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STEVE Roman si dondolava a torso nudo sul letto del motel.

C’era il suo nome dappertutto. La polizia gli stava dando la caccia e avrebbe controllato le sue carte di credito. Appena sentito il suo nome alla radio del pick-up, si era precipitato a incassare dei contanti e aveva trovato un oscuro alberghetto dov’erano disposti ad accettare banconote per una stanza e non chiedevano documenti d’identità. Contò quanto gli restava nel portafogli. Ventitré dollari. Davvero poca roba.

La pubblicità di un rivenditore di macchine usate si mise a starnazzare dallo scadente televisorino sul comò. Cercò tra gli altri canali altre notizie sul suo mandato d’arresto. Si fermò di fronte a un volto che conosceva bene. Era quello di Martin Collins, nel giardino di casa sua al cospetto di una schiera di giornalisti.

«Sono venuto a sapere che la polizia di Los Angeles sta cercando un uomo di nome Steve Roman. Alcuni di voi hanno già appurato in Internet che si tratta di un membro degli Apostoli di Dio. Io ho fondato questa chiesa un quarto di secolo fa. Nel corso di questi anni l’AD è passato da un’automobile carica di persone di buona volontà desiderose di aiutare gli oppressi, a migliaia di credenti che si sacrificano tutti i giorni per assistere i loro fratelli meno fortunati. Conosco bene Steve Roman ed ero sinceramente convinto che il potere salvifico della bontà di Dio lo avesse guarito. Ma ho parlato con la polizia e purtroppo sembra che nel nostro gregge ci sia un individuo mentalmente disturbato. Questo però non deve riflettersi sul nostro gruppo nel suo insieme. La nostra chiesa sta facendo tutto il possibile perché questo criminale sia assicurato alla giustizia.»

«Reverendo Collins», lo chiamò uno dei reporter. «Dalle nostre fonti risulta che il mandato di cattura per Steve Roman è da mettere in relazione con l’aggressione subita questa settimana da un tecnico della produzione dello show Under Suspicion. La troupe si trova attualmente in città a girare le riprese per il Cinderella Murder. Che collegamento c’è tra la sua chiesa e l’assassinio rimasto irrisolto di Susan Dempsey?»

Martin si piantò le mani sui fianchi come se fosse la prima volta che considerava la questione sotto quell’aspetto. «Non sta a me fare congetture sulle motivazioni di una mente malata. La nostra migliore ipotesi tuttavia è che questa persona, che evidentemente non sta molto bene, abbia maldestramente voluto proteggere Keith Ratner, un altro membro dell’AD che per tutti questi anni è stato ingiustamente sospettato della morte della sua ex ragazza. Questo è tutto quello che ho per voi al momento, signori.» Con un cordiale gesto della mano, salutò i giornalisti e rientrò in casa.

Steve s’infilò una canottiera bianca. Il condizionatore d’aria che rumoreggiava sotto la finestra cominciava a fargli sentir freddo. Un individuo mentalmente disturbato? Criminale? Malato? Maldestro tentativo?

Lui aveva fatto sempre quello che gli aveva chiesto Martin. E adesso Martin lo svendeva, gli vomitava addosso i peggiori stereotipi della loro chiesa per il proprio tornaconto.

Steve strinse i pugni. Sentì nel sangue i vecchi impulsi di una vita precedente, le sensazioni che aveva provato quando quella donna lo aveva sorpreso dietro la casa di Rosemary Dempsey e quando quel tecnico della produzione lo aveva colto in flagrante nella villa di Bel Air. Aveva bisogno di un sacco da pugile. Aveva bisogno di scappare.

Uscì dal motel, fermandosi prima a controllare che nessuno lo stesse spiando. Andò al pick-up che aveva lasciato nel parcheggio e recuperò dal cruscotto la nove millimetri comprata poco prima. Per mani grandi come la sua era un’arma piccola, ma gli era costata poco. Se la infilò dietro la schiena, nella cintola dei calzoni.

In quelle ultime settimane aveva commesso qualche errore, ma era stato solo perché Martin Collins lo aveva trattato da garzone. Adesso si sentiva lucido. Adesso era padrone di se stesso.