FRANK Parker osservava il Madison Square Park dal cinquantanovesimo piano. Adorava New York. Lassù, guardando a nord dalle vetrate del suo attico, arrivava con lo sguardo fino al Central Park. Si sentiva come Batman che vegliava su Gotham.
«Scusa, Frank, ma mi hai fatto promettere di disturbarti per alcune di quelle cose da fare assolutamente entro la fine di oggi.»
Quando si girò, trovò Clarence fermo sulla soglia. Clarence, il suo segretario, aveva superato i trent’anni ma aveva ancora il corpo tonico di un ventenne amante della palestra. La scelta dell’abbigliamento, un aderente maglione nero e calzoni sportivi incredibilmente attillati, avevano l’evidente scopo di mettere in risalto la muscolatura di cui era così orgoglioso. Quando Parker lo aveva assunto, Clarence aveva spontaneamente confessato di detestare il proprio nome, tuttavia chiunque lo sentisse una volta, non lo dimenticava più. Dunque per lui andava benissimo così.
Per tutto il volo da Berlino, Clarence aveva cercato di far sì che Frank prestasse attenzione a richieste di interviste, messaggi telefonici, persino la necessità di selezionare i vini per il ricevimento organizzato in occasione del lancio di un nuovo film. Da una parte, c’erano tutti quei tediosi dettagli che spazientivano Frank oltremisura. Dall’altra, le persone che lavoravano con lui avevano ormai imparato quali decisioni potevano fargli perdere le staffe se qualcuno prendeva quella sbagliata. Aveva fama di essere un datore di lavoro pedante e ossessivo. Forse era per questo che era così bravo nel suo mestiere.
Ma a dispetto dei patetici tentativi di Clarence di attirare la sua attenzione, in aereo Frank non aveva fatto altro che leggere copioni. Potersi dedicare in pace alla lettura a bordo del suo jet privato era l’unica parte del viaggio che gradiva. Per quanto lo facesse apparire provinciale, detestava allontanarsi dagli Stati Uniti. Al momento però i festival cinematografici in giro per il mondo erano un terreno troppo fertile. Non si sapeva mai quale piccola gemma si nascondeva nelle produzioni estere da poter trasformare in un blockbuster americano.
«Clarence, non hai ancora imparato che quando ti faccio promettere di interrompermi su qualcosa in futuro è semplicemente il mio modo di rimandare una conversazione?»
«Lo so, certo, ricacciami pure nel mio angolo, se ti fa piacere, però domani non prendertela con me se ti casca il mondo addosso perché non mi hai permesso di riferirti questi messaggi.»
Talia, la moglie di Frank, si fermò nel corridoio davanti alla porta dell’ufficio. «Dio del cielo, Frank, smettila di torturare il povero Clarence. Non fosse per lui, probabilmente ci avrebbero già tagliato i fili della luce. Se aspetti di ritornare a Los Angeles, finisce che sarai di nuovo troppo preso. Guarda dalla tua bella finestra e lasciagli fare il suo lavoro.»
Frank si versò due dita di scotch in un bicchiere di cristallo e andò a sedersi sul divano. Clarence prese posto sulla poltrona davanti a lui.
La lista di Clarence cominciava con l’insistente richiesta dello studio che concedesse una lunga intervista per un articolo che sarebbe servito a promuovere The Dangerous Ones, il suo film programmato per quell’estate. «Digli che lo faccio, ma non con quell’orrenda Theresa.» Una delle giornaliste di quella testata era nota per la pessima luce in cui riusciva a mettere le persone che intervistava.
In secondo luogo Clarence gli ricordò che stava per scadere l’opzione che aveva su un romanzo di grande successo dell’anno prima. «Quanto ci costa?»
«Un quarto di milione per mantenere l’opzione per un altro anno.»
Con un cenno della testa e di una mano indicò che conveniva pagare.
Niente di tutto questo gli sembrava abbastanza urgente da giustificare l’insistenza di Clarence per tutto il giorno.
Il suo segretario stava leggendo i suoi appunti, ma quando aprì la bocca per parlare, non ne uscì alcun suono. Emise un sospiro prolungato, sorrise e provò una seconda volta. Niente da fare.
«Che ti ha preso?» lo incalzò Frank.
«Non so come metterla.»
«Se potessi leggere nel pensiero, non avrei bisogno di te, giusto?»
«Benissimo. Ti hanno scritto i produttori di un programma televisivo. Vorrebbero incontrarti.»
«No. Facciamo pubblicità quando siamo a pochi giorni dall’uscita del film. Adesso è troppo presto.»
«Non si tratta di The Dangerous Ones. Si tratta di te. Il tuo passato.»
«Non ho appena accettato di parlarne per quella rivista?»
«No, Frank. Parlo del passato personale. Per Under Suspicion.»
«Che roba sarebbe?»
«Mi dimentico sempre che sei geniale quanto al cinema, ma ti rifiuti di sapere qualcosa di televisione. È uno show poliziesco. Una sorta di special giornalistico, a voler essere più precisi. L’idea è di ricostruire casi rimasti irrisolti con l’aiuto delle persone che in qualche modo ne sono state coinvolte. Tu avevi avuto a che fare con il caso di Susan Dempsey e vogliono che partecipi al loro prossimo special.»
Sorpreso, Frank si girò a guardare di nuovo dalla finestra. Quando la gente si sarebbe decisa a smettere di metterlo in relazione con quella brutta storia?
«Dunque vorrebbero parlare con me di Susan Dempsey?» Clarence annuì. «Come se non ne avessi parlato abbastanza all’epoca con poliziotti, avvocati, pezzi grossi dello studio, i quali, per inciso, erano sul punto di scaricarmi… Non so per quanto tempo non ho fatto altro che parlare di quel dannato caso. E adesso ci risiamo.»
