17
Daisy

 

 

 

 

Sapeva che era nervoso per il fine settimana che si avvicinava: non lo diceva, ma era chiaro. O forse quella nervosa era lei, e proiettava su di lui il suo stato d’animo. Del resto che importanza poteva avere l’opinione di Anthony? (Questo a Henry non lo disse, le suonava un po’ offensivo). Ci pensò a lungo e alla fine giunse alla conclusione che la cosa importante per lei era che Henry piacesse ad Anna. Aveva fatto una cosa che Henry non avrebbe mai dovuto sapere: aveva spedito all’amica alcune delle sue lettere; non molte, ma quelle in cui raccontava della sua vita. Erano così ben scritte, si era detta, che forse Anna, leggendole, avrebbe capito meglio che persona era. Sapeva che era scorretto mostrare a una terza persona lettere che lui aveva scritto a lei e a lei soltanto, ma se in questo modo poteva far capire alla sua amica le ragioni per cui lo amava, allora ne valeva la pena. Lui non avrebbe mai dovuto saperlo. Aveva chiesto ad Anna di riportargliele, quando fosse venuta in visita.

Il giorno prima, quando Henry si era assentato per ore intere, aveva cominciato a temere che lo facesse apposta, perché era arrabbiato con lei. Poi però era tornato, le aveva detto quanto era stato difficile trovare il tagliaerba ed era stato così buono e gentile e premuroso, le aveva portato perfino un mazzetto di margherite di campo, un gesto che l’aveva commossa.

Il mattino successivo era andata a prendere il salmone e aveva preparato le camere. Henry aveva tolto la sua roba dalla stanza in cui l’avevano sistemata quando era venuta Katya, ma era stato necessario mettere tutto in una valigia, perché in camera di Daisy non c’era spazio per altri vestiti.

Poi, mentre era in cucina a preparare la maionese, le venne in mente: E se loro non piacessero a lui? Curioso che questa possibilità non le fosse neanche passata per la testa.

Nel pomeriggio Henry rasò il prato e potò le siepi, mentre lei cucinava. Il sole si era nascosto, ma l’afa era opprimente. Si avvicinava il temporale, disse Henry, e lei si sentì divisa tra il desiderio che piovesse, portando una bella rinfrescata, e quello di avere il bel tempo durante la visita dei suoi amici. Si udirono lampi e si videro tuoni in lontananza. Gli uccelli erano scomparsi.

Arrivarono alle sei, si presentarono al cancello oberati di borse e bagagli che dovevano essere di Anthony, perché ad Anna era sempre piaciuto viaggiare leggera.

Anthony le aveva portato sei bottiglie di champagne, mezzo salmone affumicato, un flacone di Fracas (uno dei suoi profumi preferiti) e un’orchidea bianca in vaso. Inoltre aveva con sé due valigie: roba che forse gli sarebbe andato di indossare. Aveva i capelli rossicci tagliati a spazzola, pantaloni a quadri grandi e una camicia viola.

«Mi piace portare regali agli amici. Anzi, mi piace sommergerli di regali. Ti senti sommersa?».

«Decisamente».

L’abbracciò e Anna stette a guardarli, sorridendo. «Vado a prendere il resto della mia roba?».

«Altra roba?», domandò Daisy ad Anna.

«Giochi, credo».

Mise giù il suo modesto bagaglio e si abbracciarono.

«Henry è sotto la doccia. Io l’ho fatta per prima, in modo da essere qui ad accogliervi».

Anthony riapparve con un borsone di tela pieno di scatole di cartone.

«Questi non sono regali. Sono giochi di società, per passare le lunghe ore in campagna, sapete. Posso mettere in frigo un paio di bottiglie? Ce l’hai il frigorifero, vero? O hai solo un ripiano di marmo con sopra rotoli di carta moschicida e avanzi di cibo d’altri tempi?».

«Ho entrambe le cose», replicò lei.

