Intanto a Mafalda, rosa dai medesimi pensieri, sovviene un lampo di genio. Attende solo che prosegua il tour nel podere per allontanarsi, il suo chiodo fisso è riposto in magazzino, nello scomparto in basso a destra del grande frigorifero. Per questo, quando Prisco si incammina nel sentiero sterrato dirigendo il suo bel pancione basso verso i frutteti e i laghetti con allevamento di pesci rossi, Mafalda si inventa un bisogno impellente e chiede il permesso di tornare indietro per utilizzare la toilette.
«Ti accompagno?». Prisco è una persona educata.
«No, grazie, mi arrangio».
Nunzia si immischia: «Vuoi che venga con te?».
«Non occorre: vado e torno. Vi raggiungo ai laghetti tra dieci minuti».
«Va bene».
«Scusami, Prisco, è un attacco improvviso, devo aver preso freddo alla pancia».
Si allontana come chi ha premura di correre in bagno. Supera la porcilaia e l’odore ripugnante, costeggia i conigli, oltrepassa l’aia col gallo misogino e avvista da lontano il veterinario che sta afferrando la cassettina coi campioni, totalmente incurante del pastore tedesco che gli abbaia come un dannato.
«Noo!» gli urla Mafalda, ma i latrati dell’animale coprono la sua voce.
Il tizio dispone le fiale in uno zaino, monta in sella al motorino e si avvia verso la strada, per poi arrestarsi allo stop.
«Aspettiii!!!» continua a gridare lei con tutto il fiato che riesce a racimolare nelle vie aeree. È fortunata, perché, sulla sillaba finale, il cane, forse attratto dal richiamo insolito, interrompe il baccano e al veterinario giunge una frazione di urlo.
Si volta e la bestia ricomincia ad abbaiare come una pazza. Il tipo vede una vecchia che corre verso di lui agitando le mani e sformando il viso in uno strillo. È alta e magra e un po’ sbilenca. Per un secondo si spaventa, gli viene in mente che nei paraggi risiede un ospedale psichiatrico e forse potrebbe essere scappata da là. Poi prevale il raziocinio, anche perché la vegliarda rallenta prima di raggiungerlo e palesa l’affaticamento portandosi una mano al petto e tirando lunghissimi respiri.
«Scusi, lei... aspetti...» biascica ansimando. «Mi manda Prisco... la fialetta...», e indica lo zaino entro il quale l’ha visto riporre il materiale. «Dovrebbe restituirmi la fialetta col tappo giallo... non ha più bisogno che la analizzi, cof... cof...».
Lui la guarda sconcertato, calamitato dai suoi occhialoni pieni di ditate e dalla scriminatura in mezzo alla testa, laddove dalla riga in mezzo si dipartono quattro centimetri di ricrescita. Un nuovo dubbio che si tratti di una psicotica lo assale quando lei quasi gli tocca lo zaino e ripete, con fare molto insistente: «La fialetta gialla...».
Lo zooiatra scansa le perplessità. Questa o è una squilibrata o è una conoscente di Prisco, in entrambi i casi lui non ha voglia di mettersi a litigare con lei, anche perché il prezzo che gli viene corrisposto per l’esame di ciascun campione, che siano urine, feci o carni, è la modica cifra di pochi euro: prima di scappare via, apre la cerniera e consegna la fialetta alla mano avida della strampalata vecchia, che subito la stringe tra le dita e se ne parte a grandi falcate.
In un batter d’occhio Mafalda nasconde la fialetta in macchina, si fionda in magazzino, recupera la carne, corre dai maiali, svuota di fianco agli abbeveratoi il contenuto dei sacchi neri – gli animali intanto si sono ammassati cozzandosi e grugnendo rumorosamente. La polpa sparpagliata da musi famelici è spiaccicata a terra, leccata, spalmata, contesa, divorata. Il drappello di quindici esemplari sbrana Carmela in pochissimi minuti e perfino a un fegato resistente come quello di Mafalda fa un po’ effetto vedere come i resti di un’insopportabile condomina siano dissolti dalla voracità truculenta di un rumoroso porcaio.
Nunzia accarezza qualche fantasia a proposito di Prisco. Le capita ogni volta che viene alla sua tenuta e lo esamina deciso prendersi cura dei campi. In questo momento, ad esempio, procede cauto sulla sponda del lago più piccolo, brevi passi silenti nei suoi stivaloni di gomma – non vuol far saltare via le ranocchie –, e tende il braccio forte per raccogliere col retino quello che lui chiama “il rusco”: fogliame, un pezzettino di polistirolo giunto da chissà dove, un animaletto morto. Qualche volta tira su dei pesciolini che si sbattono finché non vengono rigettati in acqua. Nunzia non riusciva a capacitarsi di come i pesci rossi potessero costituire questione di affari: prima che Wilma le presentasse Prisco, nemmeno ipotizzava che si potessero allevare. Forse perché li considerava – sbagliando – gli animali più inutili sulla faccia della Terra.
