VIII

Quindi, ecco qui anche te.

Be’, non è che sei messa benissimo.

Eppure eri così bella, la più bella del gruppo. Mi ricordo che mi preoccupavo addirittura, per le conseguenze che poteva avere su di lei la tua bellezza. Così esile, i magnifici capelli lunghi, quel collo sottile, le mani raffinate. Mi ricordo che le muovevi così bene, le mani. Davvero una principessa.

Però la vita dispone diversamente, no? Una come te poteva aspirare a ben altro, ad avere che so, tre o quattro tra serve e giardinieri, magari un maggiordomo. Potevi scegliere un’altra persona, pensare bene a chi darla, facendola annusare un po’ in giro. Mi ricordo che dicevano che eri una difficile.

Certo quelli erano altri tempi, ma lo stesso si potevano trovare ragazze portate ai rapporti umani, diciamo così. Tu invece niente. C’era da aspettarsi di ritrovarti, dopo tanti anni, sposata a un nobiluomo, o almeno a un industriale di quelli pieni di soldi. Intendiamoci, io un modo l’avrei trovato comunque: ma così è stato assolutamente più facile.

E dunque lasciati guardare. Le rughe, ai lati della bocca, sulla fronte. Le rughe dicono molto delle persone, sai. Io ho imparato a leggerle, e le trovo assai istruttive. Le tue per esempio raccontano moltissimo delle espressioni più ricorrenti, quindi durezza, quindi tristezza, quindi malinconia. E se devo dire la mia, pure il rossore degli occhi racconta qualcosa. Vino, birra? Ah, no, ecco qui: una bottiglia con un dito sul fondo, nel mobile dei piatti. Superalcolici. Questo spiega molto.

Com’è andata? Se avessi tempo me lo farei raccontare. Ma non ho tempo, quindi proviamo a unire i puntini numerati come in quei giochini enigmistici.

Tuo marito fa il tassista. Chissà dove l’hai preso, anzi dove ti ha presa lui. Magari era uno che aveva dei sogni, una professione, soldi, e poi ha fatto un frontale con la vita e siccome si deve lavorare meglio investire in un lavoro duro ma sicuro.

Certo alla luce dei fatti è un gran bene, ti pare? Altrimenti sarebbe stato difficile trovare il modo e il tempo, e anche questa occasione. Però un tassista, andiamo! Eri una principessa, e finisci con un tassista? Lo capisco che ti attacchi alla bottiglia.

Poi pure ’sto fatto dei figli, secondo me è sopravvalutato. Dice che una bella famiglia dà la felicità, ma quando mai? Potrei tenere un seminario, io, su questo argomento. Tuo figlio per esempio è grande, segno che sei rimasta incinta quasi subito, facendoci due conti. Il tassista ha trovato la strada, e senza navigatore. E da lì tutte le conseguenze, non è così? Tanta fatica, un po’ alla volta finiscono i sogni, le speranze, l’immaginazione si rassegna e smette di lavorare.

Un bel giorno, si fa per dire, ti guardi allo specchio e capisci che è finita là. Che la faccenda è chiusa, anche se mancano ancora troppi anni. Ma è chiusa lo stesso.

Chissà che hai pensato, con le rose. Se ti hanno regalato un brivido, un minimo di speranza. Avrai immaginato che qualcuno aveva visto sotto la polvere che nel frattempo si era posata, strato dopo strato, su di te, la principessa di un tempo.

Ogni rosa ti avrà portato un sorriso. Ogni rosa ti avrà condotta davanti allo specchio, ti avrà fatto sistemare i capelli. Ogni rosa ti avrà cambiato i sogni etilici, quel dormiveglia ottuso sul divano nei pomeriggi in cui quel povero disgraziato di tuo marito avviava il tassametro o fumando aspettava al parcheggio che arrivasse un cliente.

Avrai sognato che qualcuno, e magari avrai immaginato anche chi, il bell’ingegnere del piano di sopra, il piacente cliente del tuo stesso bar che una volta ti ha sorriso, aspettava in silenzio, ammirandoti da lontano come ti succedeva all’epoca, il momento giusto per dichiararsi. Che magari sarebbe arrivato all’improvviso un giorno, portando in mano l’ultima rosa, la tredicesima, e guardandoti negli occhi intensamente ti avrebbe detto che tu, proprio tu, la rugosa casalinga quarantenne dalle mani screpolate eri la donna più bella e desiderabile che avesse mai visto.

E che così, con questa ridicola veste sbiadita da due euro del mercatino, senza prendere niente delle tue misere cose perché tanto ti avrebbe accompagnata nei migliori negozi, potevate scappare insieme. Che avresti fatto? Ti saresti posta il problema del povero tassista che si fa un mazzo così per portarti al mare una settimana in estate? O di tuo figlio ventenne, che torna a casa per mangiare e dormire e forse trova nel fumo quello che tu cerchi nella bottiglia?

No, te lo dico io. Avresti preso la tredicesima rosa, l’avresti annusata con grazia come facevi in quel tempo che pare non esserci mai stato, e invece c’è stato eccome, e saresti volata via. Nessuno scrupolo, di fronte alla seconda occasione.

Purtroppo per te, però, le rose sono solo dodici. La tredicesima rosa, quella della grande occasione, quella dell’ultimo sogno, non esiste.

Esiste il passato, invece.

Di quello non ci si può scordare.