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Quando Anna-Karin apre la porta di casa, viene accolta dal profumo di pane appena sfornato. Lo inspira, e un sorriso si apre sul suo volto.

«Ciao, tesoro, sei a casa?» dice la mamma, da dentro la cucina.

«Sì!» grida Anna-Karin in risposta, mentre si toglie la giacca e la appende sul gancio nell’ingresso. Ha appena il tempo di sfilarsi le scarpe, prima che la mamma arrivi e le dia un grosso abbraccio affettuoso. Ha ricominciato a mettersi l’acqua di colonia. È rimasta inutilizzata nell’armadietto del bagno per diversi anni, ma ha ancora lo stesso profumo di quando Anna-Karin era bambina.

La mamma profuma ancora di mamma. E la casa profuma di sapone e di pulito. L’odore di sigarette è quasi completamente sparito, da quando la mamma ha smesso di fumare.

«Com’è andata a scuola, oggi?» chiede la mamma, sciogliendo l’abbraccio.

«Benissimo. Ho dato tutte le risposte giuste, nel compito di storia».

«La mia studiosona!» dice la mamma, orgogliosa.

Anna-Karin non ha il minimo rimorso per il fatto di essersi limitata a scrivere risposte a casaccio, per poi utilizzare i suoi poteri sull’insegnante. In realtà, ha le sue regole: cerca di evitare di manipolare i professori, per quanto possibile, e non agisce mai sui docenti delle materie principali, ma soltanto su quelli che insegnano materie inutili, come storia, tedesco e ginnastica. Del resto, sono cose che non le torneranno mai utili, quando farà il veterinario. C’è forse qualcuno che sarebbe più felice, a questo mondo, se lei imparasse un sacco di banalità solo per dimenticarle subito dopo?

«Stavo cucinando gli scones, ma poi mi è venuto in mente che tanto valeva fare anche i dolcetti alla cannella, già che c’ero». La mamma ride, e si ripulisce una mano infarinata sul grembiule a fiori. Sorride con la bocca, non con gli occhi, ma Anna-Karin non se ne preoccupa. Forse la mamma scoprirà presto quant’è bello ricominciare a vivere. E a quel punto il sorriso verrà da sé. Sarà un sorriso vero. Ne è sicura.

Pepe scende piano piano la scala e si ferma sull’ultimo gradino.

«Ciao, piccolino» dice Anna-Karin, accovacciandosi e tendendo una mano.

Gli occhi di Pepe hanno un brillio gialloverde. La coda dondola avanti e indietro, in posizione di difesa. Non si avvicina. Anna-Karin non capisce che cos’abbia, ultimamente, il piccolo Pepe che stava nella sua tasca e faceva le fusa.

«Vieni, Pepe» lo richiama. «Miciomiciomicio...»

Il gattino non si muove di un millimetro.

VIENI QUI. Anna-Karin guarda dritto negli occhi di Pepe. VIENI QUI, COSÌ POSSO ACCAREZZARTI. VOGLIO SOLO COCCOLARTI UN PO’.

Pepe soffia e scappa su per la scala, fino al piano di sopra.

«E allora fai come ti pare» sibila Anna-Karin.

In quel momento, suona il cellulare. Sul display c’è il numero di Rebecka. Non vuole proprio darsi per vinta? Né lei, né le altre capiscono che Anna-Karin si merita la sua nuova vita. E che non ha intenzione di scusarsi.

* * *

‘Finirà male’ pensa Rebecka. ‘Non riuscirò mai a riunirle’. Infila in tasca il telefono e si guarda intorno in cerca di Gustaf, nella galleria deserta. Lui si è dimenticato la sciarpa al chiosco di Leffe, quando hanno comprato le caramelle.

«Aspettami qui, torno indietro di corsa a prenderla» ha detto. Ed è rimasto via a lungo. Troppo a lungo.

Rebecka sposta il peso da una gamba all’altra, e rimpiange di non essersi portata qualcosa da leggere. Qualcosa che non sia il libro di biologia. Il suo sguardo passa lungo le vetrine buie, nelle quali s’intravede come un’ombra la sua immagine riflessa. Sembra che lei sia un fantasma che infesta i locali abbandonati. L’unica luce accesa è quella del negozio appena aperto, la Grotta dei Cristalli.

Rebecka si avvicina. La vetrina è stipata di piramidi in ottone, tarocchi, incensi, statuette di angeli, e naturalmente cristalli di ogni colore, forma e dimensione possibile. In una teca a parte ci sono gioielli ammassati in una confusione luccicante di argento e pietre di poco valore.