Ebbene sì, avanza qualche pensierino su quell’uomo.
Certo, è uno di quelli che vogliono tenere in pugno la situazione, uno di quelli che verificano ogni centimetro della loro proprietà. Ma quest’inclinazione al controllo non la spaventa, denota sicurezza e virilità. È vedovo da troppo tempo: anche lui sentirà il bisogno di una donna che lo assista, che gli cucini piatti prelibati con le primizie dell’orto. Saprebbe lei che buon brodino preparargli coi capponi freschi e gli odori fragranti. Riordinerebbe il magazzino, sbrinerebbe quel frigorifero gigantesco che così consuma il triplo, non lo farebbe certo girare con quel completo da meccanico sgualcito, gli comprerebbe una bella tuta pesante, flanella sotto e felpina sopra, di un bel colore che risalta quando è nei campi, cosicché lei potrebbe avvistarlo da molto lontano.
Nunzia s’ingegna di stupirlo ogni volta regalandogli vassoi della sua arte culinaria, ma l’uomo non ha mai dimostrato nulla di più di una sentita, educatissima gratitudine e lei, del resto, non si è mai spinta più in là di un effimero pensiero. L’idea del rifiuto è una frustrazione troppo grande per trastullarsi nel desiderio: certo lui non è una gran bellezza, con quel pancione e il cappellino che non toglie mai dalla testa, però il grande ostacolo per Nunzia è la propria mole pachidermica. Eppure lei avrebbe tanto bisogno di un contatto fisico, è da decenni che...
La camminata cauta di Prisco non inganna le rane, che saltano gracidando con tonfi nell’acqua. Si porta la mano in un sacchetto legato ai fianchi, agguanta manciate di cibo in polvere che scaglia nell’acqua, più lontano che può, ormai ha quasi completato il giro del secondo bacino. Il preparato non fa molta strada: nemmeno due metri in linea d’aria che cala a pioggia sull’acqua, dove lo attende una danza di boccucce trepidanti, aperte ad anello. Nunzia si porta una mano alla fronte per coprirsi dal poco sole e guarda in alto: le nuvolette screziano ancora il cielo a macchie chiare.
«Quante volte al giorno lo fai?».
«Una».
«Deve essere impegnativo star dietro a tutto».
«No». Lui alza le spalle. «È facilissimo. La parte più brigosa è quando dobbiamo pescarli con le reti. Il resto è semplice: i laghetti vanno avanti da soli».
Nunzia pensa che forse non sarebbe così facile vivere in quel microcosmo a sé, tanto più che arranca tra i fili verdi e le sterpaglie – deve pure essersi graffiata ma non vuole dirlo onde evitare di attirare gli sguardi sulle sue gambe. Prisco segnala una figura che si sta avvicinando – è Mafalda, tornata con un viso disteso che ha il potere di sedare il cuore in tumulto di Wilma, la quale non smette di guardarla con aria interrogativa. Prisco si fa avanti: «Tutto a posto?».
«Sì, sto molto meglio ora, scusatemi ma questo intestino fa i capricci...». Rotea lo sguardo tra gli astanti, per confonderli e non far loro intuire il filo di comunicazione diretta con Wilma, che attende tesissima l’evoluzione dei fatti. Mafalda pensa che sia meglio farle pervenire il messaggio per vie oblique: «Senti Prisco, mentre stavo andando in bagno ci ho ripensato, sai?».
«A cosa?». Lui si assesta ancora il cappellino.
«Non ti offendere, ma ho pensato che forse, senza volerlo, ti abbiamo dato della carne non adatta ai tuoi maiali, temo che abbiamo fatto un errore...».
«Che errore?».
«Credo che, per sbaglio, quella carne sia stata congelata due volte. Insomma... non mi sento di rischiare, visto che tu ci tieni tanto ai tuoi maiali. L’ho rimessa in macchina».
«Fa’ come vuoi, non ci sono problemi». Gli sembra un discorso un po’ strano: ci pensa solo adesso che la carne forse è stata congelata due volte?
«Ah, senti, Prisco... c’è un’altra cosa».
«Sì?».
«Siccome passava il veterinario per le analisi, ho tolto la provetta della nostra carne, quella col tappo giallo. Così, per risparmiarti un’analisi inutile».
Lui non si vuole mettere a indagare, tanto cosa gli cambia? Nunzia non ha prestato molta attenzione al discorso, Wilma invece ha capito al volo il messaggio subliminale, non sa cosa abbia combinato per filo e per segno la sua amica, ma l’unico dato che la rincuora e di cui può dirsi ormai sicura è che gli avanzi di Carmela sono in salvo dal laboratorio.