«Ci penso io», si offrì Anna. «So orientarmi».

«Perché, c’è pericolo che mi perda, in questa vasta magione? Splendidi colori, in soggiorno, mia cara. E anche tu sei splendida, sembri ringiovanita». Le posò le mani sulle spalle e lei sentì su di sé il suo sguardo acuto, penetrante. «Sembri felice». E la scosse un poco.

«Tu hai qualcosa di diverso».

«Ce l’ho, infatti. Indovina un po’?».

«Sembri diverso...», lo osservò con più attenzione, «...ma sì, è il naso!».

«Me lo sono rifatto l’anno scorso». Aveva sempre avuto un naso grande, ma adesso non sembrava affatto più piccolo e nemmeno diverso nella forma.

«Me lo sono fatto fare più grosso. Alle donne piace farsi ingrandire il seno, le fa sentire più sexy. Be’, un naso grande è segno di carattere, e io volevo più carattere!».

Proprio mentre rideva a questa boutade, Henry comparve sulle scale. Si affrettò a scendere con un sorriso generico, non rivolto a nessuno in particolare.

Li presentò.

«Ciao, Henry. Finalmente ti conosco».

Arrivò anche Anna, salutò Henry e chiese di poter andare di sopra a fare una doccia.

«Ma certo. Ti accompagno».

Quando furono di sopra, Anna disse: «Ho creduto fosse meglio lasciare a Anthony la stanza più grande».

«Per via del naso?».

«Per via del naso», disse Anna con solennità. «È proprio matto, eh? Ma dimentico sempre quanto si sta bene insieme a lui. Si è portato una quantità assurda di roba, ma non mi dà nessun fastidio. Te lo puoi immaginare».

«Gli hai detto di Henry?».

«Un po’. Non ci metterò molto. Vi raggiungo in giardino».

E così sedettero vicino al grande albero, ognuno con un bicchiere di champagne in mano.

«Uh, quanto verde!», esclamò Anthony guardandosi intorno nell’angolo ombroso. «C’è una bella temperatura però. Fa caldo come all’estero. A te piace il caldo?», domandò rivolto a Henry.

«Entro certi limiti, sì».

«Non ti piace, quindi».

«Non lo amo alla follia», lo corresse Henry con voce ferma.

«E cos’è che ami alla follia?».

Henry allora guardò Daisy, e continuò a farlo mentre rispondeva.

«I libri, la scrittura, gli scrittori...». Poi tacque.

Daisy capì che avrebbe voluto dire che amava lei alla follia, ma che non osava.

«Apriamo un’altra bottiglia?», propose Anna, e Henry si alzò subito per prenderla.

«Lo sai, vero, che è pazzo di te?», mormorò Anthony a Daisy.

«Smettila di stuzzicarlo. Si sente un po’ fuori posto».

Anna le diede una mano a servire la cena, che decisero di consumare in casa. L’intervallo fra il lampo e il tuono si era accorciato in fretta. Proprio come nell’ultimo atto di Rigoletto, notò Anthony. «Spero solo che non si presenti nessuno con una soprano morta dentro un sacco». Daisy vide Henry sorridere come se avesse capito la battuta, ma per qualche ragione era certa che non l’avesse capita affatto.

Finirono il salmone e mentre mangiavano il dolce Anthony tirò fuori una macchina fotografica e si mise a scattare delle foto, prima ai soggetti singoli, poi a coppie e infine tutti insieme.

A quel punto avevano bevuto tutti un bel po’. Anthony era un fiume in piena: gli bastava un piccolo appiglio, una domanda, da parte di Daisy o di Anna, e poteva andare avanti per ore. «Che cosa ho fatto allora? Ho aspettato di incontrare uno che fosse abbastanza ricco e gentile, gli sono saltato addosso e me lo sono portato al Ritz».

«Ma non hai detto che avevi addosso solo uno straccetto?».

