TRE quarti d’ora dopo, quando Rosemary si aspettava di veder rientrare Jack, squillò il telefono. Era Susan.
«Mamma, non so dove ho trovato il coraggio di dirtelo, ma oggi non ce la faccio a venire.»
«Oh, Susan, tuo padre ci resterà così male!»
«Non ho chiamato prima perché non ne ero sicura», ribatté la figlia con una voce concitata e quasi sfiatata. «Mamma, stasera ho appuntamento con Frank Parker, che forse è disposto a prendermi per il suo nuovo film.» Ritrovò un minimo di calma. «Mamma, ricordi quando ho recitato in Home Before Dark, alla vigilia di Natale?»
«Come potrei dimenticarlo?» Rosemary e Jack erano andati a Los Angeles ad assistere alla rappresentazione seduti in terza fila. «Sei stata fantastica.»
Susan rise. «Ma tu sei mia madre. Come potresti dire altrimenti? Comunque, ricordi quell’agente di casting, Edwin Lange, che aveva detto che mi avrebbe messa sotto contratto?»
«Sì, ma poi non si è fatto più vivo.»
«Però mi sono fatta viva io. Mi ha detto che Frank Parker aveva visto la registrazione del mio provino. Edwin aveva registrato la scena e l’aveva fatta vedere a Frank. Mi ha detto che Parker è rimasto più che colpito e che avrebbe una mezza intenzione di darmi la parte di protagonista in un film. È una storia ambientata in un’università e vorrebbe fare recitare degli studenti veri. Vuole vedermi. Ma ci credi, mamma? Non voglio illudermi, ma mi sento così fortunata. È una di quelle volte che ti viene da dire è troppo bello per essere vero. Ci credi che potrei recitare in un film, magari addirittura nel ruolo principale?»
«Calmati prima di farti venire un infarto», l’ammonì Rosemary, «così poi il ruolo te lo sogni.» Sorrise immaginando la figlia che sprizzava energia da tutti i pori e si torceva sulle dita i lunghi capelli biondi, con quella luce folgorante nei begli occhi blu.
Il semestre era quasi finito, rifletté. Se avesse ottenuto una parte in quel film, per lei sarebbe stata un’ottima esperienza. «Papà capirà certamente, Susan, ma non mancare di dargli un colpo di telefono.»
«Ci provo, mamma, ma mi vedo con Edwin tra cinque minuti per riguardare insieme la registrazione e prepararmi un po’, perché dice che sicuramente Frank Parker vorrà che gli legga qualcosa. Non so quanto ci metterò. E intanto la festa sarà cominciata e voi non sentirete il telefono. E se lo chiamassi domattina?»
«Potrebbe essere una buona idea. Il party è dalle sei alle dieci, però si sa che in molti si tratterranno più a lungo.»
«Dagli un bacio di buon compleanno da parte mia.»
«Non mancherò. E tu stendimi quel regista.»
«Ce la metterò tutta.»
«Ti voglio bene, tesoro.»
«Anch’io mamma.»
Rosemary rimase quasi interdetta dall’improvviso e inusuale silenzio che seguì quando chiuse la comunicazione al cellulare.
L’indomani mattina, quando squillò il telefono, Jack staccò gli occhi dal giornale che stava leggendo. «Ecco la nostra ragazza, pimpante e mattiniera come è giusto che sia una studentessa universitaria la domenica mattina.»
Ma a chiamare non era Susan. Era il dipartimento di polizia di Los Angeles. Aveva una brutta notizia da dare. Poco prima dell’alba, al Laurel Canyon Park era stata rinvenuta una giovane donna. Da un primo accertamento sembrava fosse stata strangolata. Non volevano allarmarli più del necessario, ma in una borsetta recuperata a una quindicina di metri dal corpo c’era la patente di guida della loro figlia. In una mano stringeva un telefonino e l’ultimo numero composto era il loro.