Quasi tutto sembra paccottiglia. Ma il suo sguardo è attirato da una collana d’argento con piccole pietre rosse. Come minuscole goccioline di sangue intorno al collo. Appoggia le dita contro la vetrina. Quella collana non è proprio nel suo stile, eppure la vuole. Vuole comprarla subitissimo e portarla sempre.

Se avesse soldi, beninteso. Se mai avesse soldi.

Dopo essere rimasta lì a guardare la collana per un tempo interminabile, Rebecka ha come la sensazione che qualcosa le strisci sulla nuca.

Qualcuno la sta osservando. Ne è sicura.

Fissa lo sguardo sui riflessi del vetro. Alle sue spalle c’è una figura indistinta, riesce appena a intravederla alla debole luce solare che proviene dall’ingresso della galleria. Ma la riconosce bene.

Non osa voltarsi. Passano alcuni secondi che sembrano non finire mai. La figura è ancora lì.

Vede qualcuno muoversi all’interno della Grotta dei Cristalli. Una donna con un vestito di jeans e una gran capigliatura bionda, che gira intorno e borbotta fra sé e sé. Se solo alzasse lo sguardo e vedesse Rebecka. Ma la donna si infila dietro una tenda, e Rebecka si rende conto che non ci sarebbe nessun testimone, se quella figura improvvisamente si avventasse su di lei. Questa galleria in penombra è un luogo perfetto per aggredire qualcuno, anche in pieno giorno, in pieno centro. Il solo pensiero le dà un brivido lungo la schiena.

Si sforza di raccogliere un po’ di coraggio. Non c’è niente di peggio che starsene lì ad aspettare che accada. E cerca di convincersi di essere forte. Ha un potere che non sapeva di avere, l’ultima volta che quella figura l’ha pedinata.

Fa un respiro profondo e si volta, ma proprio in quel momento le porte d’ingresso della galleria si aprono con un leggero sibilo. La figura è scomparsa.

Gustaf viene di corsa verso di lei. I suoi passi riecheggiano sul pavimento di pietra. «Scusa, se ci ho messo tanto. Leffe prende il suo lavoro un po’ troppo sul serio. Ho dovuto descrivere la sciarpa, per farmela restituire. Ma non mi ricordavo bene di che colore fossero i quadretti...» S’interrompe e la scruta. «Tutto bene?»

«Sì, non è niente. Hai incrociato qualcuno, entrando?»

Gustaf la guarda come se non capisse. «No... perché me lo chiedi?»

Rebecka si sforza di fare un sorriso. Allegro e sereno. «Mi era parso di vedere qualcuno che conoscevo». Poi si volta verso la vetrina della Grotta dei Cristalli. «Hai visto il nuovo negozio? Cose brutte. Però ce ne sono anche di belle».

«C’è qualcosa in particolare che ti piace?»

Lei indica la collana.

«Lo sapevo». Gustaf fa un sorrisetto divertito.

«Che cosa?»

«No, è che pensavo... Fra poco è il tuo compleanno... Però mi sa che non dovevo dirtelo». Scoppia a ridere, e Rebecka immagina che lui abbia già comprato quella collana per regalargliela, o che abbia perlomeno in programma di acquistarla. È come un bambino. Gli si legge in faccia tutto. È come se non avesse mai dovuto imparare a nascondere le cose.

«Non occorre che compri qualcosa di troppo elegante» gli dice sottovoce, sperando di non ferirlo.

Hanno cercato di parlare della questione dei soldi, ma è difficile. I genitori di Gustaf sono ricchi, e condividono volentieri quello che hanno. Nella grande famiglia di Rebecka, invece, c’è appena quel che basta. Gustaf dice sempre che anche la famiglia di lei è generosa, e che si dà a seconda di quanto si ha. Sembra un ragionamento sensato. Se lei avesse tanto, darebbe tanto. Ma quando si ha poco, è difficile accettare qualcosa.

«Come sei silenziosa» dice Gustaf, e lei si rende conto di essere rimasta zitta a lungo.

«Stavo solo pensando a una cosa».

«Certe volte, non so cosa darei per vedere dentro alla tua testa» dice lui, sorridendo.

«Il panorama ti annoierebbe subito» risponde lei, passandogli un braccio intorno ai fianchi.

Rebecka guarda la fotografia di loro due, appesa alla parete accanto al letto di Gustaf. L’ha scattata lui, tenendo la macchina fotografica puntata verso di loro, durante una passeggiata giù alle chiuse, la prima settimana che uscivano insieme come coppia ufficiale.

Ora lei ha la testa appoggiata alla spalla di Gustaf, si stringe a lui e sente il calore del suo corpo.

«Ti amo» sussurra Gustaf, e il suo fiato è caldo contro l’orecchio di lei.

