Se una sera d’inverno un truffatore*

Tiene basso il riscaldamento, Wilma, per non consumare troppo. Lo alzerà solo alle sette, ma manca ancora un’ora e intanto il buio è già calato: a fine novembre la sera si inghiotte il giorno in un baleno.

Un the fumante – rigorosamente deteinato – attende lei e la sua amica Nunzia sul tavolo, le carte da scala quaranta sono state distribuite sul tavolo, la nebbia fuori le fa sentire al sicuro, in casa.

«Quando apriamo i pasticcini?» domanda Nunzia, cercando di non far capire che quello, per lei, è il momento più atteso della serata.

«Mah, quando vuoi. Tu non puoi mangiarli, però. Come va col diabete?».

«Oh, non ricominciare anche tu, ne ho abbastanza di mia figlia» risponde quella irritata.

«Fa’ come vuoi».

«Ogni tanto ci vuole uno strappo alla regola».

«Eh ma se giochiamo ogni giorno e ogni giorno ti concedi uno strappo alla regola...».

«Mica ti porto sempre i pasticcini?», la voce di Nunzia è molto alterata. Come un affamato a cui si allontanasse sempre di più un piatto colmo di delizie.

«No, certo. Ma ieri era la torta di mele, l’altro ieri i biscotti alla marmellata, poi le crêpe» borbotta Wilma impugnando il suo pacchetto di Multifilter sottili e, mettendosi una sigaretta in bocca, fa partire il suo bell’accendino laccato. In quel momento, la sua amica si illumina:

«Io ti sgrido perché fumi e ti fa male. C’è scritto anche sui pacchetti!».

L’altra inspira e butta fuori la prima boccata, poi le porge il vassoio da scartare scuotendo la testa, come per dire: Poi ci farai i conti tu con le tue malattie diabetiche, con quelle circolatorie, con l’obesità e l’elefantiasi. E intanto si sistema le carte tra le mani, concentratissima, mentre fuma come un’attrice degli anni Cinquanta.

Nunzia sta per togliere il nastro ai pasticcini che lei ha comprato – e quindi non capisce perché mai non dovrebbe approfittarne, visto che li ha pagati con una piccola parte della sua pensione – quando suonano al campanello e si blocca, guardando smarrita l’amica:

«Chi è?».

«Che ne so?».

«Aspetti qualcuno?».

«Io no».

«Vai a vedere!».

Mentre Wilma si avvia, Nunzia ne approfitta per liberare il vassoio dalla carta e riempirsi la bocca di un cannolo siciliano intero.

Intanto, nel salotto che dà sul portone d’ingresso, la padrona di casa domanda chi sia. Dall’altra parte si sente la voce sicura di un uomo sui trent’anni.

«Sono il corriere, c’è un pacco per lei».

«Io? Non ho ordinato nessun pacco, io».

«Lei ha un figlio, vero?».

Al sentire nominare il suo Juri, Wilma si sente il cuore cedere. Certo che ha un figlio. La morte lo ha sottratto alla vita così giovane, così bello e pieno di vita, gli ha rubato il respiro, ma non gliel’ha certo strappato dal cuore. L’estraneo scambia l’esitazione di lei per un assenso:

«Ecco: il pacco l’ha ordinato suo figlio».

Lei sgancia il chiavistello e apre la porta. Poi con tono grave sentenzia:

«Entri».

Quando Nunzia si vede arrivare l’amica seguita da un uomo – o un ragazzo? – infagottato in un giubbotto, con cappellino e mascherina, osserva i due con aria interrogativa mentre fa scivolare l’ultimo pizzico di dolcezza oltre il palato. Quello posa l’ingombro a terra:

«Un tablet, pagamento alla consegna».

«Chi è questo giovinotto?» domanda Nunzia sospettosa.

«Un fattorino» risponde Wilma, con la voce cupa.

«Come ti chiami, ragazzo?» insiste l’altra.

«Carlo».

«Bel nome, Carlo. Vuoi un pasticcino?» domanda Nunzia e addenta un altro cannolo.

«No, grazie» risponde lui «spero di non avervi disturbate. Ma farò presto. Se la signora mi paga, me ne vado subito».

«Certo, Carlo» rimarca Wilma «immagino che tu abbia molta fretta di concludere il lavoro e scappartene a casa. In queste sere così gelide. Ma quindi... dimmi: mio figlio ha ordinato un computer?».