«Frank, avevo lasciato passare parecchio tempo senza parlarti di questa lettera. Adesso non so come, Laurie Moran, la persona che produce il programma, ha trovato il mio numero. Oggi ha già chiamato due volte. Se vuoi le dico che sei troppo preso con il montaggio di The Dangerous Ones. Se dobbiamo renderti indisponibile, possiamo persino rifare un paio di sequenze aeree a Parigi.»
Da una tasca dei calzoni di Clarence si diffuse il suono metallico di una canzone pop. Estrasse il cellulare e diede un’occhiata al display. «È di nuovo lei. La produttrice.»
«Rispondi.»
«Sei sicuro?»
«Ti sembro insicuro?»
«Parla Clarence», disse al telefono.
Se Frank era arrivato dov’era, era per essersi fidato del suo istinto. Sempre. Quando sentì il suo assistente recitare la formuletta: «Riferisco al signor Parker», alzò la mano. Clarence scosse la testa, ma Frank si fece avanti, con un gesto più insistente.
Clarence ubbidì esprimendo il suo disappunto con un sonoro sbuffo mentre consegnava il telefono al suo principale.
«Cosa posso fare per lei, signora Moran?»
«Prima di tutto la ringrazio per aver risposto alla mia chiamata. So che è molto impegnato.» La voce femminile era cortese ma professionale. Spiegò la natura del suo programma televisivo. Dopo aver avuto una spiegazione già abbozzata da Clarence, Frank cominciò a farsi un’idea di quale fosse lo schema principale. «Volevo assicurarmi che avesse ricevuto la lettera con cui la invitiamo a raccontare la sua versione di quella storia. Possiamo metterci d’accordo in base ai suoi impegni. Siamo pronti a venire a Los Angeles o dovunque le fosse più comodo. O se per qualche ragione discutere in diretta dei suoi contatti con Susan fosse per lei motivo di disagio, possiamo informare i telespettatori durante il programma che ha preferito non essere intervistato.»
Clarence aveva accusato Frank di non sapere niente di televisione, mentre in verità era abbastanza esperto di programmi di intrattenimento da rendersi conto che quello di Laurie poteva essere un bluff. Chi sarebbe stato interessato a seguire il programma sul Cinderella Murder se non avesse partecipato anche lui? Se avesse riattaccato ora, avrebbe bloccato per sempre la produzione dello show? Forse. Ma se invece fossero andati avanti senza di lui, non avrebbe avuto alcun controllo sul modo in cui lo avrebbero presentato al pubblico. Avrebbero potuto metterlo in cima alla lista di coloro che rimanevano «sospettati», pregiudicando forse il buon esito al botteghino dei suoi film.
«Temo di aver saputo della sua lettera solo ora, signora Moran, altrimenti mi sarei fatto vivo prima. La risposta è sì, certo che troverò il tempo per mettermi a disposizione del suo programma.» Dall’altra parte del tavolo Clarence strabuzzò gli occhi. «Ha già sentito Madison Meyer?»
«Siamo praticamente certi della partecipazione di tutti i testimoni più importanti.» Laurie stava evitando di mostrare fin dall’inizio tutte le sue carte.
«Se Madison è ancora come l’ultima volta che l’ho contattata, mi presenterei davanti alla porta di casa sua con un giornalista e un cameraman. Per un’attrice senza lavoro non c’è niente di più irresistibile dell’occasione di farsi vedere.»
Clarence sembrava sul punto di spiccare un salto dalla sua poltrona.
«Le metterò a disposizione Clarence per discutere dei dettagli», disse Frank. «Io do un’occhiata al calendario e mi rifaccio vivo.»
La salutò e restituì il telefono al segretario.
«Trovo una serie di scuse finché mangerà la foglia?» chiese lui.
«No. Farai in modo che sia disponibile quando sarà necessario. E voglio che sia a Los Angeles. Voglio partecipare in diretta, alle stesse condizioni di tutti gli altri.»
«Frank, non mi sembra una buona…»
«Ho deciso, Clarence, comunque grazie.»
Rimasto solo, Frank bevve un altro sorso di scotch. Era arrivato dove si trovava grazie all’istinto, sì, ma anche perché aveva l’abilità di mettersi nelle condizioni di controllare in che maniera una storia veniva raccontata. E l’istinto gli diceva che quello show su Susan Dempsey sarebbe stato una storia da tenere sotto controllo.
Dal corridoio davanti all’ufficio Talia guardò l’assistente di suo marito uscire di casa.
Era sposata con Frank da dieci anni. Ricordava ancora il giorno in cui aveva telefonato ai suoi genitori nell’Ohio per informarli del suo fidanzamento. Pensava che sarebbero stati lieti di sapere che stava per lasciarsi alle spalle i provini per ruoli di second’ordine e spot pubblicitari. Non avrebbero dovuto più preoccuparsi della sua vita in solitudine in quel modesto condominio a Glassell Park. Stava per sposare un regista cinematografico famoso, ricco e di successo.
«Ma non è quello che ha avuto a che fare con la morte di quella ragazza?» era stata invece la reazione di suo padre.
Aveva sentito in che modo suo marito aveva parlato a Clarence e a quella tizia della televisione al telefono. Sapeva di non potergli far cambiare idea.
Si ritrovò a rigirarsi sul dito l’anello di fidanzamento guardando apparire e scomparire il diamante da tre carati. Non poteva non pensare che suo marito stesse commettendo un terribile errore.