33

Minoo ha spesso fantasticato di percorrere questa strada. Finora l’ha trattenuta soltanto il pensiero di quanto sarebbe stato patetico. Ma questa sera le sembra del tutto giusto: abbattuta com’è, tanto vale umiliarsi ancora di più. Non le è rimasto nessun orgoglio da perdere.

Il quartiere è composto da case identiche, a un piano solo, i cui abitanti cercano di ribellarsi all’uniformità mettendo ventagli e lampade sgargianti alle finestre. Minoo passeggia sul lato dei numeri pari, osservando quello dei dispari. Si ferma sotto un lampione, di fronte al 37 di Uggelbovägen.

Guarda la casa gialla. Il tetto è ricoperto di tegole, e ne sporge un alto comignolo nero. Ai due lati della porta ci sono due finestre: quella a sinistra è quadrata, da stanza da bagno, in vetro smerigliato, e quella a destra, più grande, ha le veneziane abbassate. L’interno è buio.

Cerca di immaginare com’è Max, quando rincasa la sera: si avvicina alla porta, apre la serratura ed entra... Ma è come se la fantasia avesse cessato di funzionare. Non riesce proprio a figurarsi che Max abiti in questa casa. È troppo normale. Potrebbe abitarci chiunque.

Fa freddo, e Minoo rimpiange di non essersi messa un berretto. Prende la sciarpa, se la avvolge intorno alla testa e la annoda al collo.

Le torna in mente quel che ha detto Rebecka, in quella giornata d’autunno. Se hai l’impressione che fra di voi ci sia qualcosa, sai di avere interpretato nel modo giusto.

Avrebbe proprio bisogno di Rebecka, in questo momento. Non si è mai sentita così sola.

Fa un respirone, e dopo un secondo arrivano le lacrime. Le colano lungo le guance, inumidendo la sciarpa. Tira su col naso, prende dalla tasca della giacca un vecchio fazzoletto stropicciato e si soffia il naso.

«Minoo?»

Si volta, e vede Max camminare verso di lei.

È quel che sperava, in fondo. Che stasera succeda qualcosa con Max, di bello o di brutto, non fa differenza. Lui può farla ridere, compatirla, qualunque cosa, purché la veda.

«Buonasera» gli dice.

Max si ferma davanti a lei. Il suo respiro avvolge il viso in una nuvola di vapore. «Che cosa fai qui?» La sua espressione è indecifrabile. Gli occhi la scrutano.

«Stavo facendo una passeggiata» risponde Minoo. «Mi sentivo rinchiusa». Perlomeno non è una bugia.

«È successo qualcosa?»

Minoo si stringe nelle spalle.

«È per via di Rebecka?» chiede Max.

«Mm». Minoo non osa dire altro.

Max annuisce lentamente, poi getta una rapida occhiata alla casa di fronte. «Io abito qui».

«Ah, sì?» Minoo abbassa lo sguardo, sperando che lui non si sia già reso conto che lei è venuta qui proprio per spiare, come una maniaca.

«Ti va di entrare?» le chiede lui.

Minoo riesce soltanto ad annuire.

Attraversano insieme la strada. Minoo cerca di capacitarsi del fatto che sta per entrare in casa di Max. Insieme a lui.

Max apre la porta e accende la luce dell’ingresso.

Minoo entra e svolge la sciarpa.

«Ti prendo la giacca?» chiede lui.

Minoo abbassa la cerniera, e Max la aiuta a togliersi il piumino rigonfio. Questo gesto dovrebbe forse farla sentire una signora, e invece si sente come una bambina dell’asilo. Mentre Max appende la giacca, Minoo si sfila le scarpe, sperando che lui non noti l’enorme numero 41.

«Ti va un tè?»

«Sì, grazie».

Max si addentra nella casa. Minoo vede la porta del bagno e vi si intrufola.

Quando accende la luce, la accolgono piastrelle grigie e un pavimento in linoleum azzurro. È un bagno normalissimo, eppure è come trovarsi in un luogo incantato, perché è il bagno di Max. Ed è pieno di indizi su di lui. È una persona che si lava i denti con lo spazzolino elettrico, ma si rade con il rasoio a mano. È una persona che si lava le mani con un sapone non profumato in dispenser. Compra il dentifricio in maxitubetto. Le sembra di poter decifrare un codice importante, soltanto osservando questi oggetti abbastanza a lungo. Però a quel punto, ovviamente, lui si domanderebbe che cosa sta combinando, qui dentro.

