14
Henry
Sapevo fin dall’inizio che l’idillio – noi due soli in una casa di campagna – non poteva durare. Presto o tardi mi sarebbe toccato affrontare i suoi amici, ma certo che un mal di denti proprio ora non ci voleva. A Londra sarebbe andata a trovare Anna e, poco ma sicuro, si sarebbe confidata; del resto, se non l’avesse fatto sarebbe stato un pessimo segnale: avrebbe significato che temeva che Anna (e presumibilmente anche altri del suo ambiente) non mi accettasse. Tuttavia non lo ritenevo probabile, mentre ero sicuro che Anna sarebbe presto venuta a sottopormi a un esame, e in un modo o nell’altro quell’esame dovevo passarlo.
Partito il treno con Daisy a bordo, risalii in macchina e lungo la strada verso casa mi fermai in una piccola darsena sul canale, a una decina di chilometri da dove era ormeggiata la mia barca. Non ci ero mai andato. Spiegai che mi ero occupato di un’imbarcazione per conto di amici ma adesso dovevo trasferirmi e avevo bisogno di sistemarla da qualche parte. Diedi nome e indirizzo dei miei amici a Londra e mi spacciai per un certo Mr Kenyon, aggiungendo però che sarei stato irreperibile a lungo. Per il posto di ormeggio mi chiesero una mensilità anticipata e il costo del rimorchio: il tutto sarebbe venuto a costarmi non meno di una cinquantina di sterline, ma mi dissi che ne valeva la pena per liberarmi della barca, naturalmente dopo aver tolto ogni mio oggetto personale dal suo interno. Poi ne approfittai per riportare la canoa ai legittimi proprietari, per fortuna ancora assenti. Le mie carte e le mie cose erano già ben nascoste, in modo da non dare nell’occhio, nel capanno adiacente il garage.
Fu un sollievo non dovermi più preoccupare della barca: non averla più come rete di sicurezza, per così dire. Quando arrivai al cottage erano le sette passate e non mi andava di scaldarmi il pasticcio di carne e mangiarlo con la mezza bottiglia di rosso avanzata la sera prima, così andai al pub con il cruciverba del «Times» sottobraccio e bevvi una quantità di vodka tale che comprarmi la bottiglia intera e bermela a casa sarebbe stato più economico. Avevo avuto l’accortezza di non prendere la macchina e mentre barcollavo per tornare al cottage crollai in un fosso, proprio quello in cui per poco Daisy non era finita con la macchina dopo aver messo sotto quel gatto. Mi svegliai all’alba sotto un sole luminoso, in preda ai postumi di una sonora sbronza. Era presto per una sua telefonata, ma mi affrettai verso casa per fare un lungo bagno seguito da un’abbondante colazione a base di uova e pane. Mangiare mi fece sentire meglio, e quando arrivò la telefonata di Daisy che annunciava con che treno sarebbe arrivata, ero pronto a tutto.
Capii subito che lei e Anna avevano parlato, ma decisi di evitare l’argomento finché non fossimo stati al pub, con un bicchiere in mano. Era chiaro che Anna non approvava la situazione, non del tutto almeno, e Daisy era nervosa all’idea di dirmelo, ma poi arrossì e disse timidamente che mi amava, e allora capii quale doveva essere la mossa successiva. La questione doveva essere affrontata solo dopo una lunga, sfiancante e quanto più possibile soddisfacente maratona di sesso. La cosa strana è che, mentre la palpeggiavo, la stimolavo, la dominavo, ero sempre più preso: in parole povere Daisy mi arrapava. Ma riuscii a procrastinare il mio piacere finché vidi che non ne poteva più. Quando finalmente la penetrai, lei era già ben oltre il semplice desiderio e priva delle forze per resistervi. Una combinazione di fattori che trovai oltremodo eccitante.
