XIV

Determinata a non subire la seconda GdM consecutiva, Mina sgattaiolò fuori di casa mezz’ora prima del solito nella finalità di non doversi sorbire una nuova arringa della madre. Ebbe cura di non accendere la luce e di non chiudere la cigolante porta del bagno, costringendosi a vestirsi in Braille e prendendo perciò a caso gli indumenti dal cassetto.

Non le andò benissimo, almeno ai suoi fini, mentre andò splendidamente a tutti i maschi che si trovarono sul suo cammino.

Quella che al tatto e al buio le era sembrata una castigata casacca grigia, comprata in un outlet dopo numerose prove e caratterizzata dalla capacità di coprire ogni forma, si rivelò, quando la infilò nell’ingresso subito prima di uscire, uno spiritoso regalo di Greta, una delle sue tre amiche d’infanzia che si ostinava a frequentare e che era allineata sulle posizioni di sua madre in merito alla necessità delle donne di essere donatrici di organo per assurgere a posizioni elevate nella vita. La suddetta Greta, affermata professionista perché stimatissimo avvocato nonché anima della vita notturna dei sobborghi dove si recava a caccia di carne fresca, le aveva sempre detto che se avesse avuto il décolleté di Mina sarebbe appartenuta alla famiglia reale inglese, per il tramite di un matrimonio random con uno qualsiasi dei componenti della stessa.

La valorizzazione del Problema Due era stata per Greta una specie di piccola missione, culminata in quel regalo di compleanno che Mina aveva giudicato immediatamente impossibile e che adesso, come in uno dei suoi peggiori incubi, si ritrovava addosso. Sarebbe tornata indietro a cambiarsi se non avesse sentito, dalla camera da letto della madre, Gloria Gaynor accennare all’intro di I will survive. Troppo tardi. Doveva uscire così.

La camicetta era normale fino al secondo bottone a partire dal collo, e ridiventava normale dall’ombelico in giù. Certo, il color pesca non era il massimo della sobrietà; ma non era quello il punto. Il punto era che dal secondo bottone e fino al penultimo la camicetta si apriva, senza asole e senza alcuna forma di chiusura, in una specie di grosso cuore vuoto che lasciava liberi, fino a quasi l’attaccatura, i seni. Ove questi ultimi fossero stati normali, diciamo fino a una quarta misura, la faccenda non sarebbe stata gravissima e anzi in certi ambienti angiportuali e in certe discoteche della Versilia dopo le tre del mattino sarebbe risultata spiritosa e perfino intrigante. Col seno di Mina e a prima mattina di un giorno feriale poteva condurre a una condanna per direttissima per istigazione a diverse fattispecie di reato.

Continuando il peggiore degli incubi e spostando in avanti il confine della GdM, Mina comprese che non avrebbe trovato aperto un negozio per comprarsi uno scialle, una sciarpa o altri strumenti difensivi. Camminò perciò tenendo le braccia conserte, assumendo per questo un’andatura che faceva pensare a una sopravvenuta incazzatura o a un infarto in atto.

Riuscì sostanzialmente a dissimulare la situazione, anche grazie all’ora antelucana e quindi alla poca gente per strada. I Quartieri Spagnoli però pullulavano già di vita, e in pochi secondi si trovò a fendere una folla in festa che le tributava un maschio, inopportuno e assai rilevante gradimento. Per fortuna arrivò al portone del palazzo in cui riparò lasciandosi alle spalle un codazzo di ragazzini precoci che cercavano di comunicarle in lingue incomprensibili in quali divertenti attività l’avrebbero piacevolmente coinvolta. Nella fresca oscurità dell’androne si sentì finalmente in un luogo tranquillo e mollò le braccia lungo il corpo, ignara per un momento di trovarsi nella tana del più terribile predatore sessuale dei dintorni.

Si materializzò infatti davanti a lei Trapanese Giovanni detto Rudy, con una scopa in mano nell’esercizio della sua seconda funzione dopo quella di seduttore seriale, vale a dire il portinaio dello stabile. Si trovò davanti a Mina, o meglio al Problema Due, ed ebbe la stessa reazione di una pastorella portoghese di fronte all’apparizione della Signora con l’Azzurro Manto. Fu un’epifania, una manifestazione soprannaturale, la realizzazione del più ardito dei sogni. Dinanzi al civettuolo regalo di Greta l’uomo lasciò cadere la scopa e la mandibola, sgranando gli occhi e allargando le braccia come a ricevere tutto lo Spirito della visione. Sul volto si dipinse un estatico sorriso, che scoprì gengive vuote e pochi denti superstiti sporchi e irregolari, ma lo fece sembrare più giovane.

Mina si coprì di nuovo in fretta, ma era troppo tardi. Quell’uomo non sarebbe mai stato più lo stesso.

