Wilma

Sono le otto di sabato mattina e ho già ingoiato le pillole per il cuore, ché quelle per la pressione vanno prese alla sera, insieme all’antidepressivo. È tutto segnato su un foglietto stropicciato, non posso ricordarmi a memoria gli appuntamenti con i farmaci, senza contare gli integratori vari: pasticche di miglio per la cheratina azzerata, magnesio per il mal di testa, calcio e vitamine varie non ricordo più per cosa.

Melania è ancora a letto: appena se ne andrà passerò l’aspirapolvere e una botta di straccio – alla fine il bestione, con una scusa o con l’altra, è rimasto in terrazzo solo mezz’oretta e per il resto ha devastato la casa –, farò un salto al CUP a prenotare la radiografia alla mano per il tunnel carpale e dopo, finalmente, proverò le scarpe nuove. Non è che voglia cacciare via mia figlia: mi trasmette un disagio... Chissà cosa combina a Granarolo. Chissà a che ora piange suo fratello, chissà se ricorda ancora quanto è stata felice con il figlio di Mafalda. Be’, proprio felice no. Quasi serena, forse. Se la loro storia non si fosse sciolta nella quotidianità, ora lui non vivrebbe in America, magari si sarebbero sposati, io avrei un bel pupattolo starnazzante per casa e la mia vita, forse, avrebbe più senso.

Quando mia figlia si presenta in cucina per la colazione, la faccio accomodare al tavolo imbandito con una tovaglia ricamata, le porgo cinque fette di ciambella macchiate da gocce di cioccolato, le verso una tazzona di caffè, scansando il cane che mi sta alle calcagna.

«Quando tornerai?». Mi siedo di fronte a lei e allontano il muso della bestia con il ginocchio. Non dovrei chiederglielo così schiettamente, le mie amiche dicono che non è saggio mostrarle troppo amore. Come non detto, adesso fa la preziosa: «Non lo so. Senti, mamma, ti ho lasciato i panni sporchi in bagno».

«Te li lavo. Vuoi qualcosa?».

Si alza, prende un sacchettino di plastica dimenticato sulla sedia di fianco. «Questo». Si infila in bocca una fetta intera, afferra un’altra fetta e la divide in due: un pezzo per sé, uno per il cane. Poi tracanna il caffè.

«E il tuo zaino?».

«È bucato, l’ho lasciato di là, non toccarlo».

«Non mi dici quando torni?».

No, non devo pressarla, altrimenti otterrò l’effetto opposto. Infatti lei si alza, fa spallucce e si avvia alla porta.

«Melania, aspetta! La melagrana l’avevo tenuta per te... non te la porti via?».

«No, dalla alla Betta».