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Anna-Karin sente una risata riecheggiare alle sue spalle, e si ferma di colpo nel corridoio che porta alla biblioteca della scuola. Guarda fisso a terra finché il gruppetto di ragazze non è passato oltre. È una vecchia abitudine che è ritornata. Ovviamente non è di lei che ridono. Ormai nessuno ride più di lei.

La prima settimana dopo l’incendio si è rifiutata di andare a scuola, anzi, non è voluta nemmeno uscire dalla fattoria. Ha passato le giornate davanti alla televisione.

«Si potrebbe pensare che andando a trovare il nonno una sola volta ti sei già preoccupata a sufficienza» l’ha rimproverata la mamma.

Gli sbalzi d’umore sono spariti. La mamma è tornata a essere la solita insoddisfatta di sempre.

Domenica, qualcuno ha suonato alla porta. Anna-Karin era seduta con il piede ingessato in posizione sollevata e una scodella di patatine sulle ginocchia, e non aveva la minima intenzione di andare ad aprire. Ma la persona là fuori non si è arresa, e alla fine si è fatta entrare da sé: la porta non era chiusa a chiave.

In confronto alla figura elegante di Adriana Lopez, il salotto è sembrato sciatto e bisunto. Anna-Karin ha ringraziato il cielo che la mamma non fosse in casa.

«Come stai?» ha chiesto Adriana, sedendosi sulla poltrona del nonno.

Anna-Karin è rimasta in silenzio. Si è rifiutata di rispondere a qualsiasi domanda della preside. Aveva deciso di non raccontare mai a nessuno quel che era successo quella notte. Il modo sconsiderato in cui aveva reagito. Il fatto che l’incidente non fosse un incidente. E che lei avesse rischiato di causare la morte del nonno. Il nonno, che secondo la mamma non tornerà mai più come prima.

Alla fine, la preside si è stancata dei silenzi di Anna-Karin, si è alzata e ha detto che si aspettava di vederla a scuola l’indomani.

Soltanto quando la preside ha aperto la porta per andarsene, Anna-Karin ha detto: «Ho smesso di usare i miei poteri. E non li userò mai più. Lo dica pure al Consiglio e alle altre. Mi terrò lontana da voi, è la cosa migliore per tutti».

«Tu sei una Prescelta...»

Ma Anna-Karin non ha risposto nemmeno a questo.

Quando è tornata a scuola, per la prima volta dopo le vacanze di Natale, si è trattenuta a lungo davanti al cancello, con le sue stampelle. L’avrebbero odiata più che mai? Si sarebbero accorti che quella cicciona di Pezzata, la bifolca puzzolente, li aveva abbindolati per tutto quel tempo?

Poi Ida è venuta verso di lei, con Julia e Felicia. E Julia e Felicia non guardavano nemmeno nella sua direzione. Non che la stessero ignorando. Non erano loro a trattarla come se fosse aria. Lei era aria. Non davano il minimo segno di riconoscerla.

Ida, invece, l’ha guardata. Ha trattenuto lo sguardo su Anna-Karin per qualche secondo. Poi ha finto di ridere di una battuta di Felicia, dopodiché sono scomparse in una nuvola di capelli biondi e profumi floreali.

Adesso sono passati due mesi, e Anna-Karin è il fantasma della Scuola Superiore di Engelsfors. È come se tutti i ricordi di lei fossero stati cancellati. Tanto quelli buoni quanto quelli cattivi. Perfino i professori, ogni tanto, si dimenticano di lei, non notano la sua mano alzata, oppure, quando fanno l’appello, esitano per un istante prima di pronunciare il suo nome, come se non lo riconoscessero.

Ora Anna-Karin si affretta a entrare nella biblioteca e si guarda intorno, impaurita. La bibliotecaria non solleva nemmeno lo sguardo, quando la ragazza-fantasma mormora un ‘buongiorno’.

Si infila nella piccola nicchia in cui si siede di solito. È nascosta da una scaffalatura, e quasi nessuno si accorge della sua esistenza. Si raggomitola su una poltroncina verde scuro consunta, con il suo libro di fisica. Da qualche mese utilizza ogni minuto libero per riempirsi la testa di nozioni, per evitare di pensare.