La lasciai che dormiva e scesi a versarmi da bere, poi andai in giardino e mi accesi una sigaretta per tenere lontani i moscerini. Era quasi buio e le rose bianche ai lati dell’ingresso erano luminose. Il sole era scomparso dietro la boscaglia, ma la luna, del colore dell’argento antico, stava già sorgendo dalla parte opposta. Le piante appena messe a dimora attiravano le falene col loro odore acre, mentre due o tre pipistrelli svolazzavano frenetici qua e là facendo incetta di moscerini.
Stetti seduto per un po’ nell’aria silenziosa e profumata.
Era un bel posto dove stare, e sarebbe diventato ancora più bello dopo i lavori di ampliamento che Daisy aveva in mente. In fondo, mi dissi, non pretendevo molto dalla vita: la compagnia e il corpo di una bella donna (e Daisy diventava più bella ogni giorno che passava), soldi a sufficienza da non dover lavorare (e lei li aveva di sicuro) e giusto qualche sfizio ogni tanto, magari un viaggio. In un modo o nell’altro dovevo liberarmi di mia moglie, perché io e Daisy dovevamo sposarci: era l’unico modo per assicurarmi quello che volevo. Dal punto di vista sessuale ormai era completamente in mio potere: potevo darle piacere, negarglielo, perfino umiliarla a mio piacimento. Ma avevo ancora in mano un paio di carte che potevano rivoltarmisi contro, se non stavo abbastanza attento. Una era Anna, la cui approvazione era vitale; e lo stesso poteva valere per Katya, la figlia. Tuttavia qualcosa mi diceva che, una volta conquistata la fiducia di Anna, quella di Katya sarebbe seguita in modo quasi automatico. Tornai in casa, cominciai a scaldare il pasticcio, mi versai un altro goccio di vodka. La bottiglia ormai era quasi vuota. Decisi di preparare un cocktail per entrambi in modo da giustificare l’ammanco.
Daisy comparve prima di quanto mi aspettassi, disfatta e radiosa e, come avevo previsto, imbarazzata. Questo facilitava le cose: sapevo come rassicurarla, convincerla che la mia furia a letto veniva dal più profondo amore. Quella sera non avevo nessuna intenzione di parlare di Anna, e anche questo fu facile. Mi domandò dove avessi imparato a fare dei cocktail così buoni, così le raccontai della nave da crociera. Non tutta la storia, si capisce: il motivo principale per cui mi ero imbarcato era la diffusa e fondatissima leggenda che le navi da crociera siano piene di donne in cerca di sesso. È tutto vero, posso confermarlo. Non avevo mai fatto tanto sesso in vita mia, e all’inizio il mio unico problema fu tenere Doreen all’oscuro di Edna. Un problema che presto si risolse da solo, perché la crociera durava solo quindici giorni, e dopo quell’esperienza stetti ben attento a farmene una alla volta.
Finimmo di mangiare tardi, e dopo non restò che andare a dormire. Ero stanco morto dopo la breve e scomoda nottata nel fosso, e Daisy acconsentì di buon grado a dormire da sola: la considerò una delle mie innumerevoli premure nei suoi confronti (farsi la reputazione di uomo premuroso è come vincere un terno al lotto: una volta che le hai convinte, puoi fare praticamente tutto quello che vuoi).
Continuai a evitare accuratamente l’argomento Anna. L’indomani, durante la mattina, Daisy fu impegnata con il lavoro. Dopo pranzo venne il primo costruttore per fare un preventivo dei lavori, e Daisy volle che gli mostrassi i miei disegni. Se ne andò dicendo che avrebbe mandato al più presto un preventivo di spesa.
A pranzo le dissi che i proprietari della barca erano venuti a riprendersela.
«E come hanno fatto, se il motore non funziona?».
«Be’, hanno usato un rimorchio. È stata una cosa molto civile. Si sono scusati per essere venuti senza preavviso, io mio sono scusato per lo stato in cui era il tetto della cabina e ci siamo lasciati con una stretta di mano».
Non dissi altro, ma vidi che era soprappensiero. Chiaramente aveva fatto affidamento sulla possibilità che io andassi a dormire in barca, quando Anna fosse venuta a trovarla.