«Non uno straccetto, Daisy cara, un plaid. Di quelli che ti danno sui voli intercontinentali, hai presente? Una di quelle copertine grigie. Me l’ero messo a mo’ di scialle, ma poi è diventato una specie di sarong malese...».

«La cosa bella è che non dobbiamo credere a una parola di quello che racconti».

«Mia cara Anna, spero bene di no. Ma pensa che noia sarebbe se uno raccontasse sempre la semplice, nuda verità. Tu che ne pensi, Henry?».

«Oh, be’», fece Henry guardando di nuovo Daisy. «Spesso la verità è più strana delle invenzioni più fantasiose. Secondo me».

«Buon per te». Anthony lo disse in tono amichevole, ma Daisy vide che Henry non l’aveva accolta con questo spirito.

Anna disse che due di loro dovevano sparecchiare. «Tutti e quattro in cucina non ci stiamo. Daisy ha cucinato. Anthony, tu e lei andate di là. Sarà il tuo turno domani».

«Agli ordini, capo! Vieni, cara. Così ti racconto un po’ di Katya».

E così fece. Daisy si rese conto di quanto aveva fatto per lei.

«Non piange più come all’inizio. Avete le lacrime in tasca, in famiglia, eh? Non è tutta colpa del sangue polacco. Abbiamo parlato a lungo delle sue prospettive e abbiamo preparato la casa per l’arrivo dei bambini. Mi ha detto che non vedono l’ora di venire a Londra, che per loro è un gran regalo, così abbiamo pensato ad alcuni posti dove portarli, che non siano troppo costosi. Dice che le darai l’appartamento, ed è molto felice per questo. Anna ha detto anche che il caro Edwin non potrà limitarsi a pagare le rette scolastiche».

«Sì, ma non credo che Katya saprà esigere da lui quello che le spetta. È orgogliosa e anche ostinata. E poi al momento lo odia».

«Lo credo bene. Be’, in effetti, sai... mi sono offerto di starle vicino quando discuteranno di queste cose. Se lascia tutto in mano agli avvocati, ci vorranno mesi e sarà uno strazio».

«Gesù». Daisy stava cercando invano di immaginare la possibile reazione di Edwin alla presenza di Anthony.

«È proprio questo il punto! Che io sia un personaggio così assurdo! Sono un asso a dare a un altro la sensazione di essersi comportato benissimo con me. Lo alliscerò un po’, mi mostrerò comprensivo verso le sue pene di povero adultero. In ogni modo Katya si fida di me, e io spero che ti fidi anche tu. Del resto non vedo come la situazione possa peggiorare. Un accordo devono trovarlo per forza. Ci sono di mezzo i bambini».

«Caro Anthony, ma certo che mi fido di te. Ti sono tanto riconoscente. Io non mi propongo nemmeno, perché non credo che Edwin mi darebbe retta».

«I tuoi splendidi occhi si stanno riempiendo di lacrime. Di gratitudine, immagino. Vedo che sei molto emotiva in questi giorni. Ha a che fare con il tuo amico Henry?».

Annuì.

«Che ne pensi di lui?».

Anthony la guardò pensoso. «Non c’è risposta a questa domanda, cara. È una di quelle persone con un cuore d’oro?».

«Vuoi dire che lo trovi noioso?».

«Non ho ancora un’opinione su di lui». Le prese la mano e gliela strinse. «Ma se ti rende felice, non potrà non piacermi, no?».

«Mi rende molto felice».

«È meraviglioso quando succede, vero? Una cosa così rara! Ti capisco perfettamente. Posso mostrarti uno dei giochi che ho portato? Vediamo se ti piace».

Quando si ritirarono per andare a dormire, tuoni e lampi avevano già ceduto il passo a una pioggia scrosciante. Sentiva le gocce percuotere le foglie tutt’intorno alla casa, e si addormentò al ritmo di quella musica mormorante, scandita da lampi e fulmini, e tra le braccia di Henry. Parlarono poco e a bassa voce: in casa si sentiva tutto.