«Ciao» sente dire Linnéa.

Anna-Karin non alza nemmeno lo sguardo. Anzi, abbassa la testa e si nasconde dietro ai capelli. Gliel’ha già detto almeno cento volte, che non vuole parlare con loro.

«Non ho intenzione di muovermi di qui finché non mi avrai rivolto la parola» dice Linnéa.

‘Allora ti toccherà aspettare parecchio’ pensa Anna-Karin. ‘Ho passato gli ultimi nove anni a esercitarmi a stare zitta’.

«Che cosa stai combinando? Non puoi comportarti così, Anna-Karin. Noi abbiamo bisogno di te. E credo che anche tu abbia bisogno di noi».

Anna-Karin tace, ostinata. Ma è stupita. Linnéa non sembra più lei. Sta parlando come se fosse davvero preoccupata. Proprio lei, che di solito è tanto insofferente, come se il mondo intero la irritasse.

«E va bene» sospira Linnéa. «Però è successa una cosa. Una cosa bella».

«Cioè?» mormora Anna-Karin.

Linnéa si china in avanti e parla a voce ancora più bassa. «Il libro ci ha mostrato come produrre un siero della verità, e cercheremo di convincere Gustaf a berlo. A quel punto, potremo fargli raccontare tutta la storia del suo doppione. Ma per produrre questo siero occorre eseguire un rituale. È una magia molto più pesante di qualunque altra cosa abbiamo fatto finora, e devi esserci anche tu. Tutto dipende da me e da te. Terra e acqua».

Anna-Karin pensa che avrebbe dovuto capirlo: Linnéa vuole qualcosa, ecco perché ha fatto finta di essere preoccupata per lei. «No» risponde. «Fate senza di me».

«Anna-Karin...»

«Blaterare non serve a niente. Vattene».

Linnéa comincia a rovistare nella sua borsetta. «Non prima che tu ci abbia aiutate» dice, tirando fuori uno spillo e un accendino.

Anna-Karin si ritrae.

Linnéa tiene per qualche istante lo spillo sulla fiamma, poi ripone l’accendino e tira fuori un tovagliolo e una piccola provetta. «Se non hai intenzione di esserci anche tu, ci serve almeno il tuo sangue. Il libro dice che il rituale è molto più rischioso se non vieni tu a tracciare i cerchi, ma con il tuo sangue nel simbolo di forza, mi sarà un pochino più facile controllare l’energia. E sottolineo un pochino».

Anna-Karin capisce all’incirca la metà di quel che Linnéa sta dicendo. Devono avere imparato molte cose, negli ultimi tempi.

«Mi serve solo qualche goccia» dice Linnéa.

«D’accordo» risponde Anna-Karin. «Purché poi tu te ne vada».

Le porge la mano sinistra. Non prova nessun dolore, quando Linnéa le infila la punta dell’ago nell’indice. Ma quando glielo stringe per fare uscire alcune gocce di sangue, facendole cadere nella provetta, Anna-Karin è costretta a distogliere lo sguardo. Linnéa stringe più forte, facendo sgorgare altre gocce.

Finalmente asciuga il dito di Anna-Karin, getta l’ago e il tovagliolo insanguinato in un cestino dei rifiuti, tappa la provetta e la ripone nella borsetta. «Capisco il trauma dell’incidente» dice, porgendole un cerotto. «Ma non puoi pensare soltanto a te stessa».

«Non capisci niente».

«No, infatti, che ne so io, dei traumi?» dice Linnéa, in tono ironico. «Grazie dell’aiuto».

Linnéa scompare dietro alle scaffalature. Anna-Karin sente il dito pulsare debolmente, mentre si mette il cerotto. Riapre il libro di fisica e cerca di leggere, ma non riesce a imparare nemmeno una riga. Rinuncia, e impreca contro Linnéa. Ora le tocca trovare un nuovo nascondiglio.

* * *

«Anna-Karin comincia a farmi girare le scatole» dice Vanessa.

