Jari apre la lattina di birra, producendo un suono sbuffante, e la porge ad Anna-Karin. Lei lecca delicatamente la schiuma traboccata, poi prende una grossa sorsata. La birra non è buonissima, ma non fa nemmeno troppo schifo. Più che altro ha un sapore amaro e un po’ metallico. Ne beve qualche altro sorso e reprime un rutto.
Quasi tutti i presenti sono più grandi di lei. Non sono mai stati influenzati dai poteri di Anna-Karin, ed è difficile tenere sotto controllo tutte queste nuove persone che riempiono la casa con i loro movimenti goffi. Dappertutto stanno riuniti in piccoli gruppi e dondolano, incespicano l’uno nell’altro, parlano a voce decisamente troppo alta. Anna-Karin non riesce a fare presa in quelle coscienze dominate dall’alcol e, sospetta lei, da altre cose.
La musica è assordante. Anna-Karin vuota la lattina e la accartoccia. Jari la prende e gliene porge subito una nuova. Lei lo ringrazia sorridendo.
«Alla salute» dice lui.
«Alla salute».
Le lattine si toccano nell’aria, e Anna-Karin trangugia con la testa rovesciata all’indietro, lasciando che il liquido le scorra giù per la gola. È sorprendente quanto ci si abitui in fretta al sapore. Ora è assolutamente gradevole.
Anna-Karin comincia a rilassarsi e ad allentare un poco il controllo: in realtà non è poi così importante quello che gli altri pensano di lei, finché Jari la guarda in quel modo.
Si sente proprio bella, stasera. Ha addosso un corto vestitino lilla glitterato, con un’ampia scollatura, che aderisce sul seno ma nasconde la pancia. Julia e Felicia le hanno suggerito di mettersi qualcosa di più attillato, ma la sua fiducia in se stessa non arriva fino a quel punto. La mamma l’ha aiutata a truccarsi con colori che si accordano al vestito. Sembrava quasi che fosse davvero contenta per lei. O almeno, così ha voluto credere Anna-Karin.
«Non hanno macellato tutti i maiali, questo Natale» strilla un ragazzo ubriaco che lei non ha mai visto prima. La sta indicando, e i suoi amici ridono.
Anna-Karin la conosce bene, quella sensazione. È passato tanto tempo dall’ultima volta che qualcuno ha detto una cosa del genere su di lei, si era quasi dimenticata di quanto facesse male.
Vuota in silenzio la lattina di birra, mentre medita su una vendetta adeguata. Jari continua a guardarla con occhi che traboccano di estasi: se anche ha sentito quel che ha detto il ragazzo, se n’è già dimenticato.
AVANTI. DIAMOGLI UNA LEZIONE.
Jari si tuffa letteralmente su di lei, come se l’avesse desiderata per cento anni e non riuscisse a trattenersi un secondo di più. Le sue labbra si premono contro quelle di lei. Poi Anna-Karin sente la punta della sua lingua che si insinua nella bocca e la apre.
«Jari, ma che cazzo fai? Sul serio?» dice il ragazzo.
Ma Jari non risponde. Afferra la nuca di Anna-Karin e si stringe ancora di più a lei. Anna-Karin sente un ronzio in testa, mentre la lingua di lui le esplora l’intera cavità orale. Quasi non riesce a tenere il passo. Questo è il suo primo bacio, e le sembra di venire divorata. Ma almeno ha messo a tacere quel ragazzo e i suoi amici. Ora deve respirare. Si scosta da lui. «Andresti a prendere un’altra birra?»
Lui apre gli occhi e sorride. Riconoscente, come se eseguire gli ordini di Anna-Karin fosse un dono fantastico, corre fuori a prendere la birra tenuta in fresco nella neve.
«Vieni» le sibila qualcuno all’orecchio, strattonandola per un braccio.
Vanessa.
Anna-Karin si lascia condurre via. Oltrepassano Linnéa, che le segue fino a una stanza dove due ragazzi sono sdraiati per terra a giocare con la PlayStation. In confronto al resto della casa, qui c’è un relativo silenzio. Si riuniscono in un angolo della stanza, il più lontano possibile dai due ragazzi.
«Che cazzo stai facendo?» dice Linnéa.
«Abbiamo visto il tuo spettacolino con Jari. Adesso potresti anche piantarla!» dice Vanessa.
Si stanno comportando da prepotenti. La schiacciano in un angolo e la accusano. Solo perché Anna-Karin non fa esattamente quel che vogliono loro. Non saranno addirittura invidiose di lei? Vogliono che torni a essere la solita Anna-Karin, quella che non aveva mai il coraggio di incrociare lo sguardo di nessuno, quella che se ne stava sempre sola?
I bassi della musica incalzante filtrano attraverso le pareti della stanza. Sullo schermo del televisore si vede un’esplosione, e i due ragazzi stesi a terra ruggiscono.
Vanessa e Linnéa sono decisamente troppo vicine. Anna-Karin non sa bene se due birre siano tante, sa solo che ne vuole una terza. Immediatamente. «Lasciatemi in pace. So quello che faccio».
