ERANO le due di notte. Come volevasi dimostrare, pensò con amarezza Rosemary Dempsey mentre apriva gli occhi e si rigirava nel letto. Alla vigilia di una giornata importante si svegliava inevitabilmente in piena notte e cominciava a temere che qualcosa andasse storto.
Era sempre stato così, fin da quand’era bambina. E adesso, a cinquantacinque anni, felicemente sposata da trentadue, con una brillante e bella figlia unica diciannovenne di nome Susan, Rosemary era la personificazione dell’ansia, una riedizione di Cassandra. Qualcosa andrà storto.
E grazie ancora una volta, mamma, pensò. Grazie per tutte le volte che hai trattenuto il fiato, sicura che la tarte tatin che facevo per il compleanno di papà si squagliasse. L’unica che riuscì male fu la prima, quando avevo otto anni. Tutte le altre erano state perfette. Ero così orgogliosa. Ma poi, quando preparai la torta per il compleanno di papà a diciotto anni, mi dicesti che tu ne preparavi sempre una di riserva. E io, per quella tua unica manifestazione di sfiducia nei miei confronti, restai così sorpresa e furiosa che gettai la mia nella pattumiera.
Tu ti mettesti a ridere e provasti a chiedere scusa. «È solo perché tu hai tante doti, Rosie, ma, ammettiamolo, in cucina sei una frana.»
E, naturalmente, trovavi altri modi per darmi della pasticciona, pensò Rosemary. «Rosie, quando fai il letto, assicurati che il copriletto penda alla stessa altezza su entrambi i lati, basta un minuto per assicurarsene.» «Attenta, Rosie. Dopo che hai letto una rivista, non gettarla semplicemente sul tavolo. Impilala con le altre.»
Così adesso, anche quando so benissimo di essere capace di organizzare una festa o fare una torta, ho sempre la sensazione che qualcosa debba andare storto, pensò.
Ma quel giorno un motivo di apprensione c’era. Jack compiva sessant’anni e quella sera lo avrebbero festeggiato sessanta dei suoi amici. Aperitivi e un buffet da servire nel patio dal loro infallibile caterer. Le previsioni del tempo erano perfette, sole e temperatura sui venti gradi.
Era il 7 maggio e nella Silicon Valley significava che la vegetazione era nel pieno della fioritura. La loro casa dei sogni, la terza in cui erano andati ad abitare a San Mateo trentadue anni prima, riproduceva l’architettura di una villa toscana. Ogni volta che imboccava il vialetto d’accesso, sentiva di innamorarsene di nuovo.
Tutto sarebbe andato al meglio, cercò di rassicurarsi con un moto spazientito. E come al solito farò io per Jack la torta rovesciata al cioccolato e sarà perfetta e i nostri amici si divertiranno un mondo e tutti mi diranno che sono stata meravigliosa. «Le tue feste sono sempre così perfette, Rosie… il buffet era squisito… e questa casa, oh, che meraviglia…» e così di seguito. E io avrò i nervi a fior di pelle, pensò, tesa come le corde di un violino.
Attenta a non svegliarlo, fece scivolare il corpo snello sul materasso fino a toccare con la propria la spalla di Jack. Il suo respiro regolare le disse che dormiva come al solito uno dei suoi sonni beati. E se lo meritava. Metteva anima e corpo nel lavoro. Come faceva spesso quando cercava di superare uno dei suoi attacchi di ansia, Rosemary ricordò a se stessa tutte le cose buone della sua vita, a cominciare dal giorno in cui aveva conosciuto Jack alla Marquette University. Era laureanda in legge. Era stato il proverbiale amore a prima vista. Si erano sposati appena lei si era laureata. Jack aveva la passione per la tecnologia e le sue conversazioni vertevano su robot, telecomunicazioni, microprocessori e una cosa misteriosa che si chiamava internetworking. Di lì a un anno si erano trasferiti nella California settentrionale.
Io avevo sempre desiderato vivere a Milwaukee, pensò Rosemary. Potrei sempre tornarci in qualsiasi momento. Io non sono come la gente normale, io sono capace di amare gli inverni. Ma trasferirci qui ci ha portato certamente fortuna. Jack è a capo dell’ufficio legale della Valley Tech, una delle più importanti società di ricerca del Paese. E Susan è nata qui. Dopo che abbiamo dovuto aspettare più di dieci anni per avere la famiglia a cui aspiravamo, è stata come una benedizione.
Sospirò. Susan, la loro unica figlia, era californiana fin nelle ossa, cosa che la turbava non poco. Si rifiutava di prendere in considerazione l’idea di trasferirsi altrove. Cercò di allontanare dalla mente il disagio che le provocava la scelta fatta da Susan l’anno prima di iscriversi all’UCLA, ottima università, ma a cinque ore di macchina. Era stata accettata alla Stanford University, che era molto più vicina a casa, invece aveva preteso di iscriversi all’UCLA, probabilmente perché vi studiava già quel Keith Ratner, quanto di peggio poteva trovarsi come compagno. Dio del cielo, pensò, che non finisca per scappare con lui.
L’ultima volta che aveva guardato l’orologio erano le tre e mezzo e l’ultima sensazione che ebbe prima di riaddormentarsi fu ancora una volta il terrore che quel giorno qualcosa sarebbe andato orribilmente storto.