Minoo è seduta al tavolo della cucina di Nicolaus. Lui e Gatto le hanno appena lasciate sole nell’appartamento. A Minoo fa un po’ pena, a pensarlo lì seduto da Sture&Co per tutta la sera, ad aspettare che loro abbiano finito, ma il Libro dei Modelli è stato molto chiaro: soltanto le Prescelte possono presenziare al rituale.

Minoo mescola con un cucchiaio di legno in una terrina di plastica e vede il sangue di Anna-Karin disciogliersi nella poltiglia che servirà da simbolo di forza nel cerchio interno. Sta mescolando da mezz’ora e comincia ad avere le braccia indolenzite. Secondo Ida, nel libro c’è scritto Amalgama bene, come se fosse la ricetta di una torta.

A parte il sangue di Anna-Karin e di Linnéa, l’intruglio è costituito da ectoplasma, terra prelevata dalle tombe di Elias e Rebecka, latte inacidito al chiaro di luna e saliva di Minoo e Vanessa. Ora manca soltanto il contributo salivare di Ida.

«Cioè, prima passa l’autunno ad andare in giro per la scuola a fare la diva, mettendoci nei casini» prosegue Vanessa, «e adesso non vuole partecipare, mettendoci nei casini un’altra volta. Non è che noialtre siamo qui come volontarie».

«Già» dice Minoo. «Però io non credo che lei abbia la vita facile, dopo tutto quello che è successo. Ho sentito dire che devono vendere la fattoria».

L’incendio ha risvegliato parecchia attenzione. Gira voce che la mamma di Anna-Karin abbia appiccato il fuoco alla stalla per intascare i soldi dell’assicurazione.

«Ma perché ci evita?» dice Vanessa. «Noi abbiamo solo cercato di sostenerla».

Minoo si è domandata la stessa cosa. Anna-Karin ha ignorato tutti i loro tentativi di stabilire un contatto. All’inizio non le è parso poi così strano, dopotutto Anna-Karin doveva essere rimasta traumatizzata. Adesso, però, è sempre più convinta che quella ragazza stia nascondendo qualcosa.

«Secondo me in quell’incidente c’è qualcosa che non quadra» dice Linnéa, entrando in cucina.

«In che senso?» chiede Minoo.

«Mah, ho come la sensazione che lei abbia la coscienza sporca». Linnéa si avvicina al tavolo e getta un’occhiata nella terrina di plastica. «Porca vacca».

«Che ne dici, lo usiamo come smalto per le unghie?» le dice Vanessa.

«Adesso una di voi deve darmi il cambio. Mi si sta staccando il braccio» dice Minoo.

Linnéa prende la terrina e il cucchiaio dalle mani di Minoo e comincia a mescolare. Minoo si appoggia allo schienale della sedia e la guarda.

È la prima volta che gettano un incantesimo, e dal momento che Anna-Karin si rifiuta di partecipare, le loro probabilità di successo sono calate drasticamente. Ora dipende tutto da Linnéa.

La porta di casa si apre e si richiude sbattendo.

«Ed ecco Ida» dice Linnéa, non esattamente contrariata, ma tutt’altro che entusiasta.

Ida ha le occhiaie e tira su col naso. Si è presa l’influenza che gira per la scuola, e in realtà dovrebbe essere a casa sua, a letto.

Linnéa le porge la terrina senza dire una parola. Ida tossisce e ci sputa dentro.

Linnéa fa una piccola smorfia, poi ricomincia a mescolare con il cucchiaio. «Oh, cazzo».

Minoo guarda nella terrina. Quella che fino a pochi istanti fa era una poltiglia grumosa si è trasformata in un impasto rossiccio del tutto omogeneo.

«Io direi che è meglio cominciare» dice Linnéa.

* * *

I pochi mobili nel salotto di Nicolaus sono stati spinti contro le pareti. Le veneziane sono abbassate. Tutte le luci sono spente. Ida ha piazzato quattro grosse candele bianche in ognuno degli angoli della stanza e le ha accese. Il rituale, chissà perché, non si può eseguire alla luce del giorno, né sotto illuminazione elettrica.

‘Sembra un film di serie B, in cui i protagonisti stanno per celebrare una messa satanica, oppure fare un’orgia. O anche ambedue le cose’ pensa Vanessa.