«Davvero?» dice Linnéa.
«Ho tutto sotto controllo».
«Io non credo» dice Linnéa. «Io credo che tu abbia sviluppato una dipendenza. E questa storia di Jari...»
«A voi non ve ne deve fregare niente, se io mi trovo un ragazzo!»
«E infatti non ce ne frega niente» dice Vanessa. «Puoi avere tutti i ragazzi che vuoi. Ma Jari non è il tuo ragazzo. Gli hai soltanto fatto un abracadabra».
«Non è che non capiamo, Anna-Karin» dice Linnéa. «Lo so come ci si sente, quando si è emarginati. Lo so come ci si sente, quando si vuole qualcosa che non si può avere».
Linnéa le rivolge uno sguardo pieno di compassione, mieloso, untuoso. È come se Anna-Karin riuscisse a leggerle nei pensieri: Povera Anna-Karin, così brutta e fallita da ridursi a usare la magia per fare in modo che qualcuno la voglia. In lei non c’è niente che possa piacere a qualcuno, e magari riuscirà a fregare tutti gli altri, ma noi continueremo a vedere il suo vero io: la persona grassa, taciturna, ripugnante, bifolca, pazza, sudata, attaccaticcia, tremebonda, goffa e insignificante che è sempre stata. Quella che si mette un vestito nuovo e per un istante crede di essere buona a qualcosa. Che pena.
«Andate a cagare» dice lentamente Anna-Karin.
La collera è tanto forte da farle temere per se stessa. Dà uno spintone a Vanessa, passa oltre e spalanca la porta.
La folla è compatta. Anna-Karin sgomita fra i gruppi di ragazzi, in cerca di Jari. I corpi caldi formano un muro di carne, e per poco Anna-Karin non entra in panico. È come in uno di quegli incubi in cui si cerca di correre ma non si riesce a muoversi. Si scosta per non essere bruciata dalle sigarette accese e per sfuggire agli schizzi di birra, e cerca un punto di passaggio in mezzo a tutta quella ressa. Alla fine non ce la fa più.
LEVATEVI DI TORNO, comanda.
È come quando Mosè divise le acque del Mar Rosso. Fate largo al Signore. Tutti fanno qualche passo di lato, formando un passaggio libero per lei.
Anna-Karin tira un sospiro di sollievo. Adesso può attraversare la casa in tutta tranquillità. Gli altri sono accalcati come aringhe, formando muraglie viventi intorno a lei, dovunque vada.
Cerca dappertutto, ma non trova Jari. Alla fine attraversa l’ingresso e apre quella che probabilmente è la porta della cantina. Una lampadina nuda illumina le assi di pino grezze che ricoprono le pareti lungo la scala. In fondo c’è un’altra porta. Anna-Karin entra di soppiatto, si richiude la porta alle spalle e scende la scala.
Nella piccola stanza, una caldaia e un gigantesco congelatore gareggiano in rumore. Quando Anna-Karin si chiude alle spalle questa seconda porta, la musica e le grida si attutiscono.
Contro una parete c’è una pendola decorata a pennello, una chitarra rotta e due slittini. Relitti di quotidianità. C’è odore di pietra, di umidità e di terra. Dall’altra parte della stanza c’è una porta di metallo dipinta di verde, appena socchiusa. L’istinto dice ad Anna-Karin che non dovrebbe aprirla. E forse è proprio per questo che non riesce a trattenersi dal farlo.
La luce è quasi accecante. La stanza è grande, con le pareti bianche. Lampade agli ultravioletti fissate al soffitto, sopra file ordinate di piante verdi sotto una copertura di plastica trasparente. L’aria è calda e umida, e Anna-Karin sente un debole fruscio che somiglia a quello di un ventilatore.
In un primo momento, le sembra una cosa stranissima, una coltivazione di verdure in cantina. Un istante dopo, però, si rende conto della propria ingenuità: sono piante di hashish quelle che crescono sotto le lampade. O di marijuana. Oppure è la stessa cosa? Non ne ha idea.
Il suo sguardo scivola verso un tavolo stracarico dei più disparati attrezzi da giardinaggio, oltre a una pila di libretti di istruzioni sfasciati dalle troppe letture. E lì, accanto ai manuali, c’è una pistola.
Anna-Karin si avvicina. La pistola è nera, con una copertura marrone sul calcio. Sembra usata.
Proprio in quel momento, sente dei passi sulla scala e il rumore di una porta che si apre. Si guarda intorno, nervosa. I passi si avvicinano. Non c’è nessun posto dove nascondersi.
Un ragazzo alto e magro entra nella stanza. Ha un berretto grigio calato sulle sopracciglia. Lo sguardo è annebbiato, eppure intenso. Anna-Karin capisce subito di chi si tratta. Jonte.
«Questa porta deve restare chiusa» dice lui.
«Era aperta» dice Anna-Karin. «Non sapevo...»