Al loro risveglio, la mattina dopo, pioveva ancora. Henry dormiva talmente sodo che Daisy poté alzarsi e vestirsi senza che muovesse un muscolo.

Di sotto trovò Anna che faceva il tè.

«Mi sveglio sempre presto».

Tagliò del pane, lo mise nel tostapane, poi andò alla porta-finestra e l’aprì. L’aria era fresca e piacevole, ma il vialetto era cosparso di pozzanghere e il prato, di un verde brillante che aveva del miracoloso in quel periodo dell’anno, pieno di uccelli che piluccavano lombrichi dalla terra bagnata.

«Buon Dio, che ne faremo di Anthony con questo tempo? Troverà la conferma a tutti i suoi pregiudizi sulla vita in campagna».

«Io non mi preoccuperei troppo», disse Anna in tono rilassato. «Lui preferisce comunque stare al chiuso. E si è portato non so che enorme puzzle che non vede l’ora di fare».

«Hai letto le lettere che ti ho mandato?».

«Sì».

«Che ne pensi?».

«Sulla sua bravura come scrittore epistolare, hai perfettamente ragione», disse. Poi, dopo una breve pausa: «E di certo ne ha passate tante, poveraccio». Un’altra pausa. «Inoltre, nelle sue lettere è molto più brillante di quanto appaia di persona, a parlarci».

«Be’, sai, non vi conosce, è timido. Teme di non piacervi. Credo sia una di quelle persone che riescono a essere se stesse solo nei rapporti a due». Poi sentirono dei rumori dal piano di sopra e interruppero la conversazione.

Più tardi, in mattinata, lei e Anna andarono in paese in macchina perché non avevano abbastanza limoni per il salmone affumicato. Di punto in bianco Anna le domandò se avesse conosciuto qualcuno dei suoi amici.

«Di Henry? No, nemmeno uno. Sai, si è trasferito qui quando si è separato dalla moglie. Non conosce praticamente nessuno da queste parti».

«E dov’è che abitava?».

«Northampton, credo. Non ne parla mai. Non gli piace farlo. È in pessimi rapporti con l’ex moglie».

«E lei abita ancora lì?».

«Sì. Si è tenuta la casa. Credo lavori in ospedale, ma non so esattamente cosa faccia». Dopo un momento aggiunse: «Non gli chiedo mai queste cose, perché mi pare che lo facciano soffrire. A Katya è piaciuto, sai. Sulle prime era piuttosto diffidente, ma poi al telefono mi ha detto che lo trova un uomo molto piacevole e insolito. Ha saputo vedere chi è veramente, lei».

«Daisy, io non ho nulla contro di lui, davvero...».

«Eppure sembra di sì».

«Mi dispiace. Sono abituata a cercare la fregatura in tutto, come faccio coi contratti, e in passato ti ho vista soffrire molto per colpa degli uomini. È tutto qui, davvero».

«Non è per la sua provenienza sociale, giusto?».

«Nulla del genere, te lo assicuro».

Tornate a casa, videro che Anthony aveva sgomberato il centro del soggiorno e rovesciato su una tovaglia bianca i numerosi pezzi di un puzzle. Adesso era tutto assorto nel compito di rigirarli uno a uno nel verso giusto. Portava pantaloni bianchi e una camicia color cioccolato, ed era scalzo.

«Vieni a vedere che capolavoro di sentimentalismo vittoriano! Il ritorno del soldato. Lui ha il braccio appeso a una fascia e la testa bendata, lei porta un vestito alla Cime tempestose, e stanno in piedi vicino a una capanna col tetto di paglia. La donna tiene in braccio un bel bambino paffuto e c’è pure un cagnone dall’aria fedele, di razza sconosciuta. Il paradiso, ti pare? Millecinquecento pezzi. E se ci facessimo un bicchierino, come diceva mia madre prima di tracannare il centesimo bicchiere di disgustoso sherry? Henry ha avuto la bontà di mettere in frigo una bottiglia di spumante. Aspettavamo voi».

