L’aria di giugno è stata rinfrescata dalla pioggia, come se qualcuno avesse spalancato delle gigantesche finestre e avesse arieggiato il mondo intero. Il terreno è ancora a tratti sdrucciolevole e fangoso, e Anna-Karin ha qualche difficoltà a spingere la sedia a rotelle del nonno attraverso il cortile della fattoria, verso la casa. Nicolaus si offre di darle il cambio, ma lei declina gentilmente: questa è una cosa che deve fare da sola.
Il nonno tace, con lo sguardo fisso avanti a sé. Forse non riconosce nemmeno questo posto, ma Anna-Karin non ha voglia di chiederglielo: sa che nei momenti di lucidità, sempre più frequenti, si sente umiliato da tutte le cure che riceve.
È in via di guarigione, ma la mamma si rifiuta di ammetterlo. Quando Anna-Karin ha proposto di portare qui il nonno, in modo che vedesse la fattoria un’ultima volta, prima che venisse venduta, lei ha risposto: «Non se ne parla neanche. Dovresti rendertene conto anche tu. Se anche si ricordasse di averci abitato, ci rimarrebbe male e basta».
Nicolaus la aiuta a portare la sedia a rotelle su per i gradini, poi dice: «Io aspetto qui fuori. Fai pure con calma».
Anna-Karin gli rivolge uno sguardo di gratitudine, poi apre la porta d’ingresso, che fortunatamente è abbastanza larga per farci passare la sedia a rotelle.
Entrano nel vestibolo vuoto, poi proseguono in cucina, in soggiorno, nel salottino che hanno smesso di utilizzare dopo che è morta la nonna.
Non c’è più nulla che non mostri segni di decadimento. Tappezzerie con gli angoli staccati, parquet con la vernice che si sfalda, macchie giallastre sul soffitto nei punti in cui la mamma si sedeva a fumare.
Chissà perché, le stanze deserte sembrano più piccole. Non dovrebbe essere il contrario?
Questi sono i luoghi in cui hanno passato le loro intere vite, e adesso sono soltanto stanze. È difficile immaginarsi che qualcuno abbia mai abitato qui.
‘Ecco qual è la differenza’ pensa Anna-Karin. ‘Prima era casa, adesso è soltanto un edificio’.
Il nonno resta ancora in silenzio, ma mentre escono dalla casa si tende all’indietro e le accarezza una mano.
Nicolaus la aiuta nuovamente a portare la sedia a rotelle giù per i gradini. Anna-Karin ha paura che qualcosa vada storto, che la sedia si ribalti e il nonno si faccia male. Non vuole nemmeno pensare a che cosa direbbe la mamma, che non sospetta che loro siano qui. Anzi, non sa nemmeno che Anna-Karin ha ancora la chiave di questo posto.
Anna-Karin ricomincia a spingere la sedia a rotelle, dirigendosi verso la casetta del nonno. Lui sta guardando la nuova costruzione, quasi terminata, nel punto in cui prima c’era la stalla. Il papà di Jari, che ha comprato la fattoria, ha deciso di trasformarla in un allevamento di maiali.
«È cambiata» dice il nonno.
«Sì» dice Anna-Karin. «È proprio cambiata».
Nella casetta del nonno non c’è più profumo di caffè. Quando Anna-Karin spinge la sedia a rotelle nella cucina deserta, per la prima volta si domanda se veramente abbia fatto bene a portarlo qui. È tutto così lugubre e abbandonato: la piccola stanza da letto, il bagno rovinato. Inquieta, guarda il nonno. Sembra pensieroso. Lei lo spinge fino alla finestra dove andava sempre a sedersi.
Si accovaccia lì accanto e guarda fuori anche lei. Osserva la grossa casa, i prati dove non ci sono più mucche al pascolo, il crepuscolo d’inizio estate sopra le cime degli abeti. ‘Che bel posto’ pensa.
Capisce perché la nonna e il nonno avevano comprato proprio questa fattoria, proprio in questo luogo, molto tempo fa, quando Engelsfors era una cittadina piena di fiducia nel futuro.
«Anna-Karin».
Lei si volta.
Il nonno ha uno sguardo nitido. «Staffan, tuo padre, non era una persona cattiva. Era un uomo spaventato, ma non era cattivo».
