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LAURIE controllò un’altra volta l’ora sullo schermo del computer. Le tre meno un quarto del pomeriggio. Ormai Brett Young doveva essere rientrato dalla pausa pranzo. Lo aveva chiamato il giorno prima da Los Angeles lasciandogli un messaggio con un aggiornamento. Quella mattina gli aveva spedito una e-mail con un riepilogo più completo sul caso Susan Dempsey. Ancora non aveva avuto una risposta.

Chiuse la porta dell’ufficio e si concesse di togliersi le scarpe e sdraiarsi sul divano sotto le finestre. La sortita a Los Angeles per cogliere di sorpresa Madison Meyer era stata molto stancante. Il volo notturno da una costa all’altra era insopportabile, ma non tanto quanto allontanarsi da Timmy più del necessario. Ora sentiva tutto il peso del sonno arretrato. Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. Aveva bisogno di un po’ di riposo.

In pochi istanti non è più nel suo ufficio sopra il Rockefeller Center. È in un altro posto, in un altro tempo. Riconosce il campo giochi della Quindicesima Strada, dove abita ancora.

Timmy è molto piccolo, ha solo tre anni. Tiene le gambe distese davanti a sé mentre strilla sul seggiolino dell’altalena. «Sììììì! Più su, papà, più su!»

Sa con precisione che giorno era. Sa che cosa sta per succedere, anche se non è presente e non lo può vedere con i propri occhi. Ha rivissuto quella scena non sa più quante volte.

Mentre spinge di nuovo suo figlio attento a non esagerare, Greg emette un gemito fingendo uno sforzo fisico eccessivo. Da medico del pronto soccorso ha visto un numero sufficiente di bambini che si sono feriti nel corso di giochi troppo esuberanti. «Questa è l’ultima», annuncia. «È ora di tornare a casa dalla mamma. Ultimo avviso.»

«Dottore!» chiama una voce.

Nell’ultima delle innumerevoli dimostrazioni di amore senza riserve per suo figlio, nel vedere la pistola Greg si allontana da Timmy cercando di distogliere dal bambino l’attenzione dello sconosciuto.

Uno sparo.

«PAPÀ…»

Al grido del figlio, Laurie sobbalzò.

Grace la stava guardando dalla soglia con la mano ancora sul pomolo della porta.

«Scusa. Non volevo spaventarti. Ho bussato ma non hai risposto.»

«Non è niente», la tranquillizzò Laurie, mentendo. Sarebbero mai finiti quegli incubi? «Devo essermi assopita. Quel volo di notte mi ha uccisa.» Nel pronunciare quella parola avvertì una fitta al petto.

«Sul serio? Io ho sempre dormito e mi sento fresca come una rosa», rispose Grace.

Laurie resistette alla tentazione di scagliare un cuscino sulla vertiginosa pettinatura della sua assistente. «E qui sta la differenza tra avere ventisei anni o trentasette. Comunque, hai qualcosa da dirmi?»

«Ha chiamato Brett. Vuole vederti nel suo ufficio.»

Laurie si passò le dita nei capelli. Niente di peggio che doversi presentare al proprio capo per un incontro importante quando ci si è appena svegliati.

«Sei in forma perfetta», la rincuorò Grace. «Buona fortuna, Laurie. So quanto ci tieni.»