«Dov’è Henry?».

«Ah, non chiederlo a me. Gli ho proposto di fare il puzzle insieme, ma non è parso molto interessato».

Anna, che si era spostata in cucina, disse a voce alta: «È fuori, Daisy. Sta arrivando da dietro il garage».

Uscì per parlargli.

«Proprio come la prima volta che ti ho vista», disse lui. «Con quel grosso cappello nero e l’impermeabile lungo. Stavo ripulendo la falciatrice di Mrs Patel. Era messa proprio male».

Gli cinse la vita e lui diede una stretta affettuosa alle sue braccia.

«Smetterà di piovere?».

«Nel pomeriggio, forse, da come sembra. Ma sarà solo una tregua temporanea, temo».

E aveva ragione. A pranzo Daisy annunciò agli ospiti che li avrebbe portati a fare una piccola gita.

«Ma dove, cara? Non c’è una fiera, nei dintorni? Quelle sì che mi piacciono!».

«Temo di no. Ma c’è un bellissimo giardino che abbiamo scoperto Henry e io. E se ce la fate a camminare un po’, un piccolo cimitero per animali dentro la stessa proprietà».

«Solo se smette di piovere, però. Tu che dici, Anna?».

«Non mi dispiace prendere un po’ d’aria. Io dico di andare».

«Di aria fresca puoi averne quanta ne vuoi anche in casa, lo sapevi? Si chiamano spifferi. Non credo che mi divertirò molto, ma...», brontolò Anthony.

La pioggia cessò, uscì il sole e per un po’ il cielo fu azzurro, solcato solo da piccole nuvole bianche. Dovettero prendere entrambe le macchine, giacché nessuna delle due poteva trasportare più di un passeggero.

Non c’erano mai andati, in quel giardino; avevano provato una volta, in primavera, ma lo avevano trovato chiuso.

Daisy aveva pensato che una visita in un vasto giardino avrebbe dato a Henry la possibilità di muoversi nel suo elemento, ma si era sbagliata. Camminò insieme agli altri mostrandosi solo moderatamente interessato, seppur rispondendo a tutte le domande di Anna o di Daisy. C’erano due aree racchiuse tra muri di pietra, una con delle vecchie rose ormai ben oltre la fioritura, l’altra con bordure erbacee che pativano evidentemente la siccità e un’ampia, elaborata aiuola centrale piena di garofani che, dopo la pioggia, emanavano un profumo intensissimo. C’era pure un viale pavimentato che conduceva a un giardino acquatico circondato da una siepe variegata interrotta da nicchie che un tempo dovevano aver ospitato delle statue. Queste piacquero perfino a Anthony, tanto che scattò delle foto.

«Io però voglio vedere anche il cimitero per animali». Nel dirlo, Daisy ebbe la sensazione di imporsi sugli altri ma l’idea di tornare, loro quattro, nel chiuso del cottage, potendo contare solo sulla conversazione, le metteva parecchia ansia.

Così salirono in macchina e parcheggiarono le due auto vicino al fiume. Poi s’incamminarono lungo il sentiero e raggiunsero il piccolo edificio col tetto a cupola. Per fortuna Anthony ne fu entusiasta. «Una vera scoperta!». Osservò una a una le tombe e le fotografò, come fece con l’edificio. «Adesso voglio una bella foto di voi tre seduti sugli scalini davanti», disse, e loro ubbidienti si sedettero, Daisy nel mezzo con Anna e Henry ai lati. Henry le strinse piano un braccio, e quando incrociò il suo sguardo capì che stava pensando all’ultima volta che erano stati lì insieme. Si sorrisero, e Daisy si sentì molto meglio: andava tutto bene, solo che Henry non era portato per la conversazione generica.

