Minoo ha un’ora buca, prima dell’ultima lezione. Sale all’ultimo piano dell’edificio della scuola e segue il corridoio che finisce con la porta che dà sul tetto. I bagni di questo piano sono stati riaperti. La porta scarabocchiata è stata cambiata durante le vacanze di Natale, ma sono già comparsi nuovi messaggi.
Alcuni sono per Elias, altri per Rebecka, ma molti sembrano parlare di persone del tutto diverse, di tutt’altre vite.
Minoo abbassa la maniglia ed entra. La pulizia è quasi innaturale, per il bagno di una scuola. Anche se ci sono studenti che scrivono sulla porta, è raro che qualcuno venga qui dentro. C’è qualcosa che li trattiene.
Le piastrelle bianche luccicano intorno a Minoo. È tornata dove tutto è cominciato.
Si avvicina al cubicolo in cui è morto Elias. Ovviamente non sono rimaste tracce. Che cosa si era aspettata?
Minoo osserva i lavandini. Gli specchi sono stati portati via, forse per paura che a qualcuno salti in testa di imitare Elias?
Ma Minoo è solo contenta di non potersi vedere allo specchio. Ha scrutato la propria immagine troppe volte e troppo a lungo. E ha sempre odiato quel che vedeva.
Quando Anna-Karin le ha detto che somiglia a quella bella donna del quadro, all’inizio non è riuscita a crederci. Ma non appena Anna-Karin ha pronunciato la parola ‘reincarnazione’, tutto ha cominciato a quadrare.
Ora devi svegliarti.
Devi avere il coraggio di vedere te stessa così come vieni vista.
‘Reincarnazione’. La stessa parola che ha usato Max.
Io ti amo, Minoo. Ti ho amata dalla prima volta che ti ho vista.
Quella non era la prima volta che la vedeva.
Minoo somiglia alla donna del quadro. La donna del quadro somiglia ad Alice. Il grande amore. Ecco perché non è riuscito a uccidere Minoo. Sarebbe stato come veder morire Alice una seconda volta.
Non voglio farlo. Non voglio ascoltare.
Il colpevole è Max. È stato lui a uccidere Elias. È stato lui a uccidere Rebecka. È stato lui a cercare di uccidere Minoo e Anna-Karin.
Tutto quadra, e in modo spaventosamente preciso, eppure Minoo non riesce a crederci.
Tira fuori la fialetta marrone dalla tasca del maglione.
Deve saperlo per certo.
* * *
«Se torni ad abitare da noi, dobbiamo stabilire delle regole».
Vanessa e sua madre sono le uniche persone al Monique. È stata Vanessa a proporre di incontrarsi qui, in zona neutrale, ma sta cominciando a pentirsene. Preferirebbe trovarsi in un luogo nel quale poter strillare senza ritegno verso la mamma. E magari anche sbattere una porta. «Regole?» le fa eco, inarcando le sopracciglia.
La mamma rigira il cucchiaino nella mano. Non ha quasi toccato il caffè, e il dolcetto alla mandorla è ancora intatto sul piattino. «Sì. Non possiamo ricominciare come prima».
«Su questo sono d’accordo» dice Vanessa, prendendo un sorso di caffè, sapendo benissimo che si stanno riferendo a due cose completamente diverse.
«Non sono stata abbastanza severa. Hai cominciato troppo presto a uscire a far baldoria e a vederti con i maschi».
«Tale madre, tale figlia, eh?» sbuffa Vanessa.
Il cucchiaino cessa di girare. La mamma la guarda negli occhi. «Sì, immagino di sì».
«Ma adesso è tutto cambiato? È arrivato il momento di fare la mamma per davvero?» ‘Perché sto facendo così?’ pensa Vanessa. ‘Perché rovino tutto fin dall’inizio?’
«Se parti con questo atteggiamento...» La mamma si accinge ad alzarsi.
«Scusa» dice Vanessa. Questa parola le lascia l’amaro in bocca, ma la mamma resta seduta, e questa è la cosa importante. «Però anche tu devi cercare di metterti nei miei panni».
«Non ti pare che ci stia già provando?»