Anna-Karin resta ammutolita per un istante. È difficile pronunciare la domanda: «E allora perché se n’è andato?»
«Non lo so. Era una cosa tra lui e la mamma. Però ti voleva bene, Anna-Karin. Davvero. A modo suo».
«Non abbastanza» mormora Anna-Karin, e sente calde lacrime colarle lungo le guance.
Il nonno tende una mano e gliele asciuga. «Ha sbagliato ad andarsene, però io non credo che non ci fosse amore in lui. Mia è sempre stata attratta da quel genere di uomini, quelli che non avevano molto da dare. Però quel poco di amore che aveva l’ha dato a te. Era poco, ma era tutto per te, Anna-Karin. Non dico che bastasse, però voglio che tu lo sappia».
Anna-Karin prende la mano del nonno. La pelle è più morbida che mai, come se si fosse assottigliata.
«Ho passato tutta la vita a lavorare» prosegue il nonno. «Lavorare, mangiare, dormire, e poi daccapo. Ma negli ultimi tempi ho riflettuto. Sono stato ingiusto con te, Anna-Karin».
Anna-Karin scuote la testa. «Nonno, non dire così...»
«Sono vecchio e dico quel che mi pare» la interrompe il nonno. «E dico che ho sbagliato. Ho chiuso gli occhi di fronte alla tua situazione. Quando quegli stronzetti ti tormentavano, a scuola, Mia mi diceva sempre di non immischiarmi, che era capitato anche a lei eppure era sopravvissuta. Che se avessi aperto bocca non avrei fatto altro che peggiorare le cose. E invece avrei dovuto dire qualcosa».
Le stringe la mano, e Anna-Karin sente che il nonno ha recuperato un po’ della sua forza di un tempo. Una forza che c’è anche nei suoi occhi, mentre la fissa.
«Riesci a perdonarmi, Anna-Karin?»
«Sono io che dovrei chiederti scusa, nonno. La colpa dell’incendio è mia».
«Prima, rispondi alla mia domanda» la interrompe lui. «Altrimenti non riuscirò a darmi pace».
Anna-Karin tira su col naso e annuisce.
«Stavi solo cercando di riprenderti quello che gli altri ti hanno portato via» continua il nonno. «Hai esagerato, però è stata anche colpa mia. Avrei dovuto parlarti chiaramente, spiegarti che devi proteggere il tuo dono, non abusarne».
Anna-Karin non è nemmeno stupita. «L’hai sempre saputo, vero?»
«Almeno queste cose le so riconoscere, e non è poi granché» risponde il nonno. «E adesso voglio andare fuori, all’aria aperta».
Escono nel cortile della fattoria. Nicolaus è seduto in macchina e li saluta con un cenno, mentre loro passano oltre.
Anna-Karin spinge la sedia a rotelle lungo una strada sterrata che attraversa i prati. Il nonno scivola nuovamente nel mondo delle nebbie, ma continua a parlare, in un misto di svedese e finnico. Ogni tanto la chiama Gerda, ogni tanto Mia, ogni tanto Anna-Karin. Racconta della famiglia di volpi che aveva la tana appena oltre il margine del bosco. Poi la mette in guardia contro i falsi profeti. Racconta dei profughi norvegesi che erano stati accolti dai precedenti proprietari della fattoria, durante la Seconda guerra mondiale. Descrive le tarde notti in cui giocava a carte in cucina insieme ai genitori di Anna-Karin, mentre nonna Gerda cucinava il pan di segale e cantava insieme al grammofono. Anna-Karin si domanda se fossero le stesse canzoni che cantava la mamma, lo scorso autunno.
Alla fine il nonno tace. Anna-Karin volta la sedia a rotelle e ritorna verso la macchina. Il nonno deve ritornare alla casa di riposo Solbacken.
La mamma ha detto che è soltanto una soluzione temporanea, mentre lei e Anna-Karin si installano nell’appartamento che hanno preso in affitto in centro.
Ma Anna-Karin ha capito. In quell’appartamento c’è una stanza in più, ma la mamma non ha portato in città nessuna delle cose del nonno. Ha deciso di lasciarlo a Solbacken.