«Ricordate» dice Ida. «Nessuna può uscire da questa stanza, né varcare il cerchio esterno, prima che il rituale sia completato. Altrimenti va tutto a monte. Quindi, se avete bisogno di andare in bagno, approfittatene subito. Io devo solo prendere una tachipirina...» Sparisce in cucina.

Linnéa è al centro della stanza. Ha i capelli raccolti in una coda di cavallo, e ha tirato da una parte la lunga frangia. Vanessa vede che ha paura.

Il bagliore delle fiammelle danza sulle pareti e sui loro volti. La serietà del momento comincia a farsi evidente. C’è aria di solennità.

«Molto bene» tossisce Ida, tornando in salotto. «Sei pronta, Linnéa?»

«Sì» risponde lei, sottovoce.

Vanessa svita il tappo del barattolo che contiene il resto dell’ectoplasma e lo porge a Linnéa, che lo prende e le afferra la mano. «Se qualcosa va storto...» mormora.

«Non andrà storto niente» risponde Vanessa. «Ce la farai. E noi siamo sempre qui».

Linnéa annuisce e molla la presa.

Minoo si fa avanti e appoggia per terra, ai piedi di Linnéa, la terrina di plastica e un piccolo barattolo di vetro. Se tutto va secondo programma, al termine del rituale il barattolo sarà pieno di siero della verità. «In bocca al lupo».

«Crepi».

«In bocca al lupo» mormora Ida.

Linnéa le lancia una rapida occhiata. «Crepi» taglia corto. «E adesso cominciamo».

Vanessa si mette contro una parete, insieme a Ida e Minoo. ‘Stupida Anna-Karin. Dovrebbe essere qui. Non avrebbe dovuto lasciare da sola Linnéa. Se fossero in due, lo sforzo sarebbe minore. E anche il rischio’.

«Cerchio che lega» dice Ida.

È l’inizio.

Linnéa fa un respiro lungo e profondo. Poi immerge le tre dita centrali della mano sinistra nel barattolo di ectoplasma puro e si inginocchia. Lentamente comincia a tracciare il cerchio esterno.

Le sue dita lasciano sul parquet chiaro una traccia di ectoplasma di un’uniformità innaturale. È come se quel muco che sembra albume montato avesse una volontà propria e si disponesse in modo omogeneo.

Vanessa sa che è impossibile tracciare a occhio un cerchio perfetto. Eppure è esattamente quel che Linnéa sta facendo.

Quando il cerchio si chiude intorno a Linnéa, Vanessa sente un brivido attraversarle il corpo. Il silenzio si infittisce. L’unico suono che si sente è il respiro di Linnéa, che si rialza in piedi e si terge il sudore dalla fronte. Non le vede più. È completamente immersa all’interno di se stessa.

«Cerchio che dà forza» dice Ida.

Linnéa si posiziona al centro del cerchio. Immerge la mano nel barattolo e comincia a tracciare allo stesso modo il cerchio interno. Il suo vestito bianco è bagnato. Il sudore le cola dalla nuca, giù fra le scapole, gronda dall’attaccatura dei capelli, e le gocce sembrano evaporare nell’istante stesso in cui colpiscono il parquet.

Quando il cerchio interno si chiude, Vanessa sente lo stesso tremito, ma stavolta più forte. Vibra attraverso la struttura ossea, fino ai denti. Linnéa si rialza in piedi e vacilla.

«Simbolo di forza» mormora Ida.

Linnéa prende la terrina di plastica, immerge la mano in quell’impasto rossastro e comincia a tracciare i simboli dell’elemento acqua e dell’elemento terra, in modo che insieme formino un unico segno.

Mentre Linnéa disegna, Vanessa sente la pelle accapponarsi su tutto il corpo. Un rumore sordo, quasi oltre la soglia dell’udibile per l’orecchio umano, riempie la stanza. Le fanno male i timpani.

E le ombre hanno qualcosa che non quadra.

Si sono moltiplicate.

