Non sono neanche le nove del mattino e da quando mi sono svegliato, ho già lanciato la moneta diciassette volte.
Testa. Alzati invece di stare ancora a letto. Bleah.
Croce. Doccia al posto di un bagno nella vasca.
Croce. I jeans battono i pantaloni chino.
Croce. I Frosties, non il porridge.
Testa. Succo d’arancia, non di mela.
Ci sto prendendo rapidamente la mano, mentre fatico ad abituarmi a essere di nuovo qui a casa e a vivere con i miei.
«Se intendi solo tirare in aria quella moneta e non spenderla, te la porto via», osserva scherzoso papà raggiungendo me e la mamma al tavolo per la colazione e aprendo il giornale. A parte il divano nuovo di zecca, macchiato di formaggio spalmabile, la casa è tornata normale dopo la restituzione degli arredi da esposizione.
«Puoi chiedere alla moneta se stasera vincerà il City?» Mi guarda sollevando gli occhi dalle pagine sportive.
«Sai che non è una moneta magica, papà. Non predice il futuro.»
Passo disperato in rassegna una serie infinita di annunci di lavoro sul telefono, nessuno dei quali mi attira. Sembra che anche per il ruolo più elementare sia necessario affrontare una selezione in sette fasi. Le posizioni senza esperienza richiedono assurdamente un minimo di cinque anni di pratica in quel campo. E qualsiasi cosa sembri interessante si rivela essere uno stage non retribuito.
«Non siete molto utili», sospira la mamma picchiettando l’iPad nel tentativo di fare la spesa online. «Uno di voi sa dirmi cosa vorrebbe per cena questa settimana?»
I primi giorni mi sono visto offrire arrosti a pranzo e bistecche a cena. Adesso sono tre sere di fila che mangiamo fagioli sul pane tostato, e non capisco se sia papà che limita il budget per la spesa o se vogliano già sbarazzarsi di me.
Prima che possa rispondere, vengo sviato dalla vibrazione del mio telefono. Abbasso lo sguardo: vedo che il messaggio è di Jade.
Mi sta mandando messaggi a raffica. Non per scusarsi o implorarmi di tornare con me. Vuole capire che fine farà Jeremy. Tutti continuano a ripetere che un cane non è solo per Natale, ma nessuno ti avverte in merito ai conigli. Non ci sono adesivi sui paraurti, appelli delle associazioni di beneficenza in televisione. Né regole per la restituzione entro ventotto giorni. Avevo in progetto di iniziare l’anno nuovo con la mia fidanzata e la nostra nuova famiglia molto moderna. Invece mi ritrovo a litigare per la custodia di un coniglio da compagnia.
«Cos’ha da dire adesso Jade?» La mamma si allunga guardando al di sopra del suo iPad.
Tornare a casa non significa solo fagioli stufati per cena ogni sera, ma anche perdere ogni senso della privacy. Se la mamma legge i miei messaggi, papà pensa di lavorare al centro di smistamento della Royal Mail e apre tutta la mia posta prima di passarmela. Gli estratti conto bancari vengono passati al vaglio, le lettere personali lette, gli inviti a qualche evento attaccati al calendario.
«Vuole sapere se prenderò Jeremy», rispondo sapendo che non ha senso nasconderlo. «A quanto pare George è allergico ai conigli.» È come se ricevessi una pugnalata al cuore ogni volta che Jade lo nomina.
La mamma posa l’iPad e papà simultaneamente il giornale. Papà parla per primo.
«Se avremo un coniglio, dovrai pensare tu al suo mantenimento. E accudirlo. Non ho intenzione di pulire dove sporca.»
«Sì, va bene. Mi occuperò io di tutto.»
Il mio unico animale da compagnia quand’ero piccolo è stato un pesce rosso, morto misteriosamente dopo che il negozio locale aveva aumentato il prezzo del mangime per pesci. Non sto dicendo che papà lo abbia ucciso, ma ripensandoci mi sembra un po’ sospetto.
«Cosa provi quando nomina… George?» chiede la mamma con il solo movimento delle labbra.
Sono passato in fretta dall’autocommiserarmi all’immaginare vividamente la sua morte e a pianificare con scrupolo i dettagli più complessi del suo omicidio.
«Non lo so. Non mi ero reso conto che facessero già sul serio», rispondo.
Quello che più mi disturba è che proprio non capisco che cos’abbia lui che io non ho. Certo, è ricco e bello, e io ora sono disoccupato e vivo con i miei genitori, però…
«Potrei fissarti un appuntamento con Graham se vuoi? Potrebbe aiutarti parlare con qualcuno?»