Vanessa prende un altro sorso di caffè per evitare di rispondere urlando un ‘no’. Poi dice: «Veramente non saprei. Sembra che non te ne freghi niente. Non ti sei neanche fatta sentire, nemmeno a Natale». Parla a mitraglia, per evitare che le tremi la voce.
«E invece mi interesso eccome!» dice la mamma.
Vanessa non osa fidarsi della propria voce, quindi si limita a fare spallucce.
«Ho pregato Sirpa di non dirvi niente, ma ci sentivamo almeno una volta alla settimana» dice la mamma. «Ho pensato che la cosa migliore fosse che tu tornassi da me quando ti fossi sentita pronta».
Si china in avanti per avvicinarsi, ma Vanessa arretra fino a toccare lo schienale della sedia.
«Come mai vuoi tornare a casa?» chiede la mamma, cercando di fingere che quest’ultimo gesto non ci sia stato. «Le cose tra te e Wille non funzionano?»
«Con Wille va tutto benissimo» dice Vanessa, accorgendosi lei per prima di avere un tono troppo ostinato, e quindi di quanto sia chiaro che sta mentendo. Si volta a guardare fuori dalla vetrina. «Solo che non mi sembra giusto nei confronti di Sirpa».
«Tutto qui?»
Vanessa si guarda le mani. Soltanto ora si accorge che anche lei sta rigirando il cucchiaino. Sa benissimo che cosa vorrebbe dire, quindi perché è tanto restia a parlare? «Mi mancate. Tu e Melvin».
«E tu manchi a noi. Tantissimo».
La mamma ha la voce rotta, e Vanessa non ha il coraggio di guardarla. Ha paura di mettersi a frignare.
«Voglio soltanto che le cose funzionino» sospira pesantemente la mamma. «Voglio solo che siamo una famiglia».
«Lo voglio anch’io» dice Vanessa. «Ma c’è una cosa che devo sapere. Non ti passa mai per l’anticamera del cervello che magari Nicke non si comporti sempre in modo del tutto corretto? Che forse, se le cose non funzionano, la colpa non sia tutta mia?»
«Io non ho mai detto che la colpa fosse tutta tua» dice la mamma, con quel tono da martire che Vanessa detesta sopra ogni cosa. Poi chiude la mano, e le sue unghie sembrano piccole mezzelune rosse contro il palmo.
«Parlavi di regole» dice Vanessa, ostinata.
«Potrai uscire la sera soltanto nel fine settimana» dice la mamma.
Vanessa non protesta. Anche perché ormai è esperta nell’uscire e rientrare di nascosto, senza che la mamma si accorga di niente.
«Non ho intenzione di cercare di impedirti di vedere Wille» continua la mamma. «Ti chiedo soltanto una cosa. Per favore, Vanessa, stai attenta. Non farti trascinare in cose strane. Me lo prometti?»
«Non so di che cosa tu stia parlando, ma va bene».
«E poi forse sarebbe una buona idea che Wille non venisse più a casa nostra». Mentre dice quest’ultima frase, la mamma distoglie lo sguardo, e Vanessa capisce immediatamente che questa piccola condizione è stata posta da Nicke.
«Non credo che ne abbia intenzione nemmeno lui» dice Vanessa, in tono severo. «Soprattutto visto com’è stato trattato l’ultima volta».
«Lo posso capire».
Quest’ammissione non sarà poi granché, ma non era mai capitato, prima d’ora, che la mamma riconoscesse un torto di Nicke.
«Tra l’altro, abbiamo aggiustato il rubinetto della doccia» continua la mamma, accennando un sorriso. «Così non ci si scotta più, la mattina».
«Nicke è riuscito a...?»
«No» dice la mamma. «Alla fine abbiamo chiamato degli operai. Hanno tirato via tutto quello che Nicke aveva fatto, e hanno ricominciato daccapo. Se li avessimo chiamati già all’inizio, ci sarebbe costato la metà».
Ora Vanessa si accorge che quella curvatura all’angolo della bocca della mamma è davvero un sorriso. E che forse c’è un pochino di speranza, nonostante tutto.