Ne parlammo ed ebbi conferma delle sue ansie. Decisi di mostrarmi preoccupato a mia volta: di certo Anna avrebbe avuto da ridire sulle mie origini umili. Sapevo che su questo fronte Daisy era pronta a difendermi a spada tratta e confidavo anche che, se fossi riuscito a convincerla che il problema era proprio la differenza di classe, sarebbe stato facile ricondurre ogni cosa a questo pregiudizio. Funzionò. Daisy cominciò subito a dire che Anna non era quel tipo di persona, che mi avrebbe valutato per i miei meriti e basta, ma capivo bene che non ci credeva del tutto nemmeno lei.
«Be’, cara, io ti amo e tu lo sai. Può darsi che quando Anna se ne accorgerà, saprà chiudere un occhio sul fatto che sono un proletario».
Lei rise e disse qualcos’altro in difesa di Anna, ma non disse che anche lei mi amava: lo fece in seguito, in un momento in cui proprio non me lo aspettavo, circa una settimana dopo la visita a Londra. La mattina aveva lavorato di buona lena: Anna le aveva chiesto a che punto fosse con la commedia e lei si era vergognata di aver concluso così poco. Il secondo costruttore se ne era andato promettendo anche lui un preventivo. Daisy aveva cercato in ogni modo di mettersi in contatto con Katya, e alla fine il marito le aveva detto che aveva deciso di prendersi una settimana extra di vacanza. Questo la mise in allarme. «Sta succedendo qualcosa», disse. «Vorrei tanto sapere dove si trova».
Poi, un lunedì mattina, ricevette una sua lettera. La portò in giardino per leggerla e io la osservai dalla finestra. La lesse due volte. In quel momento non sapevo chi fosse a scriverle, ma era chiaro che era scossa.
Non restò seduta lì da sola, ma si alzò e venne in casa per dirmelo. Un altro segno di fiducia, pensai.
«È Katya», disse. «Vuole lasciare Edwin. Anzi, lo ha già lasciato. Da tre settimane, ormai».
«E dov’è adesso?».
«A Londra, credo. Non ha scritto l’indirizzo. Edwin invece mi ha detto che era in Francia. Può anche darsi che ci sia stata. Verrà qui».
«Quando?».
«Non lo dice».
Non ci voleva. Sarebbe piombata lì, disperata e confusa, e magari si sarebbe stabilita in casa insieme ai figli. Così Daisy si sarebbe calata nel ruolo di madre e nonna e non avrebbe avuto più tempo per me.
Questi timori dovevano leggermisi in faccia, perché lei mi si avvicinò all’improvviso e mi cinse il collo con le sue delicate, candide braccia.
«Non devi preoccuparti così tanto di non piacere agli altri. Sono certa che cambieranno idea non appena ti conosceranno, e anche se non dovessero per me... per noi non fa differenza. Non cambia i miei sentimenti. Nemmeno un po’».
«Oh, cara!».
«E poi non sono affari loro. È della nostra vita che stiamo parlando. La tua e la mia». E mi baciò. Gesti del genere ormai ne faceva con naturalezza.
Era tempo per me di mostrarmi partecipe e preoccupato, chiedermi con lei dove potesse essere andata Katya («Non mi pare che abbia ancora amici che vivono a Londra») e quando era probabile che arrivasse («È un’impulsiva, decide di fare una cosa e la fa») e soprattutto perché avesse lasciato Edwin, ormai lo chiamavo per nome. Suggerii con molta cautela che forse aveva trovato un altro, ma Daisy respinse l’idea con decisione («Ha due bambini che ama. Non li lascerebbe mai!»).
Quella sera arrivò la telefonata di Katya. Nelle ore precedenti Daisy aveva sentito Anna, l’aveva informata della situazione, le aveva chiesto se per caso sapeva qualcosa. Anna non sapeva niente, ma sospetto che nel frattempo le due si fossero sentite, e Anna aveva intimato a Katya di dare notizie di sé a sua madre.
