La panchina e Nunzia sono un tutt’uno quando lei vi adagia i glutei, appena trascorso il tramonto. Molto concentrata nel captare i flussi di vita altrui, Nunzia si accorge – oltre al viavai di gente che rincasa – che una specie di ambulanza ha appena parcheggiato nel vialetto. Aguzza la vista e quando arrivano gli addetti Nunzia capisce che sono necrofori, quelli che stanno venendo verso di lei, e trasportano una barella strana con annesso uno di quei sacchetti per sigillarvi dentro i cadaveri. Ne muoiono di persone, in questo palazzo popolare abitato da anziani, ma spesso esalano l’ultimo respiro in ospedale. L’ultima volta che un inquilino di via Damasco era spirato nel suo letto era capitato undici anni prima: Timoteo Franchi, un tempo un omone vigoroso, un vichingo con barba bionda e manone da gigante. Gli avevano trapiantato un polmone, i vicini lo vedevano sempre prostrato, camminava fiacco, ma il particolare più allarmante era il respiro. Ansimava con un solo polmone, quello nuovo, e delle volte era come se l’aria si ingolfasse e diventasse roca all’improvviso, il fischiare sordo di un’ocarina ostruita.
Si alza di scatto, Nunzia, sembra che i due barellieri procedano nella sua direzione, l’indole superstiziosa le suggerisce che più sta alla larga da quei portatori di morte, più manterrà le distanze dalla sfortuna. In realtà, quando terminano la stradina che rasenta il giardino, loro svoltano in direzione del sette terzo e lei si rinfranca col talismano appeso al collo. Lo sfrega con foga.
Dopo cinque minuti i portantini scendono e la barella non è più vuota. Li segue invano Corradino: gli viene impedito di salire sul veicolo, quindi torna indietro con la faccia triste e Nunzia gli va incontro. «Che succede, Corradino?».
«La mamma! È morta la mia povera mamma!». Il volto è deturpato dalla sofferenza.
«Ohhhh, mi dispiace tantissimo...». Nunzia sceglie parole di compianto, stando ben attenta a che lui non si avvicini troppo: è pur stato a diretto contatto con una salma.
«Condoglianze vivissime. Se hai bisogno chiedi pure, per qualsiasi cosa».
Lui piange composto, come sono soliti piangere gli uomini. Nunzia si fa il segno della croce. «Signore Santissimo, cosa le è successo?».
«Te l’avevo detto... che era piena di piaghe da decubito? Le è venuta un’infezione... povera mamma».
«Mi raccomando, Corradino, te lo ripeto: per qualsiasi cosa tu abbia bisogno, chiedi...». Lo guarda con occhi contriti. «Puoi contare su di me, ci conosciamo da una vita... se non ci aiutiamo tra di noi?».
Nunzia si immagina che – data la sua posizione di rilievo all’interno della parrocchia di via Damasco – lui le affiderà la missione di occuparsi delle faccende prettamente collegate a Don Dario, il loro prete: quando si officerà la messa, quali musiche suonerà l’organo e presso quale fioraia acquisteranno crisantemi et similia, ma soprattutto quale sarà il budget: se lei deve scegliere dei fiori – incombenza, questa, che non le dispiacerebbe affatto –, almeno che sappia di quanto denaro può disporre. Invece lui la stupisce, perché smette di singhiozzare e se ne esce con una richiesta poco gradita.
«Grazie di cuore per la tua disponibilità. Un favore potresti farmelo, certo».
«Dimmi, allora: che cosa posso fare per il nostro Corradino?».
«Dovresti venire con me dalle pompe funebri e aiutarmi a scegliere la bara, sai... le ho chiamate poco fa e, visto che è tardi e io non sono motorizzato, han fissato un appuntamento per domattina. Non ho fratelli, mio padre non posso portarlo, mi sento così solo, avrei proprio bisogno di compagnia».
Nunzia, che trema solo a sentirle, quelle parole, resta con la bocca sganciata e gli occhi ancora più sporgenti. Fa un passo indietro e palpeggia di nuovo il suo cornino. Poi valuta come sottrarsi a tale richiesta senza sembrare una cattiva cristiana.
«Corradino, io non so... non so se sono molto adatta a queste cose...».
«Ma è solo la compagnia che mi serve. E magari un buon consiglio, quando c’è da scegliere».
«Ecco, appunto: verrei tanto volentieri, ma non sono buona a dare consigli... perché non chiedi a qualcuno più esperto?».
Una scappatoia ci deve pur essere. È vero che lei è una credente coi fiocchi, ma un’attenuante al suo infinito altruismo dovranno pur concedergliela. Non esiste che sia a totale disposizione, va bene che la morte di una madre è una questione seria, ma anche lei deve tener conto delle sue insicurezze, altrimenti chi si occuperà della sua serenità? Di certo non quel fannullone perdigiorno di Casimiro, che – come chiamato dalla forza del pensiero – se ne esce bel bello fuori dal portone e li saluta sogghignando, non abbastanza lucido per rendersi conto che si è da poco consumata una tragedia.
Nunzia approfitta della comparsa e comincia a sbracciarsi con gran foga verso il fratello: «Casimiro! Corri!». Bastano pochi passi perché sia accontentata. Gli indica l’infelice al suo fianco e quello che aggiunge viene acquisito, dal tono, come un’imposizione da cui non potrà svincolarsi.
«Senti, Casimiro: Corradino ha perso oggi la sua povera mamma. Qualcuno lo deve accompagnare dalle pompe funebri e tu sei molto più adatto di me. Ti va bene domattina?».