Le mani di Vanessa cercano quelle di Minoo e Ida. O sono le loro a cercare le sue? Non ne è sicura. Ma in qualche modo sa che questo aiuta Linnéa.

Linnéa posa il barattolo piccolo sopra il simbolo di forza e preme una mano sull’apertura. I suoi respiri rapidi sovrastano il rumore sordo. I muscoli del suo braccio si tendono, e la schiena si incurva come quella di un gatto. E il rumore sordo vibra nel sangue di Vanessa, alzandosi e abbassandosi, mentre le ombre pulsano lungo le pareti. Alcune voci sussurrano in antiche lingue dimenticate. L’aria ha un odore salato. Il torace di Linnéa si gonfia sempre più velocemente.

Improvvisamente, Linnéa toglie di scatto la mano dal barattolo e si accascia.

Le fiamme delle candele vacillano, rischiando di spegnersi. Quando riprendono ad ardere stabilmente, le ombre estranee sono sparite. Il rumore sordo è scomparso, e la stanza comincia a tornare alla normalità. Vanessa sente il televisore dell’appartamento al piano di sopra. C’è anche un bambino che corre, lassù. Lascia andare le mani delle altre. «Linnéa?»

Linnéa non risponde. Non si muove.

«È finito?» chiede Minoo.

«Aspetta un attimo» dice Ida.

Vanessa cerca di vedere se Linnéa sta respirando. Impossibile capirlo. Si spaventa.

«Non rompete il cerchio!» urla Ida.

Ma è troppo tardi. Vanessa si è già avvicinata a Linnéa, si inginocchia e si china in avanti, accostando il viso al suo. Prova un’ondata di sollievo quando vede che le labbra di Linnéa cominciano a muoversi, come se stesse cercando di dire qualcosa.

«Sono qui» sussurra Vanessa, prendendo la mano umidiccia di Linnéa.

«Cazzo» dice Ida. «Ci abbiamo messo due ore».

«Ha funzionato?» chiede Linnéa, stringendo le palpebre per vedere Vanessa.

Vanessa guarda il barattolo che Minoo sta raccogliendo. C’è uno strato di un centimetro di un liquido torbido. Non ha l’aspetto che Vanessa si era immaginata, quello di una tisana magica. D’altro canto, non sa nemmeno lei che cosa si era aspettata di preciso. Qualcosa di luminescente, forse. Un mulinello di piccole opalescenze. Un misterioso scintillio. Questo liquido, invece, sembra pescato dai fondali fangosi del Dammsjön.

«C’è solo un modo per scoprirlo» dice Minoo.

Linnéa, seduta al tavolo della cucina di Nicolaus, si sta ingozzando di maccheroni direttamente dalla pentola. Fra un boccone e l’altro, ingurgita aranciata. Sembra esausta, ma almeno non è più mezza morta. Vanessa prova sollievo. Il rituale è finito e Linnéa sta bene. Se poi il siero funzioni o meno non sembra poi così importante.

«Io non ci sto» dice Ida, deglutendo un’altra tachipirina. «Si dà il caso che io sia malata. E poi ho appena preso del paracetamolo. Magari ha degli effetti collaterali».

«Suvvia» dice Linnéa, ingollando un’altra forchettata di maccheroni. «Dobbiamo collaudarlo, prima di usarlo su Gustaf».

«Fai in fretta a dirlo, tu, che non devi...»

«Scusa? Non ti pare che io abbia già fatto abbastanza, per stasera?» chiede Linnéa, con la bocca piena.

Ida tace.

Sul tavolo ci sono tre piccole tazze di aranciata. In una di esse, Linnéa ha versato una goccia di siero della verità.

«Beviamo contemporaneamente» dice Minoo, ma sembra spaventata a morte. «Linnéa, hai pensato a una domanda? Niente di troppo personale».

«No, certo» dice Linnéa, con un sorriso che improvvisamente innervosisce Vanessa.

Non che Vanessa abbia segreti. O sì? E se capitasse a lei la tazza che spalanca il cervello davanti a Linnéa? E se Linnéa le chiedesse una cosa che nemmeno lei sa di voler tenere nascosta?

Vanessa tende la mano verso la tazza al centro, ma Ida la precede, quindi prende quella a sinistra, e Minoo quella a destra.