Tornarono a casa e durante il tragitto in macchina lui le fece delle domande su Anna, le chiese se aveva qualcuno, se era lesbica, e Daisy rispose che Anna non amava parlare del suo passato e che si dedicava anima e corpo al suo lavoro. No, non era lesbica. Era stata una seconda madre amorevole per la figlia di una delle sue autrici, e in generale aveva molti amici scrittori, solo che le piaceva coltivarli singolarmente.

«Si occupa di tutto per me, prende le decisioni difficili, mi aiuta a gestire i soldi. Io non sono brava in queste cose. E gli scrittori non guadagnano molto».

«Non si direbbe, da come vivi».

«Davvero? Anna direbbe lo stesso».

Henry restò in silenzio per alcuni secondi, poi disse: «Invece il tuo amico Anthony non riesco a inquadrarlo. Recita una parte o è sempre così?».

«Lui è sempre estremo. Non è che reciti proprio una parte... gli piace divertire gli altri, ecco».

«Non credo che trovi divertente me. Non riesco a parlare delle cose di cui parlano i tuoi amici. È un ambiente in cui non mi so muovere».

«Lo so. Ma non bisogna essere uguali, per piacersi, no?».

«Hai ragione».

«Il giardino è piaciuto molto. Sei stato bravissimo a dirci i nomi di tutte le piante».

«Be’, è quello che ci si aspetta da un giardiniere, no?».

Non le riuscì di tirargli su il morale e a un certo punto ci rinunciò.

«Sono ancora dietro di noi?».

«Sì».

«Il fatto è», disse qualche minuto dopo, «che sono stato solo per troppo tempo. E poi ti voglio tutta per me. Voglio spogliarti piano piano, metterti a letto e farti tutte le cose che ti piacciono tanto...».

«Oh, Henry. Vanno via domani!».

«Davvero?».

«All’ora di pranzo».

Questo gli fece tornare il buonumore.

«Ci proverò. Proverò a essere un po’ meno noioso».

A cena, anche Anna ce la mise tutta. Gli fece molte domande sul giardino che avevano visitato, volle sapere quanto tempo c’era voluto per svilupparlo, se era stato progettato da una persona o se era il risultato del lavoro di generazioni di giardinieri.

«Credo che la parte originaria sia stata progettata da una persona. La parte murata, quella con le rose, è stata fatta successivamente. Si vede dai mattoni che sono diversi».

«Ti piacerebbe progettare un giardino di quelle dimensioni?».

«Sarebbe una bella sfida, sì. Io però ho sempre fatto giardini più piccoli, con molte meno possibilità. Per esempio grandi alberi non ne ho mai potuti piantare».

«Il tuo libro parlava di queste cose?».

«Che libro?». Daisy guardò prima Anna, che aveva posto la domanda, poi Henry, che non rispose subito.

«Henry mi ha parlato di un libro che è andato distrutto».

«E chi...».

Henry si voltò verso di lei e disse a mezza bocca: «Hazel».

«Ah, quella!». Daisy non sapeva nulla della faccenda, ma capì subito che Henry non ne parlava volentieri.

Ripresero l’argomento a letto. «Il discorso è venuto fuori casualmente», le disse. «Anna mi ha chiesto se scrivevo e allora gliel’ho detto. È successo quando l’ho accompagnata alla stazione, l’ultima volta che è venuta».

«Non me ne hai mai parlato».

«Davvero? Credevo di sì, invece. Ne ho sofferto parecchio, perciò forse ho voluto rimuovere l’episodio».

Quella notte infuriò il temporale e si svegliarono che pioveva ancora a dirotto.

«Non c’è niente da fare», disse Anthony. Era sceso in soggiorno con una vestaglia di seta rosso acceso. «Niente giornali e di gite non se ne parla nemmeno. Dovrete accontentarvi del mio puzzle».