* * *
All’ultima ora c’è lezione di fisica, e si lavora a coppie. Minoo lascia che sia il suo compagno di laboratorio, Levan, a costruire una rampa sulla quale lanciare un piccolo vagone per dimostrare... un bel niente. Non riesce a concentrarsi sul problema. Non riesce a pensare. Evita di guardare Max. Evita di guardare Anna-Karin. Deve concentrarsi per non andare in iperventilazione, per non lasciarsi prendere dal panico. Levan costruisce e misura. La mano di Minoo prende appunti in modo automatico.
Infila l’altra mano nella tasca e con la punta delle dita tasta la fialetta di vetro. Lancia un’occhiata verso la tazza di caffè di Max, appoggiata sulla cattedra. Mancano cinque minuti alla fine della lezione. Max è in fondo all’aula, con la schiena voltata verso di lei, e sta aiutando Kevin Månsson.
«Vado un attimo a soffiarmi il naso» dice Minoo a Levan. Si avvicina lentamente alla cattedra. Appeso alla parete accanto, c’è il portarotolo con la carta da cucina.
Sbircia in direzione di Max, e lo vede ancora chinato, intento a spiegare qualcosa a Kevin. Vorrebbe tanto poter sentire di che cosa stanno parlando, in modo da capire se sono ancora nel bel mezzo del dialogo o se stanno per concluderlo. Le viene quasi da ridere al pensiero che la sopravvivenza delle Prescelte e il futuro del mondo possano dipendere da Kevin, cioè dal fatto che lui sia abbastanza lento di comprendonio da aver bisogno dell’aiuto di Max per un tempo sufficiente a permettere a Minoo di fare quel che deve.
Minoo tira fuori la fialetta dalla tasca del maglione. Ha le dita scivolose, ma riesce a non farla cadere. Il cuore batte così forte che Minoo teme che lo senta perfino Max.
Svita il tappo con contagocce incorporato. La tazza di caffè è sulla cattedra, a pochi decimetri di distanza. All’interno c’è ancora circa mezzo decilitro di caffè nero.
Max finisce sempre di berlo, prima della fine di ogni lezione.
Minoo lancia un’occhiata nervosa alle proprie spalle. Tutti sono seduti a fissare le proprie rampe. Max è ancora con Kevin. Ora o mai più.
‘Fallo e basta’ pensa Minoo.
Ci vuole solo un paio di secondi. Tende la mano, preme il piccolo cappuccio di gomma del contagocce e lo ritira subito. Non sa se ne sia davvero uscito qualcosa. Nella fiala sono rimaste soltanto poche gocce. Con il cuore che martella all’impazzata, alza lo sguardo.
Max si è allontanato da Kevin e gira per l’aula, con le mani intrecciate dietro la schiena.
Si è accorto? Minoo non lo sa. Non lo sa proprio.
L’espressione di Max è neutra. Normale.
‘Rilassati’ pensa, ritornando verso il suo banco. ‘La prima parte è fatta’.
Ed ecco lo squillo rauco della campanella. Levan ha già messo via l’attrezzatura, e rivolge a Minoo un’occhiata perplessa. Ha fatto tutto lui.
«Scusa, oggi sono stanchissima» dice lei.
«Certo» taglia corto Levan, rimettendo le sue cose nella borsa.
Minoo ripone i libri nello zaino con tutta la lentezza di cui è capace, mentre i compagni escono in tutta calma dall’aula. Come mai si attardano proprio oggi? Vorrebbe gridare loro di correre via, come fanno sempre.
Ma finalmente resta da sola con Max. Lui tiene in mano la tazza di caffè. L’avrà bevuta? Minoo cerca di decifrare la sua espressione.
«Tutto a posto?» chiede Max.
Minoo si sforza di sorridere, ma gli angoli della bocca le tremano. «Sì, certo. Perché?»
«Io però vedo che c’è qualcosa» dice lui.
Minoo si avvicina alla cattedra. Incrocia il suo sguardo. I suoi begli occhi castani che tendono al verde. Gli occhi di un assassino.
Lui la guarda, mentre beve quel che resta nella tazza. Il pomo d’adamo si muove, mentre deglutisce.
Max si schiarisce la gola. Deglutisce un’altra volta. «Non c’è... aria viziata, qui dentro?»