Minoo si volta verso lo specchio e vede il proprio viso struccato. I brufoli gareggiano in spicco con gli occhi arrossati dal pianto. Strizza le palpebre. Se non avesse un aspetto così grottesco, magari avrebbe il coraggio di credere che Max è contento di averla qui. Che non si sta soltanto impietosendo di lei, che è tanto patetica.

«Sei una sfigata, ecco cosa sei» dice sottovoce a se stessa. «Vattene via di qui!»

Riapre la porta e va verso l’ingresso. Dall’interno della casa, comincia una musica. Un istante dopo, Max rispunta con due tazze di tè. Ha un’aria così incredibilmente amichevole. Per non parlare di quant’è bello. Tanto bello che Minoo sente le orecchie infiammarsi, e si domanda come debba essere, baciarlo. Anzi, baciare qualcuno in generale.

Sente un formicolio ai polsi, e le braccia perdono forza.

‘Devo andarmene’ pensa. ‘Devo andarmene, prima di rovinarmi completamente’.

«Vieni?» chiede Max.

Lei lo segue in salotto. La stanza è arredata in modo spartano, ma accogliente. Contro una parete c’è un divano, a destra del quale c’è una grossa libreria strapiena di libri, film e qualche vecchio disco di vinile. Alla parete opposta c’è un grosso manifesto incorniciato: una donna dai riccioli neri, ritratta di tre quarti, drappeggiata in un lungo vestito di seta azzurra. La testa è leggermente reclinata, e lo sguardo è serio e introverso, addolorato. In una mano regge una melagrana, e con l’altra stringe il proprio polso. Nella sua posa c’è un che di angosciato. A Minoo piace fin da subito, ha l’impressione di capire quella donna.

Dà un’occhiata ai libri. Titoli svedesi e inglesi, alla rinfusa. È contenta di non vedere i soliti vecchi romanzi che tutti tengono nelle loro librerie, e che ogni dieci anni si ripresentano a migliaia di copie sul mercato dell’usato.

«Vedi qualcosa che ti piace?»

Lo sguardo le cade su L’amante, e sente una vampa alle guance. «Sì» risponde, distogliendo gli occhi. «Questo è bellissimo» dice poi, puntando il dito contro il dorso di Il lupo della steppa.

Bellissimo. Vorrebbe prendersi a sberle da sola. Interessante, affascinante, fantastico, qualunque cosa sarebbe suonata meglio di quel superlativo.

Ma Max sembra felicemente sorpreso. «È uno dei miei preferiti».

«E poi mi sono piaciuti molto anche questi» prosegue Minoo, indicando due libri e sperando che non si noti che si sta sforzando di impressionarlo.

Certo, lei li ha letti davvero, e le piacciono. Però legge anche altre cose. Fantasy, fantascienza. E Max penserebbe che siano letture immature. E perché non dovrebbe?

«Lo straniero e Memorie dal sottosuolo» dice Max, vedendo quali libri lei ha indicato. Poi scoppia a ridere. «Non sei proprio per i romanzi allegri, eh?»

«I romanzi allegri mi deprimono» risponde Minoo, e in effetti ha detto la verità, ma sentendosi mentre lo dice fa un sorriso imbarazzato. «E poi non le trovo scelte pretenziose».

«Va benissimo così». Max sorride. «Specialmente per una sedicenne».

Il commento sull’età le brucia un po’, ma Minoo è completamente ubriacata dall’attenzione. Si siede sul divano nero.

Max posa le tazze sul tavolino e si accomoda accanto a lei. C’è soltanto un metro di distanza, fra loro. Minoo potrebbe tendere una mano e toccarlo. Almeno, se lei fosse una persona del tutto diversa, molto più audace e più bella. Se fosse Vanessa, per esempio.

«Gran bella casa» gli dice.

«Grazie». Poi Max tace. Si limita a guardarla con i suoi occhi che oscillano fra il castano e il verde.

Lo sguardo di Minoo vaga verso le tazze di tè che fumano sul tavolino. Grazie al cielo stavolta non ci sono di mezzo le banane. «Si trova bene, qui?» gli chiede. «A Engelsfors, intendo».

«No».

Lei lo guarda, e lui sorride. Minoo non riesce a non ricambiare il sorriso. «Siamo così tremendi?»

«Non è per via degli studenti, ma degli altri docenti. Vogliono che tutto sia esattamente com’è sempre stato. All’inizio credevo che si sarebbero un po’ aperti a qualche cambiamento, ma ormai è passato quasi tutto un quadrimestre...»