«Esatto» dice lui e si guarda attorno. Solo in quel momento nota il salotto dai mobili vetusti, il divano dal tessuto consunto, sebbene ammantato da un copridivano dignitoso – ma c’è un angolo scoperto che lascia intravedere la decadenza di ciò che vi sta sotto. E soprattutto individua un particolare strano sul tavolo, di cui chiede spiegazioni:

«Come mai ci sono tre tazze da the? C’è qualcuno di là?» e butta un’occhiata verso il corridoio, per sincerarsi che non arrivi nessuno di particolarmente sveglio. Un conto è imbrogliare due vecchiette decrepite, un conto ragionare con un uomo baldanzoso.

Wilma si accende un’altra sigaretta, mentre Nunzia sorride:

«No, siamo sole. Questa tazza la prepariamo per la nostra amica Mafalda, che è morta qualche anno fa. In un bruttissimo incendio, sa? Ma per noi è sempre presente, noi la sentiamo vicina. Anzi, se non le preparassimo il the se la prenderebbe molto».

«Non dire sciocchezze, Nunzia, che lo spaventi. Ragazzo, perché non beve lei il the della nostra amica?».

«Prima posso andare un attimo in bagno?».

«Certo. Lungo il corridoio, la prima a sinistra».

«Wilma ma sei fuori? Perché l’hai fatto entrare?» le grida sottovoce Nunzia, appena sentono che lui si è richiuso dietro la porta del bagno.

«Ingorda! Ti sei fatta fuori quasi mezzo vassoio!».

«Non cambiare discorso! Quello è un truffatore, vuole solo spillarti dei soldi».

«Appunto! Gli daremo una lezione! Sai quante vecchiette salveremo? Mica tutte le nostre coetanee sono come noi».

«L’hai fatto entrare per questo? Vuoi diventare la giustiziera delle ottantenni?».

Wilma sorride e incrocia le braccia:

«Sì. Guarda: se non avesse chiamato in causa il mio Juri, forse l’avrebbe scampata».

«Wilma, non puoi farne una questione personale».

Wilma estrae dalla tasca del grembiule la sua boccetta di Tavor, la apre e la versa nella terza tazza di the:

«E invece sì. Tu, piuttosto: bada alla tua salute, sei senza ritegno».

Fa appena in tempo a nascondere il medicinale, che il tizio si ripresenta in salotto:

«Ora lo berrei volentieri, quel the» si avvicina, si siede, si toglie i guanti. Ha le mani rovinate dal freddo, le due se ne accorgono.

«Vuole favorire?» domanda di nuovo Nunzia, ma prima che lui possa allungare una mano sul vassoio, glielo sottrae e si mangia stavolta una mini cassatina.

«Sono deliziosi» e gliela mastica in faccia.

«Lei di dov’è?» domanda Wilma.

«Campobasso».

«Ed è venuto a Bologna per...?».

«Studio».

«Cosa fa?».

«Ingegneria».

«Certo, certo. Immagino. È in pari con gli esami?».

«Più o meno».

«E quindi, mi dica...» domanda, mentre continua a fumare con molto stile «Quanto costa questo tablet?».

«Un affarone, novecento euro».

«Immagino sarà super-scontato...» risponde lei cominciando a scartare il pacco, finché estrae un tablet da 8 pollici, visibilmente di seconda mano.

«Secondo lei io ho così tanti soldi in casa?».

«Non glieli può prestare la sua amica?».

«Scherza, giovanotto?» interviene l’altra «Sa che noi facciamo fatica ad arrivare ogni volta alla fine del mese?».

«Guardi, l’azienda si accontenta anche di gioielli, noi siamo incaricati anche di valutare preziosi».

Le due anziane si scambiano uno sguardo d’intesa.

«Allora, forse ci arrivo a novecento, se accetta anche altro».

«Ottimo».

«Però prima deve togliermi una curiosità. Se mio figlio ha ordinato il pacco, tu l’hai sentito?».

«Non io, ma l’addetta del call center a cui si è rivolto. Si chiama Marta».

«Ovvio».

«Probabilmente lui ha dato il suo nome al call center».

«Giusto, però non capisco una cosa...» e spegne la sigaretta nel suo vecchio portacenere in alabastro, mentre lui termina l’ultimo goccio di the «Come ha fatto l’addetta del call center a parlare con mio figlio, visto che lui è morto tanti anni fa?».

Al ragazzotto cade la tazza di mano e finisce a terra. Wilma si alza e raccoglie i cocci di porcellana:

«Oh, non ti preoccupare, ci sarà stato senza dubbio un errore».

«Io non...» e farfuglia qualcos’altro.

«Perché lo sai, vero, che le chiamate non sono consentite dall’aldilà?» e qui assume una voce da strega «Altrimenti col cazzo che avrebbe chiamato il vostro maledetto call center. Se gli avessero consentito anche solo UNA telefonata, avrebbe chiamato subito la sua mammina, altroché. Quindi smettila di andare in giro per le case a rievocare i morti per i tuoi stupidi tornaconti».

