa divertentissima.
* * *
Minoo sputa la schiuma del dentifricio, risciacqua lo spazzolino e si asciuga la bocca con una salvietta. Si guarda allo specchio e sente un brivido. La superficie dello specchio è dura, lucida. Sarebbe capace di frantumarla a mani nude? È così che ha fatto Elias?
No, non deve pensarci.
Esce dal bagno e va in camera sua. La piccola lampada tonda con il paralume verde, sul comodino, è accesa ed emana una luce accogliente. Minoo è in pigiama, vestaglia e pantofole, eppure ha freddo. Si avvicina alla finestra per controllare che sia ben chiusa, e si ferma lì, a guardare fuori.
Il vento agita le chiome degli alberi e i cespugli. Ha smesso di piovere, e l’asfalto bagnato luccica sotto i lampioni. Uno dei cespugli getta una strana ombra sulla strada.
Eh no. Minoo si accorge che c’è qualcuno, là nel buio, appena fuori dal cono di luce del lampione.
Tira le tende, lasciando appena una sottile fessura, e sbircia. Adesso è sicura: in quell’ombra c’è una persona che sta guardando dritto verso casa sua.
La figura si muove e si allontana, e quando attraversa il cono di luce del lampione successivo, Minoo vede la schiena di quella persona. Una giacca nera con il cappuccio tirato su.
Resta lì, come impietrita, finché la figura non è scomparsa.
Tutt’a un tratto, sente uno scricchiolio alle sue spalle.
E il panico che è riuscita a reprimere per tutta la giornata esplode. Minoo lancia un urlo di paura e si volta.
Sulla porta c’è sua madre. «Minoo...»
È in quel momento che arrivano le lacrime. Un momento dopo, Minoo sente due braccia calde intorno a sé, inspira il profumo della mamma e piange singhiozzando fino a quando le lacrime non si esauriscono.
«Bashe azizam» dice la mamma, per consolarla. Poi resta seduta sul bordo del letto finché Minoo non si addormenta.
* * *
Vanessa sogna Elias.
Lui è in piedi davanti agli alberi morti del cortile della scuola, e la osserva.
Quando lo vede, si sente triste. Elias Malmgren è morto e verrà ricordato soltanto come il ragazzo che si è ammazzato nei bagni della scuola.
Viene svegliata dal cellulare di Wille, che vibra forte contro il pavimento. Ma che cavolo, si sono addormentati qui, su un materasso, a casa di Jonte. È notte? Difficile capirlo, nella penombra di una stanza con le veneziane abbassate.
Il telefono di Wille sta ancora squillando, quando lei lo prende per vedere che ora è. Rifiuta la chiamata, ma fa in tempo a vedere un nome sul display.
Come al solito, Wille ha tirato tutta la coperta dalla sua parte, e Vanessa trema. Appoggia una mano sul fianco di lui e sente il calore della sua pelle. Wille si agita nel sonno. Ha un’aria tanto diversa, quando dorme. È come se Vanessa riuscisse a vederlo da bambino e da vecchissimo allo stesso tempo. Si stende a cucchiaio contro di lui e tira la coperta sopra tutti e due.
Linnéa W, c’era scritto sul display.
Linnéa Wallin.
La migliore amica di Elias Malmgren.
La ex di Wille.