Proprio quando penso che le cose non possano peggiorare ancora, la mamma si offre di pagarmi una seduta con il suo terapeuta. La persona che le dice che i suoi problemi risalgono al suo sé del diciassettesimo secolo. L’ultima volta che mi ha portato da uno dei suoi guaritori è stato quand’ero agitato per gli esami scolastici e mi aveva convinto che l’agopuntura mi avrebbe fatto bene. Avevo creduto che mi avesse prenotato una seduta con un vero terapeuta cinese, non con Sue Lee del nostro paese che aveva imparato online.
«No, grazie. Non mi va proprio di vedere Graham.»
«Okay, perché non guardiamo invece cosa dice il tuo oroscopo di oggi?» La mamma afferra uno dei supplementi del quotidiano di papà.
«Mamma, basta. Non voglio vedere nessun terapeuta né leggere il mio oroscopo. Per favore.»
Papà, incapace di parlare di sentimenti, alza lo sguardo dal giornale.
«Senza di lei stai meglio, figliolo», dichiara masticando la sua fetta di pane tostato sommersa di marmellata d’agrumi.
Annuisco, non sapendo cosa rispondere.
«Allora prendiamo Jeremy?» chiede la mamma mentre lui torna alle pagine sportive.
«Direi di vedere cosa dice la moneta.»
La lancio per la diciottesima volta oggi.
«Come facciamo? Testa è sempre sì, croce no?» domanda ancora la mamma aspettando il risultato.
«Sì, ed è testa. A quanto pare abbiamo un nuovo membro della famiglia.» Le mostro la moneta sul palmo della mano.
Papà geme, non so se per via di Jeremy o delle notizie sul calcio.
«Vuoi che ti dia un passaggio per andarlo a prendere?» propone la mamma.
«No, non c’è problema, grazie», rispondo alzandomi. «E qualsiasi cosa, ma per favore non fagioli stufati…»
Prendo l’autobus per andare in città ascoltando la musica per passare il tempo mentre attraversiamo tutti i paesi di campagna. Solo al momento di scendere mi rendo conto che la presa delle cuffie non era inserita bene nel telefono e che tutti gli altri sul pullman zeppo mi hanno sentito ascoltare Unbreak My Heart all’infinito per tutto il viaggio.
Perché nessuno ha detto niente?
Alla fine entro nel condominio moderno che svetta su Bristol, al centro di un famoso scandalo quando Cherie Blair vi aveva comprato un paio di appartamenti come investimento. Jade mi ha avvertito che non sarebbe stata in casa, perciò premo il pulsante dell’ingresso di servizio per evitare quello principale e salgo in ascensore all’ultimo piano. Arrivando in cima, mi ricordo di quando mi aveva invitato qui la prima volta, dopo che eravamo stati allo zoo di Bristol. Avevamo passato la giornata a ridere e a girovagare di qua e di là, a discutere di che animale saremmo stati, a tenerci per mano nella sezione buia dedicata agli insetti e a dar da mangiare ai pinguini. Quando l’avevo riaccompagnata, mi aveva chiesto se volessi guardare un film, ma avevamo visto solo i titoli di apertura prima di buttarci l’uno sull’altra sul divano. Solo il mattino seguente mi ero accorto della vista. Il panorama più straordinario di Bristol, senza paragoni rispetto a quelli offerti dagli altri appartamenti.
Mi chiedo se Jade e George abbiano fatto lo stesso qui.
Sul divano, in camera da letto, in cucina, in bagno.
Cerco di scacciare dalla testa quelle immagini mentre giro la chiave e apro la porta.
L’appartamento è piccolo, ci sono una camera da letto, una bella cucina, un salotto e un bagno, ma non devo superare l’atrio per vedere la gabbia di Jeremy. Lui, innocente spettatore di questa situazione ingarbugliata, sta dormendo al suo interno. Il negozio di animali mi ha detto che è un Mini Lop, ma non c’è niente di mini in questo bestione. È piuttosto un Obese Lop. Considerato che non ho più un lavoro per mantenermi, non so come farò a prendermene cura.
Accanto alla gabbia c’è uno scatolone di cartone senza alcun biglietto. Stacco il nastro adesivo per vedere cosa ci sia dentro. Vedo altre cose mie che ha trovato. Alcuni utensili da cucina, un po’ di libri e una piccola scatola metallica con alcuni oggetti di valore sentimentale che ha deciso sarebbero stati più importanti per me che per lei. Sorprende come tre anni della tua vita possano stare in una scatola. Un’intera relazione, tutti i momenti e i ricordi relegati in una scatola non più grande di quelle per i biscotti. Passo in rassegna una pila di foto Polaroid che abbiamo scattato in vacanza a Maiorca, matrici di biglietti, biglietti di compleanno, biglietti natalizi, biglietti di San Valentino, biglietti «solo perché». Mi rendo conto ora che le foto che mi ritraggono sono pochissime: ero sempre io il fotografo, Jade la modella.