E così fecero. Passarono ore seduti sul pavimento a mettere insieme le tessere, o almeno a provarci. L’atmosfera si fece molto più rilassata. Partecipò anche Henry, che si occupò di comporre la parte della capanna col tetto di paglia, con grande soddisfazione di Anthony. Daisy fece il cielo e Anna lo sfondo, piuttosto vago e indeterminato. Anthony prese per sé i personaggi.

«La parte più facile», commentò Anna. «E anche più divertente da fare».

«È o non è il mio puzzle? E poi ho fatto anche tutto il bordo».

Per pranzo Daisy aveva preparato uno stufato di agnello, che mangiarono tardi, quand’ebbero completato il puzzle. Anna e Anthony furono assai gentili con Henry, lo lodarono quando riuscì a comporre delle parti e furono solidali con lui quando fallì.

Quando ebbero finito di mangiare, Anthony disse che era tempo di avviarsi perché aveva promesso a Katya di portarla al cinema. Anna allora gli disse di preparare la sua roba e Henry si offrì di rimettere a posto il puzzle e lo scarabeo e i vari altri trastulli che si era portato.

Anna aiutò Daisy a sparecchiare e lavare i piatti, e nel frattempo parlarono un po’ della commedia che stava scrivendo.

«Ti farò avere un canovaccio».

«E se lo prendessi subito e te lo rispedissi indietro dopo averne fatto una copia?».

«Va bene. Non è molto, ma dovrebbe bastare per farti un’idea di quello che ho in mente. Sono ancora un po’ incerta sugli aspetti formali. Ma mi piacerebbe sapere cosa ne pensi». Poi abbassò la voce per chiedere: «A proposito, quelle carte me le hai riportate?».

«Che carte? Oh... quelle! Mi spiace tanto, me ne sono completamente dimenticata. Le ho tirate fuori per portarle e poi chissà come le ho lasciate lì».

«Puoi mandarmele insieme alla bozza di sceneggiatura?».

«Ma certo, lo farò».

Si scambiarono un’occhiata, poi Anna l’abbracciò. «Ti vedo felice e in salute. Sono molto contenta», disse. «Non ti dimenticare che sei una scrittrice, però. E vieni a stare da me qualche volta, se la tua casa di città è troppo affollata».

«Eccomi in tutto il mio splendore», annunciò Anthony. «Daisy cara, è stata una gioia vederti. Se fossi in te, come dice la gente sottintendendo che è ben contenta di non essere te, rifarei le pareti rosse con un goccio di blu in meno. Vedrai che miglioramento. Ti spedirò le foto. E ti chiamo prima di partire per Rio. E Henry dov’è?».

«A caricare in macchina i tuoi giocattoli, credo».

Anthony guardò fuori. «Che gentile. Vedo che piove ancora. Non so come tu possa sopportare tutto questo verde e quest’acqua. Proprio non ci arrivo».

«Guido io», si offrì Anna. «Non ho bevuto una goccia d’alcol da ieri sera».

«Io invece sono pieno di gocce. Passami quella busta, cara. Mi ci copro la testa».

«Ma se sono solo pochi metri!».

«Lo so, Daisy, ma poche gocce bastano ai miei capelli per arricciarsi. E a me piace averli sempre dritti».

Si allungò a baciarla e lei gli toccò i capelli, folti e grossi come pelo di marmotta.

Si avviarono tutti alla macchina, Anthony con gli ultimi bagagli in mano. Si salutarono di nuovo e Henry diede un bacio ad Anna, con grande sorpresa di Daisy e di Anna stessa.

Gli ospiti salirono in auto e partirono. Daisy stette a guardare l’auto che si allontanava, finché rimase solo il rumore del motore e poi svanì anche quello. Provava un curioso senso di vuoto, e le parve strano. I due amici, i migliori che aveva, le sarebbero mancati, eppure durante quel fine settimana solo di rado si era sentita a suo agio con loro, e per un attimo si domandò se da quel momento in poi sarebbe sempre stato così. Poi Henry le prese la mano e lei lo seguì in casa.