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Le sagome nere degli alberi si stagliano contro il cielo biancastro. È uno di quei giorni di non-tempo: né sole, né pioggia, soltanto un grande grigiore che si posa come un coperchio sulla città.

Minoo cammina lungo il vialetto verso il portone della chiesa. La ghiaia scricchiola sotto le scarpe. Il vestito nuovo stringe troppo sul petto e sulla gola, rendendo difficoltosa la respirazione. Sul sagrato, due vecchie signore in cappotto nero, strette l’una contro l’altra, parlano a bassa voce. Minoo osserva i loro capelli grigi e i loro volti raggrinziti e pensa: ‘Rebecka non sarà mai così’.

Ambedue i genitori si sono offerti di prendere un giorno di ferie per accompagnarla, ma Minoo ha declinato, anche se ora non sa più nemmeno perché. Sa soltanto che se ne pente.

Si tormenta immaginando diversi scenari da incubo. E se facesse qualche errore, piangesse troppo, o le scappasse una risata isterica, o svenisse, o inciampasse avvicinandosi alla bara? E se rovinasse il funerale davanti ai parenti e agli amici di Rebecka? Ha qualche diritto di essere presente, lei che conosceva Rebecka da così poco tempo?

Sale lentamente i gradini della chiesa, oltrepassando le anziane signore, e attraversa il portone spalancato. C’è già gente seduta sulle panche. Sono tutti girati di schiena. Se lei si voltasse e se ne andasse, nessuno se ne accorgerebbe.

Ma poi vede la bara bianca. Accanto all’altare c’è un cavalletto con una foto ingrandita di Rebecka. È un bel ritratto: è seduta in riva al Dammsjön, con gli occhi leggermente chiusi per ripararsi dal sole, e un sorriso allegro e sorpreso rivolto al fotografo. E Minoo capisce di dover restare.

Lei è l’unica, qui dentro, a sapere perché Rebecka è morta. L’unica a sapere che non è stato un suicidio. E questo, in qualche modo, la vincola: al funerale di Rebecka deve esserci almeno una persona che conosce la verità.

Avanzando lungo la navata, pensa che qui ci vengono anche le coppie che si sposano e i genitori che fanno battezzare i bambini. I genitori di Rebecka non sono religiosi, e lei non ha l’abitudine di andare in chiesa, ma ora tutt’a un tratto capisce a che cosa serve quest’edificio: è uno spazio per la nascita, per la vita e per la morte. Tutto nello stesso luogo.

Si siede nelle panche centrali e cerca di rendersi meno visibile che può.

Le campane cominciano a suonare.

Nella chiesa si sentono dei singhiozzi.

Guarda nuovamente la foto di Rebecka. Vede il suo viso sorridente, così vivo. Ed è come se soltanto ora capisse che Rebecka non tornerà mai più. Mai. Pensare alla parola ‘mai’ è come guardare in un pozzo senza fondo. È impossibile da comprendere. L’eternità. L’infinito. Improvvisamente sgorgano le lacrime, e Minoo teme di perdere completamente il controllo. Si nasconde il viso fra le mani e pensa a com’era Rebecka, a come sarebbe potuta diventare, a tutto quello che non potrà mai provare, vedere, sentire, amare, odiare, desiderare, a tutte le cose che non la potranno più far ridere. Una vita intera. Sparita.

Non è Helena Malmgren, la mamma di Elias, a celebrare. Certo che no. Come potrebbe farcela? Elias è morto da troppo poco tempo. Al suo posto c’è un giovane sacerdote esitante, che incespica nelle parole e predica a bassa voce. Minoo sente le parole che le scivolano accanto: ...così giovane... il disegno di Dio... dopo la morte... ma nessuna di esse si fissa, nessuna di esse la consola. Mentre il prete parla di Rebecka, sembra che stia parlando di un’altra persona, e Minoo vorrebbe soltanto che se ne stesse zitto. Che li lasciasse in pace. Lo detesta, per il fatto di essere così impreparato. Detesta i salmi che parlano delle anime che vanno in paradiso cantando. Come si fa a fingere che nella morte di Rebecka ci sia qualcosa di bello e di significativo?

L’organo comincia a suonare. Note incerte che si innalzano nella chiesa.

I genitori di Rebecka si alzano e si avvicinano alla bara. Il padre, un uomo alto dalle spalle larghe, che Minoo non ha mai visto prima, ha il volto arrossato dal pianto. Di tanto in tanto i suoi singhiozzi convulsi riverberano attraverso la chiesa, al di sopra del tappeto sonoro dell’organo. La madre ha l’espressione chiusa delle persone sotto shock. Si appoggiano l’uno all’altra. Dopo di loro arrivano i due fratelli minori di Rebecka, due bambini la cui somiglianza con la sorella maggiore ferisce Minoo. Portano vestiti neri e si tengono per mano, mentre seguono i genitori fino alla bara bianca nella quale è adagiata la loro sorellona. Minoo si domanda fino a che punto abbiano capito. Li segue un uomo anziano, che tiene le mani sulle loro spalle.

Il giovane sacerdote annuisce in modo rispettoso verso la famiglia, e nel suo sguardo c’è un’autentica compassione. La rabbia di Minoo verso di lui sparisce: il prete sta cercando di confortarli. È un compito impossibile, ma perlomeno ci prova.

Quando si levano in piedi le persone sedute nella fila davanti a quella di Minoo, anche lei si alza e le segue. Le gambe sono malferme, e mentre cammina fino al feretro sente le lacrime ricominciare a sgorgare. Non riesce a fermarle. E forse è giusto così: è giusto piangere insieme alla famiglia di Rebecka e a tutti quelli che la conoscevano. Non può lenire il loro dolore, però può condividerlo.

