XXXV

Si ritrovarono tutti al bar delle partenze, quello che consente un ultimo caffè decente a chi spicca il volo per altre destinazioni, dove ci saranno pure incomparabili bellezze ma la bevanda cessa di possedere le proprie caratteristiche e si trasforma in tutt’altro.

C’era voluta una mezzoretta per risolvere internamente la questione. Ofelia e Flor erano partite attraverso la corsia preferenziale organizzata da Lulù. La ricchissima amica di Mina aveva provveduto a una valigia con tutto quello che poteva servire alle due sia durante il lungo volo che nei primi giorni di permanenza in Perù dove avrebbero trovato i genitori di Ofelia, avvertiti telefonicamente durante le operazioni di imbarco.

Il momento dei saluti era stato, come si dice, breve ma intenso. Le urla della colluttazione in cui Caputo era stato impegnato da Delfina e Greta sarebbero state l’ultima occasione in cui moglie e figlia avrebbero sentito la sua voce. Flor non aveva tristezza negli occhi, e la mano con cui teneva stretta quella della madre, mai lasciata nemmeno per un attimo, diceva di una scelta univoca anche da parte della bambina.

Mina era consapevole che quello che aveva fatto non era legale. Un padre ha dei diritti e lei, con l’aiuto dei suoi amici e delle sue amiche, ne aveva impedito l’esercizio. Ma sapeva anche che quell’uomo a lungo andare, e forse non troppo a lungo, avrebbe probabilmente compiuto un gesto senza ritorno. Le piaceva pensare che nella sua contorta maniera avesse aiutato anche Caputo Alfonso, trafficante di armi e aspirante uxoricida.

La piccola battaglia dei sessi avvenuta nella sala dei check-in si era conclusa improvvisamente com’era cominciata. L’arrivo affannoso e un po’ tardivo di un paio di poliziotti aveva fermato Delfina che, ricevuta l’occhiata di rassicurazione di Greta, aveva assunto un’aria confusa. «Aspetta, aspetta, ora che ti guardo bene, tu non sei il mio Alfredo! Cioè, somigli ma non sei tu! Lui è molto, molto più bello! Scusate, agenti, mi sono sbagliata. Arrivederci».

Prima che le guardie potessero chiedere le generalità di tutti, i tre uomini si erano dileguati. Rudy, rimasto alla guida della Panda e pronto a ulteriori gincane per eventuali fughe, vide Caputo trascinato dagli altri due verso il SUV mentre bestemmiava e continuava ad asciugarsi il sangue che ancora sgorgava copioso dal sopracciglio squarciato dalla borsa vendicatrice di Delfina. Il rischio di ritrovarsi censito come facinoroso presso un aeroporto che tanto frequentava per lavoro era evidentemente superiore a quello di vedersi scappare sotto gli occhi moglie e figlia.

Al tavolino del bar Mina era ancora in tensione.

«Non finisce qua, temo. Quella è gente che non si rassegna, e l’indirizzo peruviano dei genitori di Ofelia Caputo lo conosce. Si sono conosciuti là, quindi avrà i suoi contatti».

Domenico annuì.

«Vero. Ma è anche vero che nel suo paese Ofelia sa come muoversi. Potrà provare a far perdere le sue tracce, cambiare identità. E forse, chissà, conosce qualcuno che potrà difenderla, noi questo non lo vogliamo sapere. Per ora, le hai salvate. Questo è sicuro».

Le tre amiche non avevano smesso di scambiarsi sguardi d’intesa, cosa che a Mina dava un fastidio incomparabile. Le conosceva come le sue tasche e sapeva che l’incontro con quel ginecologo in tutto e per tutto uguale al Redford di Quell’ultimo ponte, film tra i suoi prediletti, sarebbe stato il principale argomento di conversazione durante innumerevoli aperitivi, molti dei quali in sua assenza.

