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DWIGHT Cook chiuse a chiave la porta dell’ufficio, situato a debita distanza da quelli dei suoi dipendenti alla REACH. Era così che gli piaceva.

Si sentiva sempre addosso gli occhi di tutti quei ragazzi desiderosi di conoscere da vicino il milionario spilungone e allampanato che vestiva ancora come un teenager secchione ed era tuttavia nel mirino di alcune note supermodelle. I dipendenti pensavano che l’ufficio di Dwight fosse isolato perché il loro capo non voleva essere disturbato. La verità era che Dwight non sarebbe stato capace di dirigere le sue operazioni nella maniera più efficiente se fosse stato distratto da una rete troppo intensa di relazioni con le persone che lavoravano per lui.

Già alle medie Dwight si era reso conto di essere diverso dai compagni. Non solo perché il suo comportamento fosse molto insolito, almeno per quanto fosse in grado di giudicare da solo. No, lui era diverso nelle sue reazioni al prossimo. Era come se sentisse le voci a un volume maggiore, percepisse i movimenti come più incisivi e più veloci e avvertisse con maggiore intensità le strette di mano e gli abbracci. Alcune persone, in gran numero in verità, per lui erano semplicemente troppo.

Al liceo era stato inserito per un anno in un programma educativo «speciale», sul sospetto che soffrisse di una forma di «disordine di tipo autistico», nonostante l’assenza di una diagnosi ufficiale. Aveva continuato a frequentare i corsi normali e a ottenere il massimo dei voti, eppure gli insegnanti lo trattavano in una maniera diversa. Con lui mantenevano una certa distanza, parlavano più lentamente. Era stato etichettato.

L’ultimo giorno di scuola aveva annunciato ai genitori che se non avesse cominciato l’ultimo anno in una scuola diversa sarebbe scappato di casa. Niente programmi speciali, niente etichette. Perché anche se era diverso dagli altri, aveva letto abbastanza sull’autismo, sulla sindrome di Asperger e sul disturbo di deficit dell’attenzione da sapere che quelle etichette non lo riguardavano. Tutte quelle condizioni erano normalmente accompagnate da una carenza di reattività emotiva. E da quel punto di vista Dwight era esattamente l’opposto. Arrivava a sentire una comunicatività con certe persone da esserne emotivamente travolto.

Prendiamo per esempio la visita di Nicole. Aveva dovuto fare uno sforzo per restare seduto al suo posto, per non toccarla. Aveva faticato a mantenere contatto oculare con lei perché guardarla troppo a lungo lo avrebbe fatto piangere. Nicole era un ricordo vivente e vivido di Susan. Non poteva guardarla senza ricordare il dolore lacerante che aveva provato agli affettuosi tentativi di Susan di favorire un rapporto sentimentale tra lui e Nicole. Come poteva Susan essere stata così cieca da non rendersi conto che era innamorato di lei?

Batté un dito sulla barra spaziatrice per rianimare il monitor. In certi casi il fatto che la sua personalità venisse giudicata nella maniera sbagliata gli faceva comodo. Questa volta, per esempio, la lontananza fisica dai suoi dipendenti gli garantiva che nulla interrompesse le sue attività.

Cercò «Cinderella Murder Susan Dempsey» in Internet, dominando una punta di irritazione per il fatto che persino lui ricorreva quasi sempre a Google, quando la REACH era stata all’avanguardia nell’indurre il pubblico a cambiare sistema nella ricerca di informazioni in rete. Ma poi era arrivato Google, che lo aveva sorpassato in un paio di aspetti, aveva aggiunto una grafica più accattivante e un nome divertente da pronunciare. Tutto il resto era storia high-tech.

Ciononostante, Dwight non aveva da lamentarsi del successo ottenuto. Aveva guadagnato abbastanza da vivere nell’agio per dieci vite consecutive.

Cominciò a esaminare i risultati della ricerca. Non trovò niente di nuovo rispetto all’ultima volta che aveva provato circa un anno prima a verificare se c’erano stati sviluppi sull’omicidio rimasto irrisolto della sua cara amica.

Ricordò quando vent’anni prima, seduto davanti al suo computer si era reso conto di essere probabilmente una delle venti persone in tutto il pianeta a muoversi con disinvoltura nell’evoluzione mozzafiato del mondo on-line. Erano giorni in cui si usavano ancora i telefoni e gli abboccamenti personali per scambiarsi informazioni. La polizia produceva verbali su supporto cartaceo e li inviava via fax alle procure. Desiderava disperatamente conoscere la verità sulla situazione dell’inchiesta sulla morte di Susan, ma era un settore in cui più che tanto non poteva penetrare per il semplice motivo che le informazioni non erano digitalizzate.

Ora non c’era praticamente pensiero privato che non lasciasse da qualche parte un’impronta tecnologica rintracciabile. Ma lui era il fondatore, presidente e amministratore delegato di un’azienda da Fortune 500 e introdursi illegalmente nei server privati e negli account di posta elettronica era un crimine grave.

Chiuse gli occhi e immaginò Susan. Quante volte si era seduto davanti al suo dormitorio nella speranza di cogliere qualche momento della sua vita privata, così diversa da quella che conduceva in sua compagnia in laboratorio? Quel programma televisivo gli offriva un’occasione unica, in cui tutti gli indiziati sarebbero stati interpellati e interrogati di nuovo. Frank Parker, l’uomo che sembrava aver avuto più a cuore il successo del suo film che la sorte di Susan. Madison Meyer, che sembrava aver avuto sempre qualcosa contro Nicole e Susan. Keith Ratner, che non si era mai reso conto di quanto fortunato era ad avere un rapporto privilegiato con una ragazza come Susan.

Dover partecipare a uno show televisivo era un piccolo prezzo da pagare. Sarebbe venuto a conoscenza di più informazioni persino di quelle a disposizione della produzione del programma. Fece fare un giro completo alla poltrona e schioccò le nocche.

Era ora di mettersi al lavoro.