LYDIA Levitt sedeva a gambe incrociate sul divano con il laptop in bilico sulle ginocchia. Mise il punto finale e rilesse in cerca di eventuali refusi la sua recensione on-line del Rustic Tavern, il ristorante dove era andata a pranzo con Rosemary il giorno prima. Cancellò il punto normale e lo sostituì con un punto esclamativo. Tornerò certamente: cinque stelle! Premette soddisfatta il tasto di ENTER.
Il sito web la ringraziò per il suo giudizio. Era il settantottesimo. Lydia era convinta della necessità di far conoscere agli esercizi commerciali l’opinione dei clienti, nel bene e nel male. Altrimenti come poteva un imprenditore sapere come migliorare la sua offerta per andare incontro alle preferenze del consumatore? E poi scrivere quelle recensioni le dava qualcosa da fare. A Lydia non piaceva restare con le mani in mano.
A rendere l’esperienza così godibile non erano stati solo il cibo squisito e la bellezza del giardino. L’emozione principale era dovuta all’aver trovato in Rosemary Dempsey una nuova amica. Erano ormai dodici anni che viveva a Castle Crossings, dove era sempre stata la più anziana del vicinato. Quel genere di quartieri residenziali attiravano soprattutto coppie giovani desiderose di luoghi sicuri, prevedibili e omogenei dove far crescere i loro figli.
Così Lydia aveva trovato compagnia soprattutto tra quelli che si erano autodefiniti «i nonni di Castle Crossings», genitori delle giovani coppie che vivevano poco distante o per aiutare con i nipoti o per essere meno di peso con i figli.
A Castle Crossings non aveva però conosciuto nessuno come Rosemary. La giudicava avventurosa. Interessante. E, forse per il terribile lutto che aveva patito, anche un po’ tormentata. Aveva tuttavia notato un certo disagio in lei quando, durante il pranzo, le aveva parlato della sua vita scapestrata sul finire degli anni Sessanta. Se il loro incontro non fosse stato interrotto dalla telefonata che Rosemary aveva ricevuto dalla responsabile di quello show televisivo, avrebbe trovato forse il modo di spiegarle meglio il nesso tra quella parte della sua vita e la sua attuale filosofia di cittadina rispettosa delle regole. Lydia aveva visto com’era un mondo in cui ciascuno volente o nolente faceva tutto quello che voleva. Dopo aver visto amici morire di overdose o perdere la propria famiglia affogandosi nell’alcol o perdere la fiducia nel prossimo quando il concetto di vivere e lasciar vivere per una persona si traduce in tradimento per un’altra, aveva capito qual era il valore di darsi una disciplina e pretenderla.
Si alzò, posò il laptop sul tavolino e andò alla finestra a scostare con la punta delle dita le tende di lino. La macchina di Rosemary non c’era. Peccato. Le sarebbe piaciuto andarla a trovare di nuovo.
Stava per lasciare ricadere le tende quando notò un pick-up color bianco sporco parcheggiato davanti alla casa dopo quella di Rosemary. Ne scese un uomo in giacca a vento nera e pantaloni da lavoro. Era sulla quarantina, con la testa rasata. Aveva l’aspetto solido e tonico di un pugile.
Lo vide andare verso la casa di Rosemary.
Lasciò ricadere le tende mantenendo un varco sufficiente a sbirciare fuori. Ah, come la prendeva in giro Don quando faceva così. Sapevano che nel quartiere la chiamavano tutti «l’impicciona».
«E cos’altro dovrei fare tutto il giorno?» domandava a Don. «Mi annoio a morte.» Spiare gli abitanti di Castle Crossings la teneva occupata, come postare in rete le recensioni dei ristoranti. Provava grande piacere a immaginarsi storie segrete sugli andirivieni che animavano quelle strade senza sbocco. Nella sua versione alternativa del loro quartiere, la banda di adolescenti di Trevor Wolf passava le ore dopo la scuola a complottare una serie di rapine in banca. I coniugi Miller cucinavano metamfetamina in cantina. Il nuovo cane da soccorso di Ally Simpson era in realtà un cane antidroga che lavorava sotto copertura per smascherare le nefande attività dei Miller. E naturalmente abbondavano le tresche amorose.
«Certo che l’immaginazione non ti manca», piaceva ripetere al marito. «Dovresti scrivere un poliziesco.»
Be’, intanto Don era al suo centro salute, perciò almeno per questa volta non l’avrebbe sorpresa a spiare.
