STEVE Roman era seduto al volante del suo pick-up davanti alla mensa per i poveri. Sapeva che Martin Collins doveva essere lì. Tutte le settimane faceva venire dei fotografi che lo riprendessero mentre dava da mangiare ai bisognosi. Steve sapeva anche che i milioni di dollari che Martin aveva accumulato come donazioni per quella mensa superavano di gran lunga quanto l’AD spendeva in quel posto per sfamare i senzatetto.
In quegli anni aveva visto quanto fossero cresciuti gli eccessi di Martin. All’inizio il reverendo era abituato a dare qualche spiegazione per quelle che definiva piccole indulgenze: un pasto raffinato era il massimo del piacere, un vestito confezionato su misura lo avrebbe reso più presentabile ai donatori e così via. Ma con il passare del tempo le indulgenze erano diventate più importanti e più frequenti, come la villa, i viaggi in Europa, le case per le vacanze. E Martin aveva smesso di darne giustificazione.
Ma Steve era anche sempre stato fermamente convinto che l’influenza di Martin sul mondo, nonché la sua guida a livello personale, avessero fatto di lui un leader autentico. Per questo era sempre stato pronto a fare tutto quello che gli chiedeva la sua chiesa.
Ricordando le parole che gli aveva sentito pronunciare quel giorno davanti ai giornalisti sentì intensificarsi la stretta delle dita sul volante. Lo aveva definito un «individuo mentalmente disturbato» che rappresentava un elemento distruttivo all’interno del suo «gregge». Lo aveva sentito assicurare i presenti che l’AD avrebbe fatto tutto il possibile «perché questo criminale sia assicurato alla giustizia».
Steve sapeva d’aver fatto un pasticcio. Un grosso pasticcio. Aveva colpito l’uomo che lo aveva interrotto mentre frugava nella casa di Under Suspicion più forte e più volte di quanto avrebbe dovuto. E poi quella donna a Oakland… quello era stato un errore veramente grave.
Ma se Steve era un criminale così disturbato e malato, Martin Collins non avrebbe dovuto prendersi qualche responsabilità per la sua condotta? In fondo Martin aveva sempre saputo quanto doveva lottare per tenere a bada i suoi impulsi. Ma quando aveva deciso di dover sapere che cosa avrebbe raccontato Nicole Melling a quelli di Under Suspicion, a chi si era rivolto? Appunto: a Steve. Dal suo punto di vista, le sue azioni, giuste o sbagliate, dipendevano da Martin non meno che da lui.
Mentre lo guardava uscire dalla mensa si rallegrò del conforto che gli dava la nove millimetri infilata dietro la schiena. Poiché Martin era un convinto assertore di quello che chiamava «il potere fortificante della routine», Steve sapeva che da lì Martin sarebbe andato a casa. Sapeva anche che avrebbe dedicato qualche minuto alle strette di mano e ai fotografi prima di montare in macchina.
Poteva fare con tutta calma.
Mise in moto e salì in collina. Per sicurezza parcheggiò a un isolato di distanza, anche se il pick-up blu che guidava ora era rubato. Percorrendo il marciapiede, tenne gli occhi aperti nel caso ci fosse qualche poliziotto o guardia giurata a perlustrare la zona. Se necessario, si sarebbe infilato in uno dei giardini a fingere di essere un giardiniere. Steve sapeva com’era facile nascondersi in piena vista dando semplicemente l’impressione di essere serenamente al proprio posto. Ma non c’era in giro nessuno, non c’era bisogno di mimetizzarsi.
Impiegò solo pochi secondi per entrare dalla porta principale usando arnesi che aveva già maneggiato molte volte per ordine di Martin. Per anni si era lasciato guidare da lui su ciò che era giusto e ciò che era sbagliato. Ora Martin aveva rovesciato il mondo intero a gambe all’aria.
Era venuto il momento perché a giudicarli entrambi fosse l’unica voce che contava.
Si accomodò sul divano in soggiorno posando la pistola sul tavolino che aveva davanti. Non si era mai sentito così a proprio agio in quella casa.
Quando sentì il rumore del portellone del garage che si apriva, si alzò e prese la pistola. Era l’ora della resa dei conti.
Un quarto d’ora dopo, una reporter di nome Jenny Hughes faceva jogging in collina ammirando le ville davanti alle quali passava. La sua abitazione era tutt’altra cosa, un magazzino riadattato nel centro di Los Angeles. Ma quando usciva per correre, quasi tutti i giorni, ne approfittava per dare un’occhiata a come viveva l’altra metà. Soffriva di un grave caso di invidia immobiliare.
La salita che aveva davanti era quella che portava alla sua solita pausa di recupero e l’affrontava sprintando. Arrivava in cima sfiatata e con le pulsazioni al massimo. Allora rallentava e si metteva a camminare mentre sentiva le endorfine invaderle il corpo a ogni profondo respiro. Se a riposo le sue pulsazioni erano di cinquantuno al minuto una ragione c’era.
Rallentò ulteriormente l’andatura avvicinandosi alla villa successiva, una costruzione moderna e tutta bianca, piena a dismisura di alte vetrate che andavano da pavimento a soffitto. L’interesse che aveva per quella casa non si limitava all’aspetto estetico. Lì abitava in solitudine il reverendo Martin Collins, fondatore della megachiesa chiamata Apostoli di Dio. Prima di uscire per la sua corsa, in redazione arrivavano a mitraglia segnalazioni su un membro di quella congregazione trasformatosi improvvisamente in un pericoloso criminale.
Aveva visto l’improvvisata conferenza tenuta dal reverendo. Secondo Collins, l’uomo ricercato dalla polizia agiva per conto proprio, era un poco di buono che aveva perso del tutto la testa. Alcuni dei suoi colleghi però ipotizzavano che l’arresto di quell’uomo potesse fornire alla polizia l’occasione di sbirciare dietro la labile facciata che Collins aveva costruito per la sua chiesa. Da anni si diceva che la sua organizzazione e le attività caritatevoli di cui si occupava non fossero altro che una copertura per una serie di imbrogli finanziari. Che cosa avrebbe spifferato quell’uomo sul conto dell’AD ora che Collins lo aveva gettato in pasto ai leoni in diretta in televisione?
Jenny sentì le pulsazioni tornare alla normalità. Era ora di rimettersi in moto.
Mentre allungava il passo, gettò un’ultima occhiata alla casa di Collins. Se la sua aspirazione a possedere una bella villa era una fantasticheria irrealizzabile, lo era anche un mondo in cui le venisse affidato un articolo da prima pagina sulla corruzione di una megachiesa. Jenny era reporter come qualifica, ma finora non le era stato concesso di firmare altro che trafiletti di costume, ritratti di «personalità» e altre facezie di simile levatura. Se Collins avesse avuto un cane capace di correre su uno skateboard, era il tipo di notizia che il suo direttore avrebbe assegnato a lei.
Le sue elucubrazioni furono interrotte da due colpi secchi in rapida successione. D’istinto si lanciò verso lo spartitraffico erboso e cercò riparo dietro una station wagon parcheggiata nella via. Quelli che aveva sentito erano spari?
Era ritornato il silenzio. Il ronzio lontano di un tagliaerba le ricordò che non era esattamente a East L.A. Si stava rialzando deridendo un’immaginazione un po’ troppo fervida, quando sentì un altro colpo.
Questa volta fu sicura. Era uno sparo. E se l’udito non la ingannava, gli spari provenivano dalla casa di Martin Collins.
Compose il 911 sul cellulare, ma poi preferì chiamare prima il suo direttore. Aveva finalmente messo le mani su uno scoop.