Minoo si è sempre figurata che tutti gli insegnanti facessero fronte comune. Che fossero sempre d’accordo fra loro. ‘Mi sta parlando come a un’adulta’ pensa. «Quindi che cosa intende fare?»

«Non saprei. In ogni caso, resterò qui fino all’estate. Poi vedremo».

Minoo tende una mano per prendere la tazza di tè, sperando di riuscire a deglutire l’urlo di ‘Non andartene!’ che le vorrebbe uscire dalla gola. Quando solleva la tazza, l’acqua sciaborda e schizzi bollenti le bagnano la pelle.

«Attenta» dice Max, prendendole di mano la tazza.

Le loro mani si toccano, e Minoo è contenta che ora sia lui a reggere la tazza, altrimenti lei l’avrebbe rovesciata addosso a tutti e due. «Grazie» mormora.

Lui asciuga la tazza con un tovagliolo, poi gliela porge di nuovo. Le dita umide di Minoo scivolano contro il manico liscio di porcellana. Se la porta cautamente alle labbra, sorseggiando il liquido bollente.

«E tu, invece?» chiede Max.

«Che cosa?»

Max solleva una gamba sul divano, in modo da mettersi seduto rivolto verso di lei, con un braccio appoggiato allo schienale. Se soltanto Minoo si spostasse un pochino, appena più vicina, lui potrebbe passarle il braccio intorno alle spalle, come quando erano seduti sulla scala. Lei potrebbe rannicchiarsi contro di lui, appoggiando la testa al suo petto.

«Mi sa che tu ed Engelsfors non andate granché d’accordo» dice Max.

Minoo scoppia a ridere, una risatina nervosa e stupida, e posa la tazza sul tavolino. Ha le mani decisamente troppo malferme. «Io la odio, questa città».

«Lo credo bene» dice Max. «Non c’entri niente, con questo posto». Forse ha visto l’inquietudine nello sguardo di Minoo, perché tende una mano e la appoggia su quella di lei. «Era un complimento» le dice, in tono amichevole.

La mano è calda e morbida, contro quella di lei. E Max non la toglie.

«Anch’io sono cresciuto in una città di provincia. La conosco, quella sensazione di prigionia, di solitudine, di claustrofobia. Però poi ci si rende conto che non è detto che si abbia qualcosa che non va, se non si è adatti a una città come Engelsfors. Anzi, forse è addirittura il contrario».

Minoo distoglie lo sguardo. «Rebecka era adatta. Cioè, voglio dire, non c’era nessuno che la trovasse strana. Eppure era speciale».

«Era molto importante per te» dice Max, con voce morbida. È come un’apertura, un modo per dire: ‘Puoi parlare, se vuoi’.

«Non soltanto per me» dice Minoo, irrequieta. «Voglio dire, tutti la amavano. Soprattutto Gustaf, ovviamente, il suo ragazzo. Erano una coppia perfetta». Quando finalmente riesce a concludere la frase, si appoggia nervosamente allo schienale. La mano di Max è ancora appoggiata alla sua. Domandandosi se si possa sudare anche sul dorso delle mani, rivolge lo sguardo al manifesto. «Chi l’ha dipinto? L’originale, intendo». ‘Meno male che ho dimostrato di aver capito che è un poster, e non un quadro originale’ pensa.

Max toglie la mano. «Dante Gabriel Rossetti». La sua voce ricomincia ad assomigliare a quella di un insegnante. «Apparteneva a un movimento artistico britannico, quello dei Preraffaelliti. La modella si chiamava Jane Morris. Era la musa di Rossetti. Qui l’ha dipinta come Persefone, rapita da Ade, divinità degli inferi, e diventata l’infelice sposa del dio dei morti».

Minoo osserva la pelle lattea della donna e pensa che lei, al confronto, deve apparire come un mostro. «È un bel quadro» dice, voltandosi di nuovo verso Max. «È bella lei».

«Ti ricordi quella mia amica di cui ti ho raccontato? Quella che si è suicidata?» chiede lui a bassa voce.

Minoo annuisce.

«Si chiamava Alice. È stata lei a farmi conoscere questo quadro... Le assomigliava tanto. Una somiglianza impressionante. Scherzava dicendo di essere la reincarnazione di Jane Morris».

«Era innamorato di lei?» Minoo non sa da dove le venga questa domanda.

