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DWIGHT montò con delicatezza a poppa della sua imbarcazione, un cruiser di quattordici metri perfetto per il piccolo cabotaggio. Nell’adattarsi al lieve rollio della barca sull’acqua si sentì invadere immediatamente da una grande calma interiore. Il dolce sciacquio delle onde contro le fiancate in lana di vetro erano la sua ninna nanna. Appena fosse arrivato il suo compagno, sarebbe uscito fino alla Shaw’s Cove dove immergersi nell’oscurità degli abissi. Non c’era niente al mondo che amasse quanto la solitudine di un’immersione notturna.

Ma non avrebbe goduto appieno della sua immersione prima d’aver portato a termine un’altra incombenza. Scese in cabina, recuperò il laptop dalla borsa, lo accese e si collegò con le telecamere di sorveglianza della casa di Bel Air. Erano trascorsi due giorni da quando aveva deciso di non andare a consegnare alla polizia il video dell’orribile aggressione a Jerry. Conservava la speranza di trovare qualche risposta sulla morte di Susan e forse sull’aggressore di Jerry se solo non avesse smesso di continuare a monitorare la villa.

Fece scorrere velocemente il video, rallentando solo quando gli sembrava di scorgere qualcosa di interessante. Giunto in fondo alla registrazione, tornò alla scena che lo affascinava di più, l’intervista collettiva con Madison Meyer, Nicole Hunter e Keith Ratner.

Alex Buckley aveva colto un paio di incongruenze nelle dichiarazioni di Madison, ma era ancora poca cosa. Restava fedele alla sua posizione di sostegno a Frank Parker. La rivelazione più importante era sul litigio avuto da Susan con Nicole, quando, proprio la sera in cui era stata uccisa, aveva lasciato il dormitorio in uno stato di profonda alterazione emotiva.

Dwight sapeva quanto felice fosse Susan di quell’audizione. Non vi sarebbe mai mancata volontariamente.

Tornò nuovamente indietro a rivedere l’ultima domanda posta da Alex Buckley: «Dove può essere andata?»

Chiuse gli occhi e richiamò alla memoria Susan la sera in cui aveva deciso di amarla davvero. Erano rimasti così a lungo in laboratorio da rendersi conto tardivamente che mancava solo un’ora all’alba. Così avevano deciso di fare un salto al Griffith Observatory, secondo molti il posto migliore da dove veder sorgere il sole. Seduti nell’erba al buio, Susan aveva colmato il silenzio illustrandogli le difficoltà create dalla meschinità di certe ragazze. Gli aveva raccontato del dipartimento di Arte drammatica, dove c’erano attrici che avevano tanto talento quanto lei, ma un’ambizione due volte più aggressiva. Gli aveva rivelato quanto spesso le sue amiche tenevano più ai loro ragazzi che alle loro amicizie femminili. E che anche lei con Keith spesso sentiva di dover sostenere il suo amor proprio. Gli aveva confidato che c’era solo un posto dove consentiva a un altro lato della sua personalità di prendere il sopravvento.

Dove può essere andata?

Dwight era sicuro di saperlo.

Per rinfrescarsi la memoria richiamò a video il calendario del 1994. Il sette maggio erano passate alcune settimane da quando Hathaway lo aveva sorpreso a spiare nel database dell’ateneo. Lo ricordava perché contava i giorni che mancavano alla fine del semestre. Voleva andare a La Jolla per un’altra immersione.

Fino ad allora aveva sempre rigettato il possibile collegamento fra la data della morte di Susan e un altro fatto che aveva cambiato la sua vita.

Chiuse nuovamente gli occhi e tornò all’eccitazione di Susan per l’audizione con Frank Parker. Diceva sempre che prima di esibirsi desiderava sentirsi calma e concentrata, di cercare in ogni modo di calarsi nel suo personaggio. Se se n’era andata dal dormitorio per via del litigio con Nicole, allora aveva avuto almeno quarantacinque minuti per calmarsi. Se avesse avuto bisogno di un altro posto dove sentirsi tranquilla e al sicuro, Dwight sapeva precisamente dove sarebbe andata. E sapeva anche che cosa avrebbe sentito quando fosse stata lì.

Cominciò a scottargli la pelle. Si alzò e si mise a passeggiare nella cabina del cruiser. Faceva fatica a controllare la respirazione. Adesso aveva bisogno anche lui del suo posto sicuro. Aveva bisogno di essere in acqua.

Ma voleva anche affrancarsi dai suoi pensieri. Il suo piano aveva funzionato: era finalmente convinto di sapere chi aveva ucciso Susan.

Cercò sul cellulare il numero di Laurie e lo chiamò. «Questo è il recapito telefonico di Laurie Moran…»

«Mi chiami al più presto possibile», lasciò detto in segreteria. «Ho bisogno di parlarle.»

Era così occupato a dettare il messaggio che non sentì i passi in coperta.