Delfina sussurrò in maniera perfettamente udibile anche sulla pista cinque, a mezzo chilometro di distanza:

«Ma quanto ancora ci volevi negare questo piacere, Mina? Non sapevamo che il consultorio fosse così ben frequentato! Proprio simpatico, questo dottor Gammardella».

Domenico disse, con un abbagliante sorriso:

«Chiamami Mimmo, per favore. Nemmeno io sapevo di amiche così piene di iniziativa. Mina è bravissima a separare il lavoro dalla vita privata».

L’assistente sociale lanciò un’occhiata di traverso a Domenico, per capire se era stato ironico; nel contempo lanciò un’occhiata di traverso a Delfina, per rimproverarla della frase, e un’occhiata di traverso a Greta e Luciana a titolo di avvertimento. Il risultato fu un’impressione di sopravvenuto strabismo.

«Non è questo» disse, «è che non ce n’è occasione. Il lavoro è frenetico, e Domenico qui è sempre assediato da gente che si vuole far visitare».

Greta sorrise lasciva.

«Possiamo immaginare. Non devono essere molte le occasioni, per le signore dei Quartieri, di farsi mettere da uno così le mani nella...».

Mina tossì:

«Comunque vi devo ringraziare. Avevo chiesto a Luciana di aiutarmi per i biglietti e le carte di imbarco, ma non avevo idea che avrei trovato anche voi due».

Delfina sorrise. Aveva l’incredibile capacità di sorridere rumorosamente.

«Ah, ma non ce la saremmo persa per niente al mondo! Lulù ha l’ordine di avvertirci subito quando tu stai per farne una delle tue, in una vita piatta come la nostra sei l’unica occasione di svago. Io poi era da tempo immemore che sognavo di fare una piazzata, lo sai che la mia famiglia non me lo consentirebbe mai».

Greta annuì con forza:

«Ma io ci devo sempre essere, tesoro». E rivolgendosi a Mimmo: «Non puoi immaginare quanto sia propensa la nostra Mina a mettersi nei guai dal punto di vista legale. È bravissima, in questo: lo è sempre stata. Quindi assai meglio che io sia nei paraggi, per impedirne l’arresto».

Mina arrossì.

«Adesso chissà che fate pensare di me, cerco solo di aiutare il prossimo che...».

Luciana mise una mano sul braccio di Mimmo, per attirarne l’attenzione e anche per toccarlo tout court.

«Ma sì, certo che è un’ottima persona, la migliore di noi. Solo che va un po’... sorvegliata, ecco. Ma immagino che la conoscerai bene anche tu, no? Almeno, lo spero per lei».

Il rossore di Mina assunse un’ulteriore sfumatura.

«Guarda, Luciana, che tra noi il rapporto è rigorosamente professionale. Non siamo amici, non ci siamo mai visti fuori dal consultorio e...».

Luciana le sorrise, condiscendente.

«Ma qui è fuori dal consultorio, no? Eppure stiamo chiacchierando amabilmente davanti a un caffè. Quindi sarebbe il caso di essere meno formali, credo».

Delfina annuì con forza.

«E giacché siamo corresponsabili di una buona azione che magari ha anche qualche gustoso risvolto illegale, e che pertanto non potremo raccontare nei noiosi interminabili burraco che animano le nostre vite, almeno facci stringere nuove amicizie».

Greta chiese al dottore:

«E dicci, Mimmo, che fai di bello quando non scavi tra le gambe della plebe? Come ti diverti?».

Il medico si agitò un po’ sulla sedia.

«Io veramente non mi diverto. Cioè, non è che non mi diverto perché non sono il tipo, o non voglio, è che non ho molte occasioni. Cioè, io le occasioni le avrei anche, per carità, molte persone, anche pazienti, mi invitano a fare cose, ma io non è che... Insomma, spesso la sera sono un po’ stanco».

Luciana sgranò gli occhi:

«Ma davvero? Cioè, non esci? Uno come te, assolutamente uguale a Kevin Costner?».

Delfina urlò:

«Ma che dici? Non lo vedi che è identico a Paul Newman? L’ho pensato appena l’ho visto!».