«Non riesco a credere che mi sto prestando a questa cosa» borbotta Ida.

«Bene» dice Linnéa. «Uno. Due. Bevete!»

Vanessa vuota la tazza in un sorso, poi la posa sul tavolo. Schiocca delicatamente la lingua, cercando di sentire se ci sia qualcosa di strano nel sapore. Ida soffoca un rutto.

«Minoo» dice Linnéa, con un ampio sorriso. «Che cosa ti fa più paura che io ti chieda, in questo momento?»

Minoo ricambia il sorriso. Sembra sollevata. «Non ho intenzione di dirtelo».

Linnéa si volta verso Vanessa, e i suoi occhi scuri la perforano. «E tu, Vanessa? Che cos’hai più paura di dover rivelare?»

«Io non ho paura di niente». Soltanto quando sente se stessa pronunciare questa bugia, si convince di essersela cavata.

Guardano Ida. Ora o mai più: se non funziona su di lei, non funziona affatto.

«E tu, Ida...»

«Allora» dice Ida. «Quanto è alta la probabilità di fare quest’esperienza due volte? Io trovo che sia profondamente ingiusto che il siero della verità sia capitato a me, perché già quella volta, a Kärrgruvan, Anna-Karin mi ha costretta a dire la verità, e poi non ho nessunissima voglia di venirvi a raccontare che sono innamorata di G fin da quando avevo dieci anni». La sua bocca si chiude di scatto. Gli occhi si dilatano.

«Sembra proprio che il siero funzioni a dovere» dice Minoo.

«Che cos’ho detto?» chiede Ida.

Vanessa scoppia a ridere. «Questo spiega molte cose».

«Che cosa? Dimmi!»

Linnéa fa un sorrisetto. «Il siero te l’ha già fatto dimenticare. Non è il massimo?»

Ida si alza dal tavolo e si stringe nel maglione. Tira su col naso in modo esagerato, come per ricordare alle altre che lei è malata, e che dovrebbero essere gentili con lei. «Qualunque cosa io abbia detto, me ne prendo tutta la responsabilità. E adesso me ne vado a casa e mi metto a letto».

«Guarisci presto» dice Minoo.

Ida tira su col naso un’altra volta e giocherella nervosamente con la catenina. «Se fate le pettegole a scuola, vi rovino».

«Non ti preoccupare» dice Linnéa. «Non lo diremo a nessuno, che hai dei sentimenti».

* * *

Quando Anna-Karin entra nel vestibolo viene accolta da una salva di risate dal televisore. Non le occorre nemmeno sbirciare in salotto per sapere che la mamma è sdraiata sul divano. Forse si è di nuovo addormentata con una sigaretta in mano, ma Anna-Karin non ha la forza di andare a controllare.

Va in cucina, tira fuori dal frigorifero una scatola di cioccolatini e prende dal portapane un sacchetto di francesini. Riempie i panini con i cioccolatini e li mangia in piedi, accompagnandoli con un bicchiere di latte, ma stavolta non le danno quella piacevole sensazione di stanchezza. Soltanto nausea.

Guarda verso la finestra che dà sulla casa del nonno. Come se si aspettasse di vederlo seduto lì, al solito posto, a farle cenno di raggiungerlo.

Si domanda se il nonno si sia accorto che lei non è andata a trovarlo all’ospedale.

Tutt’a un tratto sente qualcosa di caldo e morbido premersi contro il suo polpaccio. Si china e vede gli occhi verdi di Pepe. «Ciao, piccolo» gli sussurra.

Si siede per terra e prende in braccio il gatto, accarezzandogli il pelo morbido.

Pepe fa le fusa. La gente in televisione ride.

«Almeno a te piaccio di nuovo» bamboleggia Anna-Karin.

Ma nonostante Pepe, si sente più sola che mai. Le parole di Linnéa la consumano. Anna-Karin si è convinta di essersi messa in disparte per proteggere gli altri: è pericolosa, può fare del male. Ma se avesse ragione Linnéa? Se davvero Anna-Karin fosse soltanto una vigliacca egoista?