«Mi scusi è che io...», lui si sente mancare, ma nessuna lo soccorre. Si aggrappa prima al tavolo, Wilma e Nunzia lo osservano mentre lentamente casca a terra.

«COSA SCUSA?! Quante vecchiette hai fregato con questa truffa del pacco, QUANTE?».

«Io... io non...».

«Wilma, cosa vuoi fare? Mica vorrai fare come...?».

«Shhh! Nunzia, prendigli il portafogli! Mafalda ti direbbe di procedere così. È sempre stata qui tra noi, a cosa serve prepararle il the se poi ce ne dimentichiamo in questi momenti? Il portafogli è la prima cosa che cercherebbe».

L’amica si cala verso il corpo fiacco, non senza fatica. La mole di grasso, l’elefantiasi alle gambe, una certa tendenza alla goffaggine le ostacolano i movimenti ma riesce a estrarre il portafogli dalla tasca posteriore dei jeans. Lo apre.

«Ci sono solo venti euro. Questo è un morto di fame».

«E perché credi che si sia ridotto a fare queste cretinate?»

«Glieli lascio?».

«No. Non se li merita».

«Li teniamo noi? Mafalda non li sprecherebbe certo...».

«Lo so. Ma noi non siamo come lei. Regaliamoli ai poveri».

Nunzia si infila le due banconote da dieci in borsa, decisa a obbedire all’amica.

«Cosa volete da me?» biascica il tipo. Intanto Wilma armeggia con il tablet:

«Non si accende. Ci volevi rifilare un vecchio aggeggio rotto eh, credevi che non me ne accorgessi? Sono vecchia, non cogliona!». E glielo sbatte in testa proprio mentre quello tenta di rialzarsi. Ruzzola di nuovo all’indietro.

«No, Wilma, non ricominciamo» la implora l’amica, frapponendosi tra lei e il giovane «Lascialo stare. Sarà uno scriteriato, ma noi non possiamo farci sempre giustizia da sole».

«Perché no? Se non la fa nessuno, pensiamoci noi, almeno nel nostro piccolo».

«In fondo non ti ha fatto niente».

L’altro mugugna qualcosa, come se fosse moribondo.

«Ha osato mettere in mezzo il mio Juri. Non doveva farlo!».

«Ma che ne sapeva lui cosa ti è capitato!».

«Nessuno sa niente degli altri: è questo il punto. Dovremmo immaginare che ogni persona si porti chiusa in mano almeno una disgrazia e solo per quel pugno stretto dovrebbero tutti imparare il rispetto e la gentilezza!».

«Ok, Wilma, datti una calmata. Chiamiamo la polizia?».

« Aspetta» e fa dei respironi. Un attacco di panico. Corre in dispensa a prendere il suo spray per l’asma ansiosa. Poi si siede.

«Nunzia, versami un goccetto, dai. Dobbiamo architettare un piano. Il ragazzotto si ricorderà chi sono le Sultane».

L’altra trotterella verso la vetrina del mobile, le versa del Cointreau e glielo porge:

«Per cosa, il piano?».

Wilma beve in un sorso, si accende una sigaretta e solo dopo proferisce, lentamente:

«Per rendere migliore il mondo».

Nella scena successiva il ragazzo è un po’ infreddolito, legato a una sedia, visibilmente spaventato. Pensa di essere capitato tra le grinfie di due pazze e vorrebbe solo scoppiare a piangere.

Le donne hanno redatto un elenco di nominativi e indirizzi, da lui dettato, al fondo del quale sta un nome e un cellulare. Nunzia ha approfittato dell’unica volta in cui l’amica è andata in bagno per sbafarsi altri pasticcini, ma l’altra non ha tempo per notare che il vassoio ora è quasi svuotato. Si siede sfinita e pensierosa. Nunzia la scruta:

«Quindi cosa facciamo, Wilma?».

«Una diretta sui social».

«Sui social? Ma io nemmeno ce le ho quelle diavolerie!».

«Ce li ho io, mi ha insegnato a usarli mia figlia. Sono efficacissimi».

«Ma perché non chiamiamo la polizia?».

«Perché, perché? Quante domande! Non ci arrivi proprio?».

«No, non ci arrivo, illuminami tu, Wilma!».

«La polizia ha le mani legate. Non vedi come va? La fatica che fa tante volte a inseguire i delinquenti e poi dopo pochi mesi sono già fuori? Oppure si dichiarano innocenti e vengono scagionati? No, qui ci vuole qualcosa che scotta. Bisogna far scoppiare il bubbone, coinvolgere i media, il mondo del web, direbbe mia figlia».