«Viene domani mattina. È già qualcosa».
«Viene in macchina?».
«No. In treno. Non mi ha detto niente della situazione. Credo sia meglio se parliamo lei e io da sole».
«Senti», le dissi. «Che ne diresti se passassi la giornata fuori? Potresti portarmi in città con la macchina e poi potrei tornare con la corriera delle cinque. Credi che sarebbe un tempo sufficiente?».
«Credo di sì», replicò con gratitudine.
«E che farai tutto il giorno?», mi domandò in seguito mentre eravamo a letto. Avevamo fatto l’amore in quel modo lento e delicato che le piaceva più di ogni altra cosa.
«Di questo non devi preoccuparti. Me ne andrò alla libreria dell’usato. Lo sai che potrei passarci delle ore. Forse anche al cinema. E pranzerò al pub. Penserò a te e non mi annoierò».
Si accoccolò tra le mie braccia e chiuse gli occhi. Aspettai che dormisse profondamente per divincolarmi.
«Le dirai di noi?».
Stavamo andando in città con la macchina, il giorno dopo, e avevo bisogno di saperlo per decidere come comportarmi quando avessi rivisto Katya. «Mi sembra di esserle rimasto simpatico, quando ci siamo conosciuti», aggiunsi.
«Sì, glielo dirò... se sarà il caso. Può darsi che sia troppo sconvolta».
«Be’, quando torno, tu cerca di farmelo capire. Non vorrei entrare come un elefante in una cristalleria».
«Non sarebbe nel tuo stile. Con nessuno».
Scesi davanti alla libreria.
«Vedrai che non è niente di grave, cara. Andrà tutto bene».
Passai una piacevole giornata. Fu bello andarmene da solo per le vie della città, libero di guardare le donne senza secondi fini dettati dalla necessità. Feci acquisti: mi comprai una copia usata di un libro di Benjamin Disraeli, due camicie e una bottiglia di vodka. Mi trastullai per mezz’ora nel retro di un’edicola dove il proprietario teneva un modesto assortimento di pubblicazioni pornografiche e ne scelsi una specializzata in tette, da quelle androgine a quelle grottesche. La infilai non visto nella busta delle camicie. Dopo averlo sfogliato per un po’, pensai che forse sarebbe piaciuto anche a Daisy: ormai avevo cambiato anche il suo rapporto con quelle parti del suo corpo. Poi ci ripensai e tornai all’edicola per comprare un’altra rivista, un femminile tutto patinato, di quelli pieni di consigli spericolati su come trovare l’uomo giusto, come liberarsi di quello sbagliato e come condurre una vita piena e soddisfacente da single. Vi nascosi in mezzo il mio porno nel caso a qualcuno fosse venuto in mente di guardare nella busta prima che fossi riuscito a riporla nel capanno. Mi comprai dei tramezzini e una birra al supermercato e mi sedetti a mangiare in un piccolo parco, sotto un grosso frassino dove potevo sfogliare in santa pace la mia rivista.
Passai un’oretta pensando al sesso, a Daisy e al sesso con Daisy. Ero sempre più convinto che dovevamo sposarci: non sarei stato al sicuro finché non l’avessi portata all’altare. Certo, voleva dire divorziare da Hazel, della quale non avevo notizie dal giorno in cui ci eravamo detti a brutto muso che da allora in poi avremmo comunicato tramite i rispettivi avvocati. Io avevo fatto domanda di patrocinio gratuito; lei, per quanto ne sapevo, aveva messo la faccenda in mano al marito avvocato di una sua collega. Non ricevevo più comunicazioni perché ormai erano quattro settimane che non andavo a ritirare le mie lettere alla posta; ero sempre stato impegnato con Daisy, tranne il giorno in cui l’avevo accompagnata alla stazione e poi mi ero occupato della barca nel poco tempo della sua assenza. Presi la mia sporta e mi incamminai verso l’ufficio postale, sulla Main Street.
