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SE durante l’ultima visita l’atmosfera nella stanza d’ospedale di Jerry era stata dominata da paura e sconforto, ora si sentiva, forte, aria di festa. Jerry era ancora visibilmente debole e aveva la testa fasciata, ma la mascherina dell’ossigeno era scomparsa. Il livore delle ecchimosi, ancora intenso, cominciava però a schiarirsi lentissimamente.

Giungendo direttamente dall’hotel, Laurie e Alex avevano parcheggiato nella rimessa dell’ospedale subito dietro Leo, Grace e Timmy. Erano da Jerry da pochi minuti e già l’infermiera aveva messo dentro la testa due volte per ammonirli a non sovreccitare il paziente.

Jerry si portò l’indice alle labbra. «Abbassate la voce», li esortò farfugliando leggermente, «altrimenti l’infermiera Ratched mi manda a dormire senza il mio martini.» Si girò a guardare il piccolo panda posato su un carrello poco distante. «Timmy?»

Laurie annuì.

«Lo immaginavo. Una delle inservienti ha detto che l’ha portato quel ‘delizioso ometto’.»

«È qui fuori.» Laurie mandò un rapido messaggio di OK a Grace, che attendeva in corridoio.

«Avevi paura che la mummia piena di lividi e bernoccoli spaventasse un bambino di nove anni?» La voce di Jerry era ancora debole ma il tono diventava di minuto in minuto più sicuro.

«Forse», ammise Laurie.

Mentre andava a sedersi in un angolo, Leo zittì il cellulare che teneva agganciato alla vita e che si era messo a suonare. «Io non faccio che dirle e ripeterle che il ragazzino ha probabilmente una scorza più dura della sua.»

«E io continuo a ripeterti che ha solo nove anni.»

«A parlar del diavolo…» commentò Jerry vedendo entrare Grace e Timmy. Riuscì ad alzare il pugno da offrire al bambino, che glielo colpì sorridendo con il suo. «Ho più gente qui che ai party che organizzo a casa mia.»

«È vero», confermò Grace abbassandosi su di lui per un rapido abbraccio. «Sono stata ai tuoi party, tesoro. Hai bisogno di una pista da ballo più grande.»

«Mi sa che ce ne vorrà prima che torni a ballare.» Il tono di Jerry si fece improvvisamente serio. «Non riesco a credere d’essere rimasto incosciente per tre giorni di fila.»

«Cosa ricordi di quello che è successo?» domandò Alex.

«Ero uscito per andarmi a comprare qualcosa da mangiare. Quando sono tornato a casa, nello studio c’era un tizio con un passamontagna in testa. Ho perso un secondo pensando che potesse esserci una spiegazione, visto che sulla camicia c’era scritto KEEPSAFE. Poi ho pensato: perché mai un tecnico della sicurezza dovrebbe mettersi un passamontagna? Ricordo di aver cercato di scappare, poi più niente, solo buio. Sapete qual è la cosa peggiore? Che adesso sapete tutti che quando nessuno mi vede vado a comprarmi orribili cibi bisunti ai fast food.»

Laurie fu contenta di vedere che con l’aggressione Jerry non aveva perso il suo senso dell’umorismo.

Il cellulare di Leo si mise a ronzare. L’ex poliziotto diede un’occhiata al display, poi uscì per prendere la chiamata mentre Jerry continuava a parlare.

Laurie e Alex stavano ancora raccontando a Jerry quello che avevano appreso da Nicole su Steve Roman e Martin Collins, quando Leo rientrò e chiese a Grace se poteva accompagnare Timmy alla caffetteria dell’ospedale e offrirgli un gelato allo yogurt.

Laurie fu subito in apprensione. Se suo padre non voleva che Timmy sentisse, aveva sicuramente da riferire qualcosa di brutto.

«Ma hai detto che avevo la scorza dura», protestò Timmy. «Perché non posso ascoltare?»

«Perché così dice il nonno», tagliò corto Grace.

«Esattamente quello che stavo per dire io», fece eco Laurie.

«E io sono d’accordo con loro», aggiunse Alex.

«Anche i pazienti hanno diritto di voto», intervenne Jerry.

«Non è giusto», brontolò Timmy. Uscì strisciando i piedi, sospinto da Grace.

«Cosa c’è, papà?» chiese Laurie appena il figlio fu fuori della stanza.

«Era il detective Reilly a chiamare. C’è stata una sparatoria a casa di Martin Collins. Steve Roman è morto. Si è sparato. Ha lasciato un biglietto in cui confessa l’aggressione a Jerry e l’uccisione di Lydia Levitt. Come pensavamo, spiava per conto di Collins, prima Nicole e poi anche tutti gli altri partecipanti allo show.»

«Collins era a casa?» domandò Laurie.

«È rimasto ferito. È stato colpito due volte da Steve Roman che ha cercato di ucciderlo, ma pensano che sopravvivrà. Nella sua camera da letto la polizia ha trovato una collezione di videotape. Sembra che la bambina con cui lo aveva sorpreso Nicole vent’anni fa non sia stata la sua unica vittima. Può darsi che Collins se la cavi, ma non uscirà mai più di prigione. E a proposito di video, Reilly ti ringrazia, Laurie, per la tua intuizione sulla barca di Dwight Cook. Come avevi sospettato, anche lì c’erano telecamere e microfoni dappertutto, come alla villa. Ancora una volta Under Suspicion fa giustizia là dove finora non si era riusciti.»

«Dunque si vede cos’è successo la notte in cui è morto Dwight?»

«Non ancora. È tutto digitale, così hanno messo un tecnico a cercare dove sono stati caricati i file. Se non ti spiace riportare tutti alla villa con il SUV, io prendo l’auto a nolo per andare da Reilly. Voglio essere ultrasicuro che non ci sia il minimo motivo di temere che qualche altro svitato membro di quella chiesa voglia emulare Steve Roman.»

Laurie gli assicurò che in macchina ci stavano tutti. Prima di congedarsi suo padre l’abbracciò. «Sono fiero di te, bimba», le sussurrò all’orecchio.

Quando Laurie si girò verso il letto, vide che Jerry aveva gli occhi chiusi. Era ora che se ne andassero tutti. Andò a posargli un bacio sulla fronte prima di seguire Alex in corridoio.

Mentre scendevano in ascensore Laurie rimase in silenzio, assorta nei suoi pensieri. Era felice che avessero inchiodato Collins alle sue responsabilità, un truffatore e, peggio ancora, un pedofilo. Ma quando tutto aveva avuto inizio, aveva promesso a Rosemary di fare del suo meglio per identificare l’assassino di Susan.

Perdere un figlio doveva essere una cosa terribile, un dolore che non riusciva a immaginare. Erano passati vent’anni e Rosemary andava ancora a coricarsi ogni sera perseguitata dall’immagine della sua unica figlia che perdeva una scarpa tentando di scappare e che soccombeva in un violento corpo a corpo perdendo la collana che le veniva strappata dal suo aggressore.

L’illuminazione le giunse sottolineata dal ding della cabina dell’ascensore che si apriva. «La collana», esclamò.