21
Henry
Mi ha lasciato. Quest’ultimo colpo, il più tremendo di tutti, mi ha messo al tappeto. Stava andando tutto così bene, più o meno secondo i piani, e poi lei prende e se ne va a Londra con una scusa riguardante la figlia. Ormai è chiaro che era solo un pretesto: e chi si aspettava che sapesse mentire con tale disinvoltura? Che colpo è stato! Dormivo tranquillo e beato e d’un tratto mi sono trovato davanti quell’invertito che mi diceva di alzarmi, perché c’era una lettera per me in cucina.
Sono venuta a sapere delle cose sul tuo passato, cose che non mi hai mai detto. Di conseguenza non voglio più vederti né avere a che fare con te... Ma cosa è venuta a sapere? È stato questo il primo pensiero, anche se di certo non l’ho dato a vedere ai due che mi fissavano torvi mentre leggevo la lettera. Si è portato dietro un amico, non ha avuto il fegato di affrontarmi da solo. E ha fatto bene: per un momento ho provato una rabbia tale che avrei potuto strangolarlo a mani nude.
Ho provato a protestare, certo, ma ormai avevo capito che, per un motivo che ancora non sapevo, il gioco era finito. Poi è venuto fuori che l’altro era un poliziotto, e allora ho pensato solo a darmela a gambe il più in fretta possibile. Con loro non ho chance, lo so bene. Mi hanno dato venti minuti per fare le valigie. Il poliziotto mi ha scortato al capanno. Meno male che avevo ficcato tutto nelle buste di plastica – i miei scritti, le riviste, i soldi infilati in una scatola di latta –, così non ha visto nulla di quello che mi portavo via. Ho infilato la roba in un borsone, lo stesso con cui lei aveva portato i suoi documenti, e poi senza offrirmi nemmeno uno straccio di colazione mi hanno accompagnato alla stazione. All’inizio ho pensato di tornare al cottage non appena i due se ne fossero andati, ma poi hanno voluto indietro la chiave. Il poliziotto mi ha intimato di non farmi più vedere, e mi è parso saggio non contraddirlo. Ho detto di non avere i soldi del biglietto – anche perché non avevo idea di dove andare – e allora l’invertito si è cavato dalla tasca dei jeans un fascio di banconote e me ne ha comprato uno. «Sola andata, per Edimburgo», ha detto con un sorrisetto maligno. Quelli come lui diventano perfidi non appena se ne presenta l’occasione.
Poi mi sono ritrovato su un treno diretto a Nord. Mi hanno detto di cambiare per salire sull’espresso per Edimburgo, e non ho battuto ciglio. Che ci vado a fare, a Edimburgo? O in qualunque altra città, se è per questo.
Mi domando cosa le sia preso per andarsene in quel modo, senza darmi nemmeno la possibilità di scoprire cosa sa, cosa l’ha sconvolta, come posso riparare al danno. Era innamorata di me – ne sono certo – oppure si trattava di semplice attrazione sessuale? Ma anche solo quella può dare ottimi risultati, lo ha fatto ogni volta che ho voluto.
Le avranno detto che non sono al suo livello, non abbastanza alto-borghese, che non ho soldi, non ho una bella macchina. Sono queste le cose che interessano alle donne, no?
Sono davvero sfortunato, ecco il punto. Nonostante gli innumerevoli sforzi, il tempo speso, la fatica e, sì, anche l’intelligenza che ho messo in campo per sistemare la mia vita, è andato tutto male. La gente è egoista, preoccupata solo del proprio benessere e non riesce a vedere le cose da un punto di vista diverso dal proprio.
Ma sentirà la mia mancanza a letto. Se ne ricorderà per un bel pezzo. Spero che ne soffra: le sta bene. Per una donna della sua età non è facile trovare un uomo disposto a fare quello che ho fatto io. Da questo punto di vista, rappresento un’eccezione. Non credo si sia resa conto di cosa ha deciso di buttare alle ortiche.
E adesso che faccio? Ho pensato di ripresentarmi a Northampton e fare un altro tentativo con Hazel, ricostruire un rapporto e tornare alla carica perché venda la villetta dei suoi, poi potremmo andarcene nel Galles o in qualche altro posto dove potrei coltivare ortaggi biologici. Mi sono messo in tasca l’anello che ho regalato a Daisy: potrebbe servirmi come offerta di pace... Poi però ho cambiato idea. Lavorarmi Hazel sarebbe un’impresa ingrata e sfiancante. Ora non ne ho proprio le forze.
Avevo un gran bisogno di un drink e ho attraversato il treno fino al vagone bar, dove ho comprato quattro bottigliette di soda e otto di vodka. Ho preso quattro bicchieri di plastica. «Così dovremmo essere a posto», ho detto al barista. In modo che non faccia storie quando tornerò a fare il pieno.