C’era una lettera di Hazel. Poche righe in cui si lamentava del fatto che il suo avvocato non aveva avuto nessuna notizia dal mio, col risultato che il procedimento era bloccato. Mi pregava di darmi una mossa, se non era troppo disturbo.
Risaliva a tre settimane prima. La strappai e la buttai in un cestino della spazzatura. Poi cercai una cabina telefonica e tentai di mettermi in contatto con gli avvocati. Chiesi di parlare con Mr Noon, che però quel giorno era in tribunale. Allora chiesi di parlare con Mr Knight. Dovetti fornire il mio nome e dopo una breve pausa mi fu detto che Mr Knight non era in ufficio e che Mr Mawning, che si era occupato della mia richiesta di patrocinio, era in ferie. Mi consigliarono di lasciare il mio numero in modo che Mr Noon potesse chiamarmi. Dissi di no, che mi sarei fatto vivo io.
Avrei scritto loro di nuovo. Mi venne in mente anche che era da un po’ che non controllavo il fermoposta all’ufficio del paese. Solo a Hazel avevo dato come indirizzo la posta della città: non volevo che fosse in grado di risalire al mio domicilio e venire a crearmi dei problemi.
Salito sulla corriera delle cinque, cominciai a preoccuparmi di quel che avrei trovato al cottage. Nulla che non fossi in grado di gestire, mi dissi. Se Katya era in crisi per qualche ragione e fosse toccato a Daisy assisterla, il mio ruolo sarebbe stato di sostenerla con lealtà e discrezione. A dispetto di quanto affermava Daisy, mi sembrava probabile che Katya avesse semplicemente lasciato il marito per un altro uomo, nel qual caso avrebbe preferito stare con lui che con sua madre e me.
Alla posta del paese trovai una lettera dell’avvocato, Mr Noon, con un modulo da riempire di informazioni dettagliate sul mio reddito. Era in giacenza solo da una settimana. Era una situazione frustrante, perché non volevo che al fisco giungesse notizia del denaro che ricevevo da Daisy, soprattutto ora che la mia paga era praticamente raddoppiata. Tenere la cosa nascosta però implicava chiedere a Daisy di coprirmi nel caso in cui avessero fatto degli accertamenti, e non mi piaceva nemmeno questo. Avevo la sgradevole sensazione che l’avrebbe vista come una specie di frode e si sarebbe scandalizzata. Misi la lettera nella busta e decisi di nascondere tutto, a parte le camicie e il libro, non appena fossi arrivato a casa.
Percorsi il chilometro e mezzo dal paese al cottage pensando alle cose che Daisy avrebbe detto a Katya sul mio conto.
«Lo amo tantissimo. Mi fa sentire così bene!».
«Ti sembrerà una decisione impulsiva. Invece a me sembra che sia successo tutto gradualmente, a cominciare dal nostro primo incontro. È così bello essere amata! Oh, cara, spero tanto che Tom (o Dick o Harry) sia capace di darti quello che Henry dà a me».
«Per Henry l’amore è la cosa più importante al mondo. Lo dicono in tanti, lo so, ma con Henry è reale. Dice sempre che niente conta di più. Certo, come lui ce ne sono pochi. Non mi ero mai resa conto di quanto sia necessario avere qualcuno di cui fidarsi. E non mi fidavo più praticamente di nessuno prima di incontrarlo».
«Sono certa che piacerà anche a te, quando lo conoscerai meglio. Ha tante qualità che la maggior parte della gente nemmeno immagina. E poi è un amante eccezionale!».
No, questo non lo avrebbe mai detto. Il pudore glielo avrebbe impedito. Tanto meglio. Meno gli altri sapevano di quella parte della sua vita, maggiore sarebbe stato il mio potere. Non volevo che qualcuno la facesse vergognare della sua libidine, anche se naturalmente con lei non l’avrei mai definita così. Per lei, quello era amore.