Max la guarda, stupito, come se lei lo avesse risvegliato. «Sì, ero innamorato».

Minoo lo guarda negli occhi.

«Sei una persona fuori del comune, Minoo» dice lui, sottovoce. «Vorrei...» S’interrompe.

«Che cosa?» chiede Minoo, con un filo di voce. Si sposta più vicino a lui, appena un millimetro, ma le sembra di essersi gettata da un dirupo. ‘Ora o mai più. Fa’ che succeda’ pensa. ‘Ti prego, fa’ che succeda’.

La mano di Max, che poco fa era appoggiata allo schienale del divano, si sposta sulla spalla di lei e rimane lì.

È come se fossero diventati l’uno il riflesso dell’altra. Quando Max si muove verso di lei, Minoo si muove verso di lui, finché non sono tanto vicini che le loro labbra s’incontrano.

Minoo ha sempre avuto paura di commettere errori, la prima volta che avesse baciato qualcuno. Ma ora Max la sta baciando, e non è per niente difficile. È semplice, perfetto. Le sue labbra sono calde e morbide, e sanno un po’ di tè. Le sue mani sono sulla schiena di lei, poi sui fianchi, e Minoo si avvicina ancora di più a lui.

A quel punto, Max si ferma. Stacca le labbra da quelle di Minoo e drizza la schiena, toglie le mani, si preme i polpastrelli sulla fronte e strizza gli occhi, come se gli fosse scoppiato un mal di testa lancinante. «Scusami» dice alla fine. «Non è giusto. Sei una mia allieva... E io sono troppo, troppo vecchio per te...»

«No» lo interrompe lei. «Non capisci. Avrò anche sedici anni, ma non sono una sedicenne. Non riesco neanche a parlarci, con i miei coetanei».

«So come ci si sente». Max scuote la testa. «Ma quando sarai adulta, ti renderai conto di quanto in realtà fossi giovane».

Fa male, così tanto male che Minoo non capisce com’è possibile che lei sia ancora in vita. Si alza dal divano. «Devo andare». Si precipita in salotto e indossa frettolosamente la giacca, ficca i piedi nelle scarpe e incespica verso la porta.

Alle sue spalle, sente la voce di Max. «Minoo».

Abbassa la maniglia e per poco non ruzzola a terra, uscendo. Attraversa la strada e ripercorre lo stesso tragitto di quando è arrivata, correndo più forte che può, senza voltarsi nemmeno una volta.

Quando rallenta, è ormai arrivata al parco di Storvall.

I pochi lampioni proiettano pozzanghere di luce nel buio compatto. Minoo si siede su una panchina.

Cominciano a cadere alcuni fiocchi di neve, poi ne seguono altri, più fitti. La prima vera nevicata dell’anno.

‘Se resto qui seduta senza muovermi, in poco tempo verrò ricoperta completamente’ pensa Minoo, speranzosa. ‘Posso scongelarmi per primavera, morta stecchita’.

Un vago rumore lamentoso giunge attraverso il parco. Minoo aguzza le orecchie nel buio. È impossibile determinare da quale direzione provenga il suono. Il vento sussurra fra i cespugli e i rami nudi degli alberi. Un’ombra scivola nel cono di luce del lampione.

Il gatto.

Subito Minoo sente un fortissimo affetto per quel povero animale.

‘Siamo tutti e due dei disgraziati’ pensa.

«Miciomicio» cerca di attirarlo.

Il gatto si ferma e la guarda. Poi si avvicina di soppiatto. Emette uno hscha, ingobbendosi. Come se qualcosa gli si fosse incastrato in gola. Hscha.

Minoo è contenta di non avere avuto il tempo di accarezzarlo, chissà che malattie porta.

Hscha, fa di nuovo il gatto.

E tutt’a un tratto Minoo si rende conto di che cosa sta facendo l’animale: sta vomitando una palletta di pelo.

«Buonanotte, Gatto» mormora Minoo, alzandosi. «Buona fortuna».

Hscha, risponde Gatto, e dopo un istante qualcosa cade a terra davanti a lui, con un tintinnio. Un piccolo oggetto che brilla alla luce del lampione.

Il gatto guarda Minoo, come per esortarla, e lei si avvicina.

E lì, in una minuscola pozza di saliva e peli di gatto, c’è una chiave.

Minoo esita a lungo, poi la raccoglie.

In segno di conferma, Gatto si struscia un’unica volta contro di lei, per poi sparire nel buio.