«Anch’io ti amo».

I genitori di Gustaf sono a cena dal capufficio della mamma. Ma Gustaf e Rebecka hanno cercato ugualmente di non fare rumore, mentre facevano l’amore. È un’abitudine dura a morire, sembra sempre di dover stare attenti, come se qualcuno potesse sentirli o entrare nella camera da un momento all’altro.

«Sei comoda?» mormora Gustaf.

«Mm» risponde Rebecka, stringendosi ancora di più a lui. Non si stanca mai di sentire la pelle di Gustaf contro la sua, vorrebbe premere ogni centimetro quadrato del proprio corpo a quello di lui. Gustaf la circonda anche con l’altro braccio e le bacia la fronte.

Fuori si è alzato il vento. Le villette a schiera in cui abita Gustaf si trovano nell’ultima strada prima che incominci il bosco, da questo lato della città. Là fuori c’è una vecchia fossa comune dei tempi del colera. La scorsa estate hanno fatto una passeggiata fin là. C’erano alcuni grossi blocchi di pietra, a segnalare il luogo. Erano freddi perfino alla luce del sole, ed erano tenuti uniti da una grossa catena nera.

L’idea di quel cimitero porta con sé altri pensieri sgraditi. Rebecka rivede nella sua mente la figura riflessa sulla vetrina, e sente tutti i muscoli tendersi, come per prepararsi alla difesa. Cerca di rilassarsi di nuovo. Di restare in quella sensazione di felicità in cui si trovava poco fa.

«Che c’è?» chiede Gustaf.

«In che senso?»

Gustaf si allontana un pochino da lei, per poterla guardare. Ha uno sguardo serio. «È come se tu fossi... non so come dire... come se fossi sempre da un’altra parte, da qualche tempo in qua».

Rebecka apre la bocca per protestare, ma Gustaf continua: «È successo qualcosa?»

Lei ripensa a quel che le ha detto Minoo, sul fatto di fidarsi di lui. Si avvicina e preme la fronte contro il petto di Gustaf. Preferisce non guardarlo in faccia, mentre gli dice una bugia. «No».

«Sicura?» chiede lui.

«Solo un po’ di cose a scuola».

Sente il cuore di Gustaf battere, lì dentro, nel petto, e si domanda come ci si senta a essere lui. Così tranquillo e sicuro in tutte le situazioni.

«Ti vedi spesso con Minoo, ultimamente, eh?» dice lui, dopo un momento.

Rebecka è stupita, ma confortata dal cambio di conversazione. «Sì. Mi piace proprio tanto. È intelligentissima. E anche simpatica. E poi sa essere molto spiritosa. Certe volte mi sembra che non se ne renda conto neanche lei».

«Una volta o l’altra, potremmo uscire tutti e tre insieme».

«Mmh».

«Credi che potrebbe piacerle uno dei miei amici? Magari Rickard?» dice Gustaf.

Rebecka si immagina Rickard insieme a Minoo, e non riesce a non ridacchiare. Rickard è un bravissimo ragazzo, ma non riesce a parlare di altro che di calcio. Non c’è persona più sbagliata, per Minoo.

«Perché no?»

«Minoo è già innamorata di uno» le scappa detto.

«Di chi?»

Rebecka ha promesso di non raccontarlo a nessuno, ma adesso è molto vicina a farlo. Sarebbe proprio bello poter fare una confidenza a Gustaf, come compensazione per tutti i segreti che non gli rivela. ‘Ma no’ pensa. ‘Non posso. Questo segreto non è mio, e Minoo non me lo perdonerebbe mai’. «Non posso dirlo».

«Ma certo che puoi».

«No, l’ho promesso».

«E dai».

«Come mai tutta questa curiosità? Cos’è, speri di essere tu, quello di cui è innamorata?»

Gustaf finge di lanciarle un’occhiataccia, e lei scoppia a ridere. Poi lui allunga una gamba sopra Rebecka, la tiene bloccata contro il materasso e comincia a farle il solletico sulla pancia. Lei si lascia sfuggire un grido, poi ride a crepapelle senza volerlo.

«Dai, dimmelo» ride lui.

Lei riesce solo a scuotere la testa, quasi non riesce a respirare.

Alla fine, tutto torna tranquillo. Lui si accinge a baciarla, ma ora qualunque suo gesto le fa il solletico. La sua barbetta ispida contro il lato della gola la fa gridare di nuovo, e sollevare la spalla contro la guancia, per proteggere la zona sensibile.

E proprio in quel momento, lì sdraiata, non riesce a capacitarsi di come abbia mai potuto dubitare del fatto che lui la ami incondizionatamente.