Le Sultane

Mafalda entra in camera per controllare il malato. Giorgio è seduto sulla poltrona, rivolto verso la finestra, lo sguardo incollato ai palazzi di fronte.

«Sono tornata».

Lui non risponde. Fino a qualche mese fa alzava la mano e pronunciava un ciao. Ora emette qualche verso, sempre più di rado. L’assenza di sguardo è il suo contrassegno, come se ogni fotogramma registrato venisse trascinato in un acquitrino senza tempo. Ma lei gli parla lo stesso: «Vieni, ti preparo da mangiare».

Gli toglie le fasce con cui lo aveva saldato alla poltrona – non lo lego, io, lo fisso solo, così è più sicuro, è solita giustificarsi tra sé –, se lo arrangia per metà su una spalla e lo conduce in sala, nella poltrona della zona giorno, con visuale diretta sulla televisione. Alza il volume al massimo, tanto a lui non dà fastidio il ronzio di sottofondo. Rovista tra i fornelli, non occorre apparecchiare, a lei basterà pasta condita con spinaci e parmigiano. Per lui cucinerà due uova fritte, ha bisogno di proteine.

Mafalda è adirata coi suoi uomini. Col marito, perché in quelle condizioni non serve più a niente. Certo, le arriva la sua pensione, percepisce inoltre un’indennità di accompagnamento che dovrebbe investire assumendo qualcuno per aiutarla. Ma lei ogni mese intasca i soldi e li mette in banca, suo marito sta bene senza un’estranea tra i piedi.

Nemmeno del padre ha un buon ricordo. In fondo se lei è così scrupolosa coi soldi è perché quello non gliene sganciava nemmeno al bisogno. La trattava come una serva, pace all’anima sua.

Il dente avvelenato di Mafalda, poi, non risparmia neppure i figli. Di rimproveri ce ne sono per tutti. Per Mathias, perché ha arraffato la sua parte di eredità e non s’è più visto: era davvero necessario trasferirsi così lontano? Poteva almeno invitarla a farsi una vacanza. L’altro, Ugo, è un approfittatore. Viene e va solo quando ha bisogno, le molla le due pesti e torna quando ha finito i suoi comodi. Mai che le sganci una banconota. Si rende conto, suo figlio, quanto risparmia grazie a lei? Se dovesse pagare una baby-sitter, forse lo capirebbe. Non sta scritto da nessuna parte che una mamma, per il semplice fatto di essere investita dello status di nonna, sia obbligata a sorbirsi gratis dei diavoli di nipotini. Perché lei è stata tanto sfortunata con la prole?

L’ansimare erotico non è il principale disturbo arrecato da Carmela. Altro momento intollerabile è quando la ragazza ne approfitta per darsi alla pazza gioia con le fritture e inonda le scale con la puzza di olio. Consuma cibo fritto tutti i giorni e costringe i condomini, qualora si affaccino fuori dalla porta, a impregnarsi capelli e indumenti. Per Nunzia è una tortura anche solo aprire l’uscio, non c’è modo di evitare che una folata di fritto saturi il salotto, tanto più ora che suona Betta. «Ciao mamma». La ragazza, voce cremosa, porge la fronte per l’usuale segno della croce.

«Muoviti a entrare!».

Betta si affretta, si toglie impermeabile e borsa, si lava le mani nel lavello e si siede a tavola, dove l’attende un tortino salato stracolmo di verdure e pecorino fuso. «Non c’è lo zio Casimiro?», e affonda il coltello nella crosta esterna del preparato.

«No, è al bar».

Betta tira un sospiro di sollievo. Da un lato gli porta il rispetto dovuto a uno stretto parente, dall’altro la urta il suo viscidume dalle molte facce. Domande pronunciate davanti a nessuno che scorrevano sul filo di una morbosità incestuosa: Ti son venute le tue cose? Ma quando ti vengono, cosa ti senti, dentro? Ti sei mai toccata? E intanto la guardava dritto, la esplorava con quei suoi occhi azzurri – azzurro freddo, con scaglie marroni, il colore del cielo infestato da cavallette –, come se potesse carpire la vergogna che lei tentava ogni volta di affogare dentro. Zio Casimiro aveva smesso di perseguitarla passata l’adolescenza, ma un pizzico di quell’atteggiamento perdurava. Sguardi trattenuti più del dovuto. Una pacca non proprio sulla spalla. Niente di queste ombre Betta poteva condividere con sua madre.

«Wilma ti aspetta su. Ha un regalino per te».

«Vado, allora».

«Aspetta... Ci sono delle novità?», sua madre le rivolge ogni volta la medesima domanda. Un’interrogazione apparentemente neutra, che mira ad altro. Hai conosciuto l’uomo della tua vita? vorrebbe chiederle. Ma non si azzarda a formulargliela così spavaldamente, anche perché immagina che Betta soffra per il suo nubilato. Immagina tante cose, su sua figlia, e riguardo a molte di esse si sbaglia.

«No, mamma».

«Al lavoro... hai conosciuto qualcuno di interessante?». Nunzia considera l’azienda un fantasmagorico luogo di incontri succulenti.

«No, mamma».

«Sicura?».

«Ti ho detto di no». Questa volta il tono subisce una leggera inflessione spazientita e Nunzia smette di insistere. La ragazza termina e si avvia allegra verso l’uscita. È sempre tanto pimpante, quando deve salire da Wilma.

«A dopo, mamma». Betta balza su per le scale. Sua madre, superando le resistenze verso il tanfo di fritto, si affaccia per guardarla. Poi sussurra, senza farsi sentire: «Cosa ti darà mai Wilma, dei consigli per stare meglio?».