Mi giro e osservo che, nonostante dorma, Jeremy tiene inquietantemente gli occhi spalancati. Forse Jade gli ha chiesto di fare la guardia. Dovrei semplicemente prendere le mie cose e andarmene, invece lancio la moneta per avere il permesso di superare la gabbia ed entrare in salotto. Trovo strano aggirarmi furtivamente in un appartamento che conosco così bene, ma voglio cercare indizi per capire se George si sia già trasferito qui.
C’è solo uno spazzolino da denti vicino al lavandino, niente giacche da uomo appese, nessun paio di scarpe in più. Anzi, adesso che osservo bene, nonostante la scatola di cartone con le mie cose, la mia uscita di scena non ha cambiato minimamente l’aspetto dell’appartamento. Giocare a «Trova la differenza» sarebbe complicato, visto che tutti gli oggetti e i mobili sono di Jade. Prima non lo avevo mai considerato, né avevo avuto problemi al riguardo, ora però mi sembra di essere stato soltanto un ospite. In quell’appartamento non ho lasciato praticamente nessun segno.
Resto là e guardo dalla vetrata ricordando quando Jade si sporgeva per fumare come una stella del cinema francese in una foto in bianco e nero, e io che mi infastidivo per il fatto che fumasse e perché temevo che cadesse. O quando ci sedevamo sul tavolo a baciarci, a bere e a guardare il mondo andare avanti. La pioggia che picchietta sulle finestre si trasforma velocemente in una valanga d’acqua e interrompe le mie reminiscenze aggredendo il vetro e tamburellando sul tetto. Park Street di sotto, di solito invasa dagli studenti che vengono a bersi un caffè, è quasi deserta mentre l’acqua si riversa dalla collina come se scorresse su uno scivolo. Una donna che sta lottando con l’ombrello corre a ripararsi sotto l’impalcatura della St George’s. Un uomo vestito da capo a piedi con una tuta ad alta visibilità arancione guarda mentre le foglie che ha appena spazzato dalla strada si ribellano tornando perfidamente sulla traiettoria delle auto in arrivo, che hanno i fari accesi anche nelle ore centrali del giorno. Il vento stride inquietante investendo gli appartamenti e gli alberi ondeggiano forte al suo passaggio. I gabbiani e gli operai edili con i caschi bianchi lasciano in fretta i tetti piatti degli edifici su cui si stanno formando pozzanghere grandi quanto piscine. L’immagine pittoresca della Cabot Tower circondata dallo splendido verde del parco e le file di case georgiane in pietra di Bath sembrano un quadro puntinista di Seurat attraverso le gocce di pioggia sulle finestre. Una fitta nebbiolina nasconde le Mendip Hills all’orizzonte, gli alberi della SS Great Britain e le torri della cattedrale di Bristol non sono che una silhouette.
Mi giro sentendo bussare energicamente alla porta. Chi sarà? Non Jade. Lei ha la chiave. Chi altro potrebbe essere? Forse un vicino? Ne avevo conosciuti un paio quando avevamo partecipato a un evento molto imbarazzante a casa loro in cui la conversazione si era esaurita dopo che tutti avevamo spiegato da quanto vivessimo lì, avevamo descritto la disposizione degli appartamenti e ci eravamo resi conto che erano tutti identici.
Poteva essere George?
Il battito del mio cuore schizza alle stelle mentre valuto cosa dirgli dopo settimane in cui ho progettato di ucciderlo.
È il caso che apra?
Prendo la moneta da cinquanta pence dalla tasca e la lancio per decidere. Ora è complice di tutto quello che succede.
Trattengo il fiato quando sbircio dallo spioncino aspettandomi di vedere la mia nemesi dall’altra parte.
Tiro un sospiro di sollievo appena mi rendo conto che è solo la postina, venuta a consegnare un pacco con firma di ricevuta. Dato che facevo turni alternati, sono tornato a casa spesso quando le serviva una firma, di solito per gli abiti che Jade ordinava.
«Ciao, come va?» esclama con noncuranza, senza sapere che non mi vedrà più lì.
Firmo sul dispositivo che mi caccia in mano e glielo restituisco. Non che lo scarabocchio elettronico abbia qualche relazione con la mia vera firma.
Quando se ne va, do un’ultima occhiata all’appartamento, dico addio alla mia ex casa e alla mia ex vita. Considero per un istante di spargere pelo di coniglio dappertutto per scatenare le allergie di George, invece prendo lo scatolone e la gabbia e chiudo la porta per l’ultima volta lasciando la mia chiave all’interno.
«Adesso siamo solo io e te, amico», dico a Jeremy.
Lui non risponde.