«Ma che meraviglia vedervi, stamattina! Che giorno speciale è schiarato, che benedizione mi è toccata! Mai avrei sperato tanto, di trovarmi così al vostro cospetto!».

La straniante impressione che si stesse rivolgendo direttamente alle tette, sostenuta dall’altezza e dalla fissità dello sguardo e da quel voi insistente oltre che dall’esitazione su quell’ultima parola, fu così univoca che Mina pensò di mollargli uno schiaffone se solo non avesse pensato che togliere una mano da lì sarebbe stato per l’uomo un favore.

Ringhiò quindi:

«Trapane’, non si permetta. E per cortesia, finiamola con questa questione che una donna non si può vestire in un certo modo senza provocare queste ridicole reazioni! Se io mi trovassi davanti a lei con la camicia sbottonata mica reagirei così!».

L’ometto sbatté le palpebre, più distratto che confuso, e senza togliere gli occhi dalle parti che le braccia di Mina non riuscivano ad arginare disse:

«Dottore’, per favore, io se mi apro la camicia faccio più schifo di adesso, voi invece, mamma mia, che spettacolo! Io l’ho sempre sostenuto, vi farei parlare con gli amici del bar che dicono che io discuto solo di questo, ma credetemi io l’ho sempre detto, voi siete un miracolo! Un miracolo, e ora ne ho le prove! Due immense, meravigliose, enormi prove!».

Mina meditò l’omicidio suicidio, una pratica decisamente sottovalutata quanto a soddisfazione indotta. Poi disse, severa:

«Ho perso un bottone, quante storie. E comunque mi fa piacere incontrarla, Trapanese, perché le devo chiedere una cortesia».

L’uomo allargò ulteriormente il sorriso, scoprendo le sedi dove in un lontano passato avevano risieduto tre premolari.

«Qualsiasi cosa, dottore’» disse commosso, «qualsiasi cosa. Ritenetemi vostro devoto servitore, come quelli là, i cavalieri del tavolino tondo, che per una dama attraversavano il mondo e...».

Decisa a interrompere la lezione di letteratura medievale, Mina disse brusca:

«Lei conosce un po’ tutti nel quartiere, no? È sempre vissuto qui, non è così?».

L’uomo annuì, continuando a sorridere come se Mina avesse erogato una perla di immensa saggezza.

«Sì, dottore’, sempre qua, ma la gente che abita nel quartiere è tantissima, non si possono conoscere tutti. Certo non sono tutti uguali, voi per esempio sareste evidente dovunque, ma per me, che sono innamorato della bellezza, siete ancora più evidente. Vi ricordate quella canzone che dice “e chi ve pò scurda’, uocchie c’arraggiunate...”».

Mina serrò la mascella e fece uno sguardo durissimo che l’uomo, indirizzando altrove la propria concentrazione, non vide. Allora lo interruppe con tono deciso:

«No, non la conosco questa canzone. E nemmeno mi interessa. Mi interessa invece sapere qualcosa su un certo Alfonso Caputo, uno che abita a vico Albanesi 50, al secondo piano. È sposato con una donna peruviana che si chiama Ofelia e ha una figlia di una decina d’anni che si chiama Flor».

Rudy, senza distogliere lo sguardo da quello che probabilmente sarebbe stato l’oggetto dei suoi sogni di lì alla dipartita, scosse il capo:

«Mi pare di averlo sentito nominare, ma non lo conosco di persona. Ma perché vi interessa, dottore’? Una donna come voi, che ci fa con uno sposato e per di più con una straniera? Che vi può dare un uomo così, dottore’? Non è meglio uno con maggiore esperienza, che sa come fare a portare in paradiso una donna che ha queste... queste... queste caratteristiche, come le avete voi? Pensateci, dottore’!».

«Trapane’, ma che ha capito? È impazzito? È una questione di lavoro, pare che quest’uomo, che non ho mai visto e che mai vorrei vedere, sia un violento e maltratti la moglie».

Il portinaio scosse il capo partecipe, senza tuttavia spostare lo sguardo.

«Ma veramente? Incredibile. Se volete mi informo, dottore’. E vengo subito a dirvi tutto».

Mina sospirò al pensiero di dover sostenere una seconda volta un incontro con quell’individuo, per giunta vestita così.

«Sì, ma con estrema discrezione. Bisogna essere sicuri che nessuno sappia niente, e che l’uomo non capisca che qualcuno sa del suo modo di fare. Mi raccomando, Trapanese: discrezione as-so-lu-ta. Ci siamo capiti?».

Il sorriso perse un paio di millimetri d’ampiezza, nel tentativo fallito di atteggiare l’espressione estatica a seria compenetrazione.

«Figuratevi, dottoressa. Sarò una tomba. Mi muoverò come una zoccola di notte: lungo il muro e nell’ombra. A più tardi».

Mina annuì e attaccò le due rampe e mezza di scale. La giornata, sicuramente dM, le pareva un’immensa montagna da scalare.