Guardò nello spiraglio tra le tende l’uomo del pick-up bussare alla porta di Rosemary e poi sbirciare attraverso la finestra del soggiorno. Quando lo vide girarsi e ridiscendere in giardino, pensò che stesse tornando al suo veicolo. Invece lo vide svoltare a sinistra, allontanandosi da lei e puntando verso il lato della casa di Rosemary.
La faccenda stava diventando interessante. Cominciò a fare ipotesi: un topo d’appartamenti che era riuscito a eludere la sorveglianza al cancello d’ingresso; qualcuno che aveva a che fare con lo show di cui le aveva parlato Rosemary il giorno prima; un predicatore venuto a reclutare Rosemary per la sua nuova chiesa.
Ecco! La sua chiesa. Le tornò in mente quando Rosemary le aveva parlato di un nuovo mercatino delle pulci che si stava organizzando alla parrocchia di Saint Patrick. Le aveva detto di essere contenta perché così non sarebbe stata costretta ad andare di persona fino alla chiesa a portare tutta la roba di cui voleva disfarsi. Sarebbe venuto un volontario a prenderla a casa sua. E infatti quel tizio era arrivato con un pick-up, il veicolo giusto per quel genere di incarico. Forse Rosemary si era messa d’accordo di lasciare gli oggetti da portar via dietro casa nell’eventualità non fosse stata lì a riceverlo.
Prese una giacca dall’attaccapanni vicino alla porta d’ingresso. Avrebbe potuto dargli una mano a caricare la roba sul furgone o almeno salutarlo a nome di Rosemary.
Attraversò la strada e seguì lo stesso percorso fatto dall’uomo girando intorno al lato sinistro della casa di Rosemary e sbucando sul retro. Lo trovò a cercare invano di aprire la porta-finestra scorrevole. Ricordò d’aver visto Rosemary aprire la porta di casa con la chiave quando l’aveva aiutata a portar dentro la spesa.
«Le avevo detto che qui da noi non è necessario chiudere a chiave», disse. «È il motivo fondamentale per cui la gente viene a vivere qui.»
Lui si girò mostrandole un volto inespressivo.
«Io sono Lydia», si presentò lei agitando la mano mentre gli andava incontro. «La vicina di casa che sta dall’altra parte della strada. Lei è della parrocchia di Rosemary?»
Nessun cambiamento nella sua espressione. Solo silenzio. Possibile che fosse sordo?
Lydia si avvicinò di più e fu allora che si accorse che indossava guanti neri. Non le sembrava che facesse così freddo, ma lei aveva sempre un po’ più caldo di tutte le persone che conosceva. Finalmente lo sentì parlare. Pronunciò una sola parola: «Parrocchia?»
«Sì. Pensavo che fosse della chiesa di Saint Patrick. Del mercato delle pulci. Rosemary le ha detto dove ha lasciato le cose da prendere? Avevo avuto l’impressione che ne avesse parecchie.»
«Parecchie di cosa?» domandò lui.
Ora lei gli era accanto e notò lo stemma che aveva sulla giacca a vento.
«Oh, lei è della Keepsafe», disse. Conosceva il nome di quella ditta dai tempi in cui in quel settore aveva lavorato anche Don. Era tra le più note fra quelle che installavano sistemi antintrusione nelle abitazioni private.
Sentendo il nome della sua azienda, l’uomo sembrò svegliarsi da un momento di estraniazione. Il suo sorriso fu forse ancor più strano della sua espressione assente di poco prima. «Sì, sono della Keepsafe. Il sistema d’allarme della sua vicina ha inviato un’allerta alla nostra sede locale. Non l’ha spenta e non ha risposto quando abbiamo telefonato. In questi casi facciamo automaticamente una visita a domicilio per assicurarci che sia tutto a posto. Può essersi trattato di uno sciocco incidente, un cane che rovescia un vaso, cose di questo genere.»
«Rosemary non ha un cane.»
Un altro sorriso strano. «Era solo un esempio», precisò lui. «Queste cose succedono in continuazione. Niente di grave.»
«Ma è sicuro che questa sia la casa giusta? Rosemary non ha un sistema d’allarme.» Era il genere di particolari che Lydia aveva notato immediatamente quando era entrata nell’abitazione di Rosemary.
L’uomo non disse niente, ma continuò a sorridere. Per la prima volta in vita sua Lydia pensò che il pericolo che avvertiva fosse tutt’altro che immaginario.