E Minoo capisce che sta funzionando. «Sei stato tu?» dice sottovoce. «Sei stato tu a uccidere Elias e Rebecka?»
Attendere la risposta è come cadere attraverso lo spazio, sempre più velocemente per ogni millesimo di secondo.
«Sì» dice Max.
Ed eccola, la risposta. Quella che cambia tutto.
L’amore che Minoo provava per lui, quell’amore che sembrava sconfinato ed eterno, non esiste più. Non avrebbe mai creduto che si potesse smettere di amare così all’improvviso. Ma il Max di cui era innamorata non esiste. Non è mai esistito.
«Sei stato tu a prendere le sembianze di Gustaf, al sottopassaggio?»
«Sì. Volevo stare con te».
«Perché proprio Gustaf?»
«Sembra piacerti. Gustaf piace a tutti. Rebecka si fidava di lui».
«Sai chi sono le altre Prescelte?»
«So solo di te e di Anna-Karin. Ne mancano tre».
Minoo prova un enorme sollievo: Vanessa, Linnéa e Ida non corrono un pericolo immediato.
Tutt’a un tratto, un pensiero tremendo si fa strada dentro di lei. Si tratta di una cosa alla quale Anna-Karin ha accennato ieri, e che Minoo finora non ha preso in considerazione.
Quindi, dopo che Elias è stato ucciso... l’assassino ha acquisito la capacità di assumere l’aspetto di chiunque...
«Hai assunto l’aspetto di qualcun altro? Le mie o quelle di Anna-Karin?»
«Ci ho provato» dice Max. «Però, chissà perché, riesco a prendere soltanto le sembianze di altri maschi. Loro me l’hanno detto, che alcuni hanno questa limitazione e riescono a trasformarsi solamente in persone del proprio stesso sesso».
«Loro?»
«Quelli che mi hanno benedetto» risponde Max, senza battere ciglio. «Mi hanno parlato di voi. E mi hanno detto quello che devo fare».
«Li hai visti? Li hai incontrati?»
«No. All’inizio erano soltanto voci nei miei sogni. Adesso però le sento anche da sveglio. Loro sono sempre insieme a me. Adesso mi stanno dicendo di tacere, ma non ci riesco».
«Perché?» chiede Minoo. «Perché ci stai uccidendo?»
«Ho stretto un patto con loro. Ma adesso è stato cambiato». Le rivolge uno sguardo vitreo e sorride. «Non devi preoccuparti, Minoo. Su di te c’è un piano diverso».
Minoo sente i capelli rizzarsi sulla nuca. «Un piano?»
«Non mi hanno ancora comunicato i dettagli. La cosa importante è che hanno accettato di lasciarti vivere. Questa è l’unica cosa che conta, per me».
«Però non hai nessun problema ad ammazzare le persone alle quali non ti è capitato di affezionarti?»
«La cosa non mi piace, ma è necessaria».
«Necessaria?»
Max batte le palpebre. L’effetto del siero sta cessando. La fissa come se soltanto in questo momento si fosse accorto della sua presenza. «Di che cosa stavamo parlando?»
Minoo apre la bocca, ma non riesce a spiccicare parola. È come se avesse esaurito le bugie.
E Max se ne accorge.
O forse sono stati i demoni a comunicargli quel che è appena accaduto? Loro non sono caduti sotto l’effetto del siero.
Lo sguardo di Max si fa severo.
Minoo cerca di andare verso la porta, ma lui le afferra un polso e lo stringe forte. La trascina verso di sé.
«Lasciami!» La voce di Minoo è debolissima, come in uno di quei sogni nei quali non si riesce a urlare, soltanto a sussurrare.
«Che cos’hai fatto?»
«Niente».
«Che cos’hai fatto?» ripete Max.
«Non so di che cosa stai parlando» risponde Minoo, sottovoce. «Devo andare».
Finalmente Max molla la presa. Poi, implorante, dice: «Io non ti farò del male, Minoo».
Ma a lei viene da vomitare al solo pensiero di averlo baciato.
Come ha potuto baciarlo due volte senza accorgersi che l’assassino era lui? E con che coraggio lo racconterà alle altre?
«Non so di che cosa stai parlando» ripete Minoo, poi corre fuori dall’aula e giù per le scale.