Quando tornarono a casa erano quasi le cinque. Ainsley ringraziò Carol e le spiegò che Erik doveva venire ad aiutarla a spostare dei mobili.
“È meraviglioso, cara; è proprio da lui voler aiutare, e forse è un buon modo per conoscervi.”
“Carol, sei stata così gentile.”
“Di niente, Ainsley. Fammi sapere quando posso passare a trovarti.”
Dopo aver finito le cortesie, Ainsley aveva rimasti solo pochi minuti per darsi una spazzolata ai capelli e mettere un tocco di lucidalabbra; quando l'orologio a cucù batté l'ora era tornata in cucina a mettere a posto la spesa.
Il campanello suonò e lei fece del suo meglio per evitare di correre ad aprire la porta. La spalancò e trovò due giovani uomini, ben rasati ma enormi, e con la loro parte di tatuaggi. Sembravano delle comparse di un film di prigione. Uno di loro si tolse con rispetto il malconcio cappellino dei T-Wolves e fece un passo avanti.
“Io sono Jake e questo è Joe,” disse, “ci manda il sig. Jensen; ha dei mobili da spostare?”
“Oh, grazie per essere venuti. Vi faccio vedere.”
Ainsley cercò di controllare il suo disappunto. Veramente Erik non era venuto?
Effettivamente aveva senso, l'aveva respinto con tanta rabbia la sera prima, e poi aveva Cressida con cui passare le serate.
Portò i due uomini al terzo piano e indicò loro le cose da spostare, e loro la mandarono indietro ad aprire le porte.
Gli uomini erano forti e veloci e, qualche viaggio dopo, il terzo piano era quasi vuoto.
L'ultima cosa da spostare dalla soffitta era un'antica cassapanca da corredo di legno di noce, con un'incisione allo zolfo di lupi che ululavano. Ainsley la guardò con ammirazione, era un mobile che non si ricordava dalla sua infanzia, anche se sembrava fosse stata lassù da sempre.
“Per favore, lasciatela nello studio.”
“Certo, signorina Connor.”
Ainsley fece passare la mano sulla fibbia che chiudeva il coperchio; probabilmente c'era una chiave da qualche parte in casa, ma fino ad allora non l'aveva trovata.
“Per caso sapreste come forzare una di queste se non si ha la chiave?”
“Non so se ci si riesce, signora,” disse Joe, “è una cassapanca Amish, è ben fatta.”
“Basta rompere la serratura. Ho una pinza nel camion, aspetti!” disse Jake.
Appena se ne fu andato, Joe le confidò.
“Signorina Connor, non credo debba rompere la serratura; le cassapanche con le incisioni allo zolfo sono rare e questa probabilmente vale qualcosa, sono state fatte quasi tutte prima della Guerra Civile. Io la porterei da un antiquario appena trovassi la chiave.”
“Grazie, Joe. Sono sicuro che hai ragione.”
“Mia zia ne aveva una uguale, l'ha data alla GoodWill e poi ne abbiamo vista una simile alla fiera dell'antiquariato. Ancora ne parla.”
Jake ritornò e scrollò le spalle quando gli disse che aveva cambiato idea.
“Quanto vi devo?” chiese.
“Niente, signorina Connor, siamo già stati pagati.” rispose Jake.
“Il sig. Jensen ci ha dato un'ora di straordinario.” aggiunse Joe.
“Beh, grazie mille per il vostro aiuto.” Ainsley cercò disperatamente di non pensare troppo al generoso ‘signor Jensen’, chi poteva sapere se questi giovani uomini erano dei lupi? L'ultima cosa che voleva era delle altre attenzioni da parte loro.
Li mandò via con una bottiglia di Coca Cola fredda ciascuno. Quando saltarono nel pickup, una piccola MG verde entrò nel vialetto.
Chi poteva essere?
Julian saltò fuori e le sorrise; sembrava un modello di Banana Republic, con una camicia bianca candida sbottonata in cima a rivelare qualche centimetro del suo petto liscio e abbronzato. Si tolse gli occhiali da sole e lei poté vedere le piccole rughe sexy che aveva sotto gli occhi.
Non poté fare a meno di rispondere al sorriso.
Le fece cenno di aspettare un attimo e afferrò un sacchetto di tela riutilizzabile dal sedile del passeggero, poi camminò verso di lei con passo tranquillo.
“Signorina Connor, capisco che abbia da fare molte cose oggi, ma non c'è ragione di essere antisociali.”
La bocca gli si sollevò nel suo mezzo sorriso e lei seppe che l'avrebbe fatto entrare, ma temporeggiò comunque, fissandolo con sguardo freddo.
“Sono nuovo in città, Ainsley.” Julian disse con voce bassa e canzonatoria piena di promesse. “Non mi abbandonerai in quel cottage tutto solo, vero?”
“Dipende da cosa c'è nella busta!” lo prese in giro con faccia seria.
“Così di buon gusto, signorina Connor. È fortunata, ho giusto ciò che serve per sciogliere le sue difese: un hummus fatto in casa e un vassoio di pita, appena comprati dal Caspian. E una bottiglia di shiraz.”
Carino.
Era un suo punto debole: il ristorante mediterraneo di Tarker’s Hollow, il Caspian, aveva del cibo fresco fantastico, e non beveva un bicchiere di vino da un sacco di tempo.
Fece ancora quel suo sorriso enigmatico e lei si arrese e gli rispose con un sorriso. Lui allungò la mano e le sistemò lentamente i capelli dietro all'orecchio, poi le prese il braccio e la guidò in casa.