Melania mi ha stravolto la vita. E mi ha alleggerita dai lutti che l’hanno macchiata, quanto mi manca Mafalda... Sono andata a pulire la sua casa insieme a Nunzia: un disastro. Tra schegge, cocci e carboncini ho trovato, sul pavimento del salotto, dei pezzettini che parevano di vetro, la sua parte dei diamanti. Li ho raccolti senza che la mia amica se ne accorgesse – lei puliva il corridoio, intanto. Visto che non mi appartenevano, ho pensato di donarli in beneficenza dividendoli in tre parti: una destinata ai morti per incidenti, una all’associazione partigiani del mio paese natio, una alle mamme che tirano su i figli senza l’aiuto di nessuno. La mia parte di refurtiva, invece, me la son tenuta. Ma Melania non ne sa nulla, se ora riesco a mantenerla è perché ho vinto al lotto: questa la versione cui ha abboccato.
Melania si è riappropriata della sua camera, ha ripristinato il disordine supremo di quando era bambina. Stavolta lo vedo che si impegna con me. È perfino venuta al cimitero e ha salutato Juri. Mi ha strappato dalla gola l’invocazione del suo nome preso in prestito dal regno dei morti. Non lo chiamo più, ora, ed è meglio così.
Certi giorni è ancora dura, ci accapigliamo come nemici giurati e io non la sopporto. Nemmeno lei mi sopporta, quando litighiamo, e forse si maledice per aver accolto la mia proposta. Se ne esce sbattendo la porta, poi ritorna e ripartiamo da zero. Delle volte ci condoniamo le sviste, delle volte ci impuntiamo, delle volte invece ci capiamo come non è mai successo. Lo riconosco, ho insistito troppo ripetendole di cambiare pettinatura. Finché mi incaponirò, si rifiuterà di ascoltarmi solo per spirito di contraddizione. Da oggi smetto di incitarla: so che prima o poi la farà, questa benedetta capatina dalla parrucchiera.
Non è facile reinventarsi un rapporto, ma almeno lo sappiamo entrambe, ora, quanto ci vogliamo bene. E lei ha ammesso che avevo ragione sulla setta: a parte che sono dei cialtroni, si son rivelati innocui. Hanno suonato al mio portone quattro volte il primo mese: poi nessuno s’è più visto e io ho convinto Melania a farsi cancellare quel tatuaggio inguardabile.
Quando mi ha detto che aveva trovato lavoro come grafica, mi ha riempito il cuore di viole e di lillà. Si è anche reiscritta all’università, un corso online. Mi si è perfino alleviata l’angina – visto quanto c’entra l’ansia con la salute? Comunque, ho deciso di premiarla: le regalerò una bestiola, andremo insieme a sceglierla al canile e non farò storie se ha peli troppo lunghi o se è di stazza superiore a un chihuahua.
La vecchiaia mi ha insegnato che le occasioni perdute difficilmente ritornano. Però puoi tentare di recuperarle, se proprio ci tieni: le devi cercare, legare strette strette con una fune spessa, poi è una prova di forza, basta non smettere mai di tirare. Qualche volta funziona.
Una notte ho sognato Mafalda, l’aiutavo a rifarsi la tinta, finalmente. Spennellavo sulla ricrescita, mentre lei si raccomandava di non sprecarla e mi domandava perché non l’avessi diluita. Io le spiegavo che non si può diluire, altrimenti perde l’effetto, e le chiedevo perché non si fosse buttata nella rete dei pompieri, anziché restare in casa senza scampo. E così lei ha risposto: “Ho visto quei ragazzoni laggiù, in divisa, che si sbracciavano e mi incitavano a gettarmi nella rete: è stato allora che mi sono rincuorata che no, non ne valeva la pena di salvarmi da sola. Ho preferito stendermi di fianco a Giorgio e restargli vicino. E credimi, Wilma: non me ne sono pentita”.
Non potevo nemmeno abbracciarla, perché avevo le mani sporche di tinta, però ho singhiozzato e ho condiviso la mia malinconia: “Mi manchi tantissimo, amica mia. Senza di te il palazzo è più scialbo”.
Poi ho ammesso di aver pensato più volte ai suoi ultimi istanti. Come li aveva trascorsi? Aveva patito? Lei mi ha sorriso, aggiustandosi gli occhialoni logori d’osso di tartaruga. “È quando arriva la vita che bisognerebbe aver paura, semmai, non quando scende la morte”.
Con Nunzia continuiamo a giocare a scala quaranta almeno due sere alla settimana. Mafalda è come se fosse tra noi, la nominiamo di continuo, delle volte anche sbeffeggiando i suoi difetti con affetto e frasi sciocche: se fosse qui, stasera, porterebbe dei biscotti scaduti acquistati a metà prezzo, spacciandoceli per pasticceria dietetica...
Io e Nunzia non abbiamo mai più toccato direttamente l’argomento Bubi. Però una volta, parlando di altro, ci scommetto la testa che si riferisse a lui. Eravamo in giardino, dopo un acquazzone lei aveva rintracciato per prima l’arcobaleno all’orizzonte ovest: agganciava il cielo come una cinghia di Arlecchino. Nunzia lo rimirava con l’aria di chi custodisce una fantasia inaccettabile.
«Hai espresso un desiderio?» le ho chiesto.
«Sì».
«Non me lo dici?».
«Non si può, lo sai».
«Già, poi non si esaudisce. Sarà vero, poi?».
«Non lo so. Nel dubbio me lo tengo per me».
«Fai bene».
«Wilma...».
«Dimmi».
«Secondo te possiamo desiderare tutto quello che vogliamo?».
«Ci mancherebbe. Da quando è peccato sognare?».