Lungo il percorso, Minoo vede una grossa corona con due nastri bianchi. È piena di gigli, e sui nastri c’è la scritta: RIPOSA IN PACE – GLI AMICI. Hanno scelto la frase più ordinaria che sono riusciti a farsi venire in mente, per non destare curiosità, ma Minoo sa chi sono i mittenti, e questo le dà forza.

Uno per uno, i presenti si fanno avanti e posano fiori sulla bara. Minoo non ne ha portati. Lo sapeva, che avrebbe dovuto comprarne uno. Così, quando arriva il suo turno, posa una mano sul feretro, quasi aspettandosi di sentire qualcosa. Un segno. Una scossa elettrica. E invece sente soltanto il freddo del legno contro la pelle. Non riesce a immaginarsi che là dentro ci sia Rebecka.

‘Rebecka’ pensa Minoo. ‘Giuro che troverò chi ha fatto questo. E quella persona non avrà mai l’occasione di rifarlo. Te lo prometto’.

Dopo la cerimonia si serve il caffè nella casa parrocchiale, ma Minoo non ha la forza di restare un secondo di più. Chissà come dev’essere, per i genitori di Rebecka, sopportare tutte le domande e i sensi di colpa, la rabbia e il dolore. È terribile non poterli informare che la loro figlia non si è tolta la vita.

Esce sui gradini della chiesa e si ferma a guardare la nuova area del cimitero che si estende dall’altra parte di una siepe di bosso. Lì, da qualche parte, c’è Elias, che era il settimo.

Scende la scalinata e prosegue lungo il vialetto di ghiaia. Pensa alla stanza nella casa della preside, alle cose spaventose che c’erano là dentro. Che possibilità hanno, di sconfiggere un nemico del genere?

«Ciao...»

Minoo alza lo sguardo. È Gustaf, appoggiato al tronco di un albero. Sembra spaurito, nel suo vestito nero. Quando i loro sguardi si incrociano, Minoo si gira dall’altra parte e affretta il passo. In questo momento, Gustaf è l’ultima persona al mondo con cui lei abbia voglia di parlare.

«Minoo...»

Lei non risponde, e aumenta ancora la velocità.

Lui la segue. «Per favore, posso parlarti?» grida.

«No!» sibila Minoo.

«Non è come pensi...»

Minoo si ferma di botto, e per poco Gustaf non la urta. Vederlo da vicino le fa passare parte della rabbia. È quasi irriconoscibile: non è più quel ragazzo d’oro che non ha mai incontrato ostacoli in vita sua, gli occhi sono bordati di rosso e la pelle è cinerea.

«Che cosa non è come penso?» chiede Minoo.

«Quell’intervista. È per questo che non vuoi parlarmi, vero?»

«Secondo te?»

Gustaf la guarda senza dire niente. Cerca le parole, ma non le trova.

«Hai detto che sta meglio da morta!» dice Minoo.

Gustaf strizza le palpebre. Quando le riapre, ha gli occhi lucidi di lacrime. Guarda da un’altra parte, come se non riuscisse a reggere lo sguardo di Minoo. «Io la aspettavo all’entrata della scuola. Stavo guardando fuori dalla porta... L’ho vista cadere. Piombare a terra. Non potevo fare niente...» La voce si spezza. Le lacrime colano giù per le guance di Gustaf.

Piange anche Minoo. Un corvo solitario vola sopra le loro teste e atterra su un albero.

«La sera, Cissi è venuta a casa mia» continua Gustaf, dopo aver ritrovato un po’ di compostezza. «Certo, si è presentata come giornalista... Ma mentre parlavamo non era così, sembrava che si stesse preoccupando. E io ho detto un sacco di cose che non avrei dovuto dire. Quasi non mi ricordo che cosa ho detto. Mia madre ha querelato il giornale, ma ormai quel che è stampato è stampato...»

Minoo lo guarda. Lei la conosce, Cissi, avrebbe dovuto capirlo fin dall’inizio. E nel volto di Gustaf non c’è la minima traccia di falsità. Sta dicendo la verità, Minoo ne è sicura.

Tutta la rabbia che provava per Gustaf si allenta e scompare. Resta soltanto il dolore che ambedue portano. Minoo ha a malapena la forza di reggerlo, e non riesce nemmeno a immaginare il vuoto che Rebecka deve aver lasciato in Gustaf.

«Devo solo sapere una cosa» dice lui. «Ti ha mai confessato di essere triste? Ti eri mai accorta che lei non voleva più... vivere?»

«No» risponde Minoo, in tutta sincerità. «Però so una cosa. Tu la rendevi felice».

Gustaf distoglie lo sguardo. «Non abbastanza».

«Non puoi pensare questo».

«Posso eccome. Lo sapevo, che c’era qualcosa che non andava. Certe volte me lo sentivo, che lei voleva parlarmene. Se solo avessi chiesto...»

«Avrebbe potuto parlarne lei per prima» azzarda Minoo.

«E invece è saltata dal tetto della scuola».

Non c’è niente che Minoo possa dire. Non può raccontargli la verità.

«Chissà come mi odiano i suoi genitori» prosegue Gustaf. «Non ho osato presentarmi al funerale. Non volevo fare più danni di quanti non ne abbia già fatti».

«Parla con loro. Forse capiscono più di quel che tu credi».

Gustaf scuote la testa. «Non posso». Guarda Minoo, e il volto si apre in un sorriso pieno di dolore. «Lei era la cosa più bella che mi fosse mai capitata. Sono solo come un cane, senza di lei. La mia vita non mi sembra più la stessa».

Sta piangendo, e Minoo fa l’unica cosa che possa fare: lo abbraccia. Con la coda dell’occhio vede il corvo decollare e sparire verso il cielo biancastro.