Greta scrollò le spalle con sufficienza:

«Non avete mai capito niente di uomini. È il sosia di Patrick Dempsey, e fa pure lo stesso mestiere».

Mina, che le avrebbe scannate molto volentieri anche dopo l’aiuto appena ricevuto, cercò di sorvolare.

«Comunque abbiamo molto lavoro, anch’io la sera sono distrutta e non...».

Luciana la fermò con un deciso gesto della mano.

«Alt. Tu non esci perché hai delle psicopatologie, lui invece mi pare normale nella testa, perché di certo non lo è fisicamente. Per cui da oggi ci prendiamo l’onere di introdurti, caro Mimmo, nelle cose belle della vita in questa città. Che ne dite, ragazze?».

Greta e Delfina assentirono entusiaste.

Mimmo sembrava un po’ a disagio, e continuava a guardare Mina per chiederle aiuto.

«Io veramente non saprei se... temo di non essere uno di grande compagnia».

L’assistente sociale ebbe pietà di quel pover’uomo caduto nelle grinfie delle arpie e si sentì responsabile della situazione. In fondo si trovavano tutti là a causa sua.

«Mie care iene, vi devo informare che Domenico è felicemente fidanzato, credo con una sua collega da quanto ho saputo. Per cui ripulite la bava dalle vostre bocche e datevi un contegno».

Sorprendentemente, il medico si voltò verso Mina con espressione dura e disse tagliente:

«Informazioni vecchie, cara collega. Dovresti aggiornare un po’ i pettegolezzi».

Nel silenzio imbarazzato che seguì rivolse un luminoso sorriso alle altre tre e disse:

«Libero come l’aria, signore. E a vostra completa disposizione».

A Mina sembrava di trovarsi in uno di quegli incubi da cui cerchi di svegliarti e non ci riesci, mentre l’incubo non si rassegna e continua.

Riaccese il telefono per darsi un contegno, e immediatamente quello squillò. Era il Problema Uno. I guai sono come le ciliegie, pensò.

Disposto l’orecchio ad adeguata distanza e rassegnata al peggio, disse:

«Ciao, mamma, scusami ma sono in riunione e...».

Accorgendosi di un tono normale di voce avvicinò l’apparecchio preoccupata:

«... chiamata diverse volte ma risultavi irraggiungibile. Come stai, tesoro? Tutto bene?».

Come se avesse in mano un animale strano, Mina fissò di nuovo il display. Era effettivamente la madre.

«Mamma, stai bene?».

«Ma certo, cara» disse quella, con voce innaturalmente flautata, «non volevo disturbarti durante il lavoro. Mi dispiace».

Se l’avesse chiamata urlando che stava morendo per una coltellata inferta da Sonia le avrebbe dato minore inquietudine.

«Mamma, che sta succedendo? Sei posseduta da un’anima gentile?».

Le amiche la fissavano condividendone la preoccupazione. Concetta era tristemente nota a tutte.

«Ti ho detto che va tutto bene, amore. Ascolta, quando torni a casa? Ti ricordo che qui c’è quella signora delle faccende domestiche, ci tiene a incontrarti».

Mina fece una smorfia. Ecco il motivo di tutta quella gentilezza: la presenza della nuova cameriera alla quale evidentemente il Problema voleva fare una buona impressione. Be’, non poteva darle torto: al naturale Concetta metteva in fuga chiunque in tre secondi.

«Hai ragione, mamma. Me n’ero completamente dimenticata. Adesso torno subito a casa, stai tranquilla, prendo un taxi e...».

Domenico intervenne, deciso:

«Ma no, ti darà un passaggio Rudy. Io mi intrattengo volentieri con queste bellissime signore».

Greta sorrise, felina.

«Ah, puoi starne certo. E chi ti molla più, mio caro dottor Stranamore. Ti portiamo in giro come una macchina nuova, e domani in città non si parlerà d’altro».

Mina meditò concretamente il suicidio.