Wilma si rivolge al losco personaggio:

«Devi raccontare in diretta tutto quello che ci hai detto. I nomi dei capi. I nomi dei truffati. Le cazzate che avete inventato per raggirarli. Tutti i soldi che vi siete intascati. Devi essere preciso e conciso, è chiaro?».

Ma lui non risponde.

«Hai capito, stronzetto?», e rafforza la domanda con un bel ceffone di paletta per uccidere le mosche. «Sì, sì» risponde lui.

Intanto Nunzia prova a placarla, ma chi la ferma più?

Lo vedono tutti, anche quelli che disdegnano i social. La scena rimbalza su whatsapp, sui TG, ne parleranno quotidiani e talk show. Perché le cose non vanno esattamente come Wilma ha previsto. Così la scenetta viene impostata come da copione, l’impostore viene prima fatto rivestire e sistemato – ma sempre tenuto ben saldo alla sedia, di modo che non si scorga che le mani sono bloccate da una corda – e, dopo ripetute prove, si apre la diretta on line, quindi come se fosse in mondovisione.

Procede tutto bene per i primi cinque minuti, ma sul più bello, proprio quando si tratta di fare i nomi, Carlo – vero nome Michele Canino – tenta di fare il furbetto e bluffare mangiandosi le parole. Così Nunzia prende in mano il foglio e la legge lei quella lista nera, ma Wilma, che intanto dentro è montata di rabbia, non perdona, racconta a tutti quello che è successo, lo spiega in prima persona, si assenta un attimo per correre in camera da letto e sottrarre al comodino quella foto che le è così cara, delimitata da una cornice d’argento. Guarda la telecamera e la punta sul naso di Carlo:

«Guarda mio figlio e vergognati. Lui non ha ordinato niente. Lui non le avrebbe mai fatte certe cose. Come ti sei permesso, brutto screanzato, di disturbare il sonno eterno del mio Juri?».

Il malcapitato fissa con volto attonito quella signora infuriata. Vorrebbe non aver mai suonato a quel campanello, questo è chiaro – dal suo sguardo – a tutti gli occhi incollati alla scena.

Doveva esserci molta polvere su quella cornice e lui deve soffrire di allergia, perché all’improvviso gli scappa uno starnuto che inzuppa in pieno l’immagine di Juri e – non l’avesse mai fatto! Wilma diviene viola in volto e d’improvviso perde le staffe.

Quello che succede verrà visto, rivisto, ricliccato, bersagliato, innalzato a gesto supremo di eroismo: Wilma che inveisce contro di lui, poi che lo prende a pugni (al che si capisce che lui non si può difendere e ha le mani legate, altrimenti non se ne starebbe così immobile) e gli sbatte addosso il tablet con una violenza inaudita, con un’esasperazione tale che quello si rompe e la testa si mette a sanguinare. Il resto diventa materia epica.

L’arrivo dell’ambulanza.

Lui che ovviamente si salva, ma non dalla prigione.

Il racket che viene incastrato e messo alla gogna anche dai media. E finalmente che la giustizia per una volta trionfa!

La condanna per Wilma, per sequestro, lesioni e percosse.

La celebrità per l’anziana, assurta a eroina dei matusa indifesi e oltraggiati.

Un po’ di popolarità spartita con Nunzia, che accetta spesso gli inviti in televisione per potersi godere la sua porzione di golosità, ai lauti buffet che seguono dietro le quinte, senza che nessuno la redarguisca.

«Non tutto il male viene per nuocere» sussurra ogni tanto all’orecchio dell’amica, Wilma dopo averla presa a braccetto. Tutto il mondo ha perdonato l’anziana mamma che ha avuto uno scatto d’ira quando hanno osato disturbare il sonno eterno di suo figlio per un’azione ingiuriosa e poi addirittura starnutire sulla sua sacra foto. Non sanno le persone, però, che l’implacabile vecchietta ha pagato a Carlo un corso serale per imparare un mestiere serio, quello di meccanico, perché era una balla che fosse iscritto ai ingegneria: lei sostiene che le buone azioni non vadano pubblicizzate.

I dati Istat dell’anno successivo, comunque, registreranno un leggero calo di truffe ai danni degli anziani.

* Questo racconto è stato scritto in occasione del Festivaletteratura di Mantova 2021, dove è stato rappresentato presso «Piazza Balcone» di via Rosselli. La recita, curata da Riccardo Rao, è stata interpretata da William Capra, Daniele Crovi e Francesco Zangrillo.