Gli occhi di Jonte si restringono. Si avvicina, e Anna-Karin arretra fino a sbattere contro il tavolo.
«Che cazzo ci fai qui?»
Anna-Karin dirige i suoi poteri verso di lui, cercando di avvolgerlo in una sensazione morbida e gradevole irradiata da lei.
Jonte si ferma. Inclina la testa. Quella postura le ricorda un animale che aguzza le orecchie per individuare un pericolo. Poi l’espressione di Jonte si rilassa, ma la sua aria allarmata non svanisce del tutto. Anna-Karin non riesce a far presa completamente su di lui, e si domanda se non sia l’effetto della birra.
Da fuori, si sente la voce di Jari. «Anna-Karin?»
«Sono qui!» grida Anna-Karin, a voce un po’ troppo alta. Prova un enorme sollievo, nel vederlo entrare nella stanza.
«Oh, eccoti qui» dice lui, sorridendo.
«Chi è questa?» chiede Jonte, in tono ancora sospettoso.
«Non ti preoccupare, è con me» dice Jari. «Anna-Karin, questo è Jonte, il padrone di casa». Solleva una bottiglia trasparente piena di liquido marrone e fa un sorrisetto ad Anna-Karin. «Meglio della birra» dice, trionfante.
Jonte fa una faccia disgustata. «Prendi ’sta scrofa e ’sta bottiglia di piscio, e vattene da un’altra parte».
«Senti...» dice Jari in tono aggressivo, facendo un passo verso Jonte.
«Tranquillo» si affretta a dire Anna-Karin. «Vieni, Jari».
Si avviano su per la scala.
«Certe volte Jonte fa un po’ lo squinternato» dice Jari. «Il fumo gli ha dato al cervello. Capisci? Il fumo?» Fa una risata rauca e le porge la bottiglia.
I rumori della festa aumentano di volume, via via che si sale la scala. Anna-Karin si ferma e prende la bottiglia dalle mani di Jari. Con ogni probabilità, Vanessa e Linnéa sono ancora lassù.
Prende un sorso, e per poco non si strozza. Il liquido le brucia tutta la bocca come se fosse napalm, ma si sforza di deglutirlo. Lo sente bruciare anche nella gola, fin giù allo stomaco. Le vengono dei conati di vomito, e spera che Jari non si sia accorto di niente.
«Forte, eh?» Jari sorride.
«Mm».
Anna-Karin prende un altro sorso. Stavolta è più facile inghiottirlo, come se la prima sorsata avesse anestetizzato tutta la bocca e l’esofago. Si porta la bottiglia alle labbra una terza volta, trangugiando il liquido.
«Ehi, calma» ride Jari.
E solo per questo commento, ovviamente Anna-Karin beve un quarto sorso, prima di restituirgli la bottiglia.
Apre la porta in cima alla scala, e viene accolta dallo strepito delle chitarre distorte dell’hard rock.
* * *
Minoo sogna Ofelia. Ofelia che è Rebecka. Sta annegando, e Minoo cerca di salvarla. Scende nel fiume. È sorprendentemente profondo, e lei deve lottare contro la corrente per tenersi eretta. Cerca di afferrare la camicia da notte bianca che ondeggia nell’acqua intorno a Rebecka, ma le scivola fra le dita, non riesce a far presa. Rebecka la guarda con occhi addolorati, come se fosse dispiaciuta per Minoo.
Minoo... Minoo, è ora di svegliarsi.
Minoo protesta nel dormiveglia. Il sogno non è ancora finito. Deve afferrare Rebecka.
Svegliati.
Apre gli occhi e si guarda intorno, confusa. Gli occhi si abituano lentamente alla penombra, e le forme della stanza affiorano nei toni del grigio e del nero. Cerca di ricordarsi che cosa l’ha svegliata, ma fa fatica a concentrarsi.
Minoo...
Il cuore fa una capriola. È una voce che non è una voce. È come se si trovasse all’interno della sua testa, travestita da pensiero. È morbida e gradevole, e le mette una paura tremenda.
Minoo si leva a sedere. Brancola in cerca dell’abat-jour, afferra il filo elettrico e preme l’interruttore.
Si guarda intorno, mentre il cuore martella forte nel petto. Il terrore è così forte da farla sentire come un animale. Sono rimasti soltanto gli istinti. Quasi non osa respirare: se emette il minimo rumore, quella cosa spaventosa la troverà.
L’abat-jour lampeggia.
Alzati.
Il corpo di Minoo obbedisce, si alza dal letto e comincia a camminare verso la porta.
E lei capisce che la cosa spaventosa si trova già dentro di lei.
Quando arriva nel corridoio, vede la porta del bagno spalancata. Un suono di acqua che scorre raggiunge le sue orecchie. Una vasca da bagno che si sta riempiendo. Passo per passo si avvicina alla porta aperta.
Nessun dolore, sussurra la voce. Nessun dolore, promesso.
A passi felpati, i piedi la portano nel bagno. La porta si richiude silenziosamente alle sue spalle, senza che lei l’abbia nemmeno toccata.