Bere è stato d’aiuto. Mi ha aiutato a pensare con maggior chiarezza. Come avranno fatto a sapere di Charley? E cos’altro avranno scoperto? Ormai ho una certa età, e naturalmente di incidenti (chiamiamoli così) di cui non ho fatto parola con Daisy ce ne sono stati tanti: la breve ma disastrosa storia con Carol, dopo la quale sono stato costretto a lasciare Bristol, e poi quella divorziata che mi sono rimorchiato sulla nave... come si chiamava? Jackie, o qualcosa del genere. Mi ha cercato prima di persona e poi con l’aiuto di un’agenzia di investigazioni, perché aveva lasciato in giro la sua carta di credito e voleva dare a me la colpa di quello che era successo dopo. Ma non vedo proprio come Daisy e i suoi amici possano essere venuti a conoscenza di quei fatti. Invece Rackham... che errore è stato parlare di Rackham! Sicuramente sono andati a curiosare laggiù. Non poter fumare sul treno è una tortura. Ho ancora i nervi a fior di pelle. Mi sono anche chiuso in bagno per accendermene una di nascosto, ma poi qualcuno s’è messo a bussare e ho dovuto spegnerla.
Quando si viene al punto, la gente pensa solo a stessa. Non importa quanto ti prodighi per loro, non gli basta mai, non mostrano mai un po’ di gratitudine.
Ho finito la vodka.
Mi sono chiesto cosa stesse facendo lei. Ho tentato di immaginarla, seduta in qualche ristorante chic di Londra insieme alla figlia e a quella donna di cui non mi sono mai fidato. È partita con la gonna di denim e la camicetta gialla e rossa. L’avranno portata a fare spese: le donne sono creature materiali e nulla le rallegra quanto spendere soldi. Ma che me ne importa, mi sono detto, dopo il modo in cui mi ha trattato non mi preoccupo certo di come sta.
Acqua passata, ecco cos’è per me adesso.
Quando ho di nuovo attraversato il treno per comprarmi da bere, il barista mi ha fatto notare che stavamo per arrivare in stazione e che si scendeva tutti, così sono tornato indietro per prendere la mia roba dal portabagagli.
Il treno per Edimburgo partiva da un binario lontano da quello da cui ero sceso: mancava un po’ alla partenza, e ne ho approfittato per prendere un panino e un pacchetto di sigarette al bar della stazione.
Le banchine dei binari sono luoghi squallidi. Non c’era molta gente ad aspettare quel treno. Non ero ancora sicuro di prenderlo, ma non mi si presentavano valide alternative. Quando è arrivato, sono salito senza nemmeno pensarci.
Era un convoglio molto lungo, di quelli con lunghi vagoni aperti intervallati da scompartimenti chiusi, affiancati da un corridoietto. Mentre il treno riprendeva la corsa mi sono messo a esplorare le carrozze in cerca di uno scompartimento dove non ci fossero bambini e rappresentanti di commercio chiassosi. Alla fine ne ho trovato uno di prima classe con un solo passeggero. Una donna. Portava un completo di lino grigio e scarpe nere di pelle di serpente, con la borsa abbinata e sottilissime calze color vinaccia. Aveva un libro aperto in grembo e ha alzato gli occhi al mio ingresso, mi ha scrutato al di sopra dei piccoli occhiali eleganti.
«Questo posto è occupato?».
«Non che io sappia».
«Lo speravo proprio». Mi sono seduto di fronte a lei. Dopo un’ultima occhiata, si è rimessa a leggere. Le mie riviste non sono del genere che si può sfogliare in un luogo pubblico, così mi sono messo a guardare fuori dal finestrino la monotona campagna delle Midland del Nord.
In qualche modo dovevo passare il tempo e osservandola di soppiatto ho concluso che doveva essere prossima alla cinquantina, che si schiariva i capelli e che si stava deliberatamente sforzando di ignorarmi.
Il treno è entrato in un tunnel e nello scompartimento è calato un buio totale a parte la luce da lettura della mia vicina, che illuminava il libro lasciando in penombra lei. In quel momento ero invisibile ai suoi occhi.
Ho rivolto un ultimo pensiero a Daisy, al dolore che mi ha dato e al modo in cui mi ha ripagato di tutto quel che ho fatto per lei. Mi ha lasciato, la ferita è ancora aperta. Poi però ho deciso di non pensarci più, di considerare la nostra storia alla stregua di un incidente, un brutto incidente, che però a ben vedere sarebbe potuto finire anche molto peggio.
Il treno è riemerso nella luce grigia del giorno. Ho incrociato lo sguardo della sconosciuta, le ho sorriso, ma non ho detto niente. Non bisogna mai avere fretta in queste situazioni. Meglio attendere, tanto ero sicuro che sarebbe stata lei la prima a parlare.