8.

Sto aspettando semiaddormentato alla fermata dell’autobus quando il telefono squilla. Strizzo gli occhi. Persino guardare lo schermo luminoso mi fa male alla vista.

È Jessie.

«Ehi, Josh, volevo solo sapere se sei sempre d’accordo a venire in palestra.»

Oh cavolo.

«Josh, ci sei?» strilla.

Allontano in fretta il cellulare dall’orecchio.

«Sì», rispondo controvoglia.

«Ci vediamo là tra un’ora?»

«Non potremmo magari fare un altro giorno?» supplico.

«Dai, non puoi darmi buca. Ti ho procurato una tessera giornaliera di prova per oggi.»

«Non ti sto dando buca. Sto solo rimandando.» Passa un motorino sgasando forte.

Perché tutto è così forte?

«È una vita che rimandi. Hai promesso alla moneta che ci saresti venuto con me. Non puoi dare buca alla moneta.»

«Ma mi sento così male.»

«Be’, quella è tutta colpa tua. Avresti dovuto smettere di bere quando l’ho fatto io.»

«E non ho niente da mettermi», dico guardandomi l’abito che è sporco, puzzolente e tutt’altro che pratico.

«Come sei vestito?»

«Ho ancora lo smoking.»

«Non sei ancora tornato a casa?»

«No, sto aspettando il pullman.» Non tento di spiegarle dove sono stato per il resto della notte.

La sento parlare in sottofondo.

«Jessie?»

«Scusa solo un secondo.»

Sta parlando con qualcun altro. Dai suoni attutiti sembra che sia la sua coinquilina. Vive con due ragazze con cui lavora.

«Che numero hai di scarpe?»

«Adesso stai parlando con me?»

«Sì, con te.»

«Il quarantacinque.»

«Okay, il quarantasei può andare. Izzi ha detto che può prestarti l’abbigliamento da ginnastica del suo fidanzato.»

«Ma…»

«Niente storie. Trovati là.»

Mi sento a disagio appena entro nello spogliatoio. E non aiuta il fatto che tutti mi fissino mentre mi tolgo lo smoking. Il ragazzo di Izzi è un fissato del fitness e ha tutto l’abbigliamento coordinato. Temo, infilandomi le sue scarpe arancione brillante, di sembrare un frequentatore abituale delle palestre. So di non essere molto in forma e non voglio che i miei vestiti comunichino il messaggio sbagliato. Sono qui solo per via di Jessie e della moneta. A volte le odio entrambe.

«Bene, partiamo con alcune flessioni. Mostrami quante riesci a farne.»

Merda.

Ancor prima di cominciare sudo per i postumi della sbronza.

«Dai, Josh, mostrami quello che sai fare, amico.»

Mi stendo a faccia in giù cercando di fare una flessione. È imbarazzante. Ci sono persone tutt’intorno che guardano.

Non mi serve una tessera giornaliera per capire se mi piace questo posto. Dopo un minuto decido che non è così.

Forza, sarò pure capace di farne una.

«No, devi tenere la schiena dritta, amico. Dai. Ci fermeremo quando arrivi a dieci.»

Dieci?

«Ti do una stella e mezzo per questo. Adesso via con il tapis roulant!»

Non avevo capito che la consulenza gratuita prevedesse un punteggio. Non penso che otterrò cinque stelle in qualcosa.

L’allenatore cerca di motivarmi con il suo forte accento del Nord.

«Cominceremo con una corsa leggera, cerca di tenere il passo per cinque minuti, poi aumenteremo. Facciamo lavorare i muscoli e il cuore. Forza, ce la puoi fare.»

Ci sono solo poche cose per cui correrei. Un bus. Un treno. Un furgoncino dei gelati. Ma correre per il gusto di farlo? No, grazie.

«Vacci piano con lui.» Jessie si avvicina da un altro tapis roulant. Adam, il personal trainer, le mette il braccio sulle spalle appena ci raggiunge.

Fantastico. Adesso ho due spettatori che ridono di me.

«Com’è andata?» Mi rendo conto che Adam ora si è scordato di me e si è messo a parlare con Jessie. Si stanno godendo una chiacchierata amichevole mentre io sto morendo.

«Non male, grazie. Ho appena corso un’ora. Ho fatto tredici chilometri, che va bene.»

Un’ora sul tapis roulant? Io sono già stufo.

«Quando farai la prossima corsa lunga?»

«Penso di correre venticinque chilometri questo fine settimana.»

Non so perché l’abbia sponsorizzata tanto. Per lei la maratona non sembra essere una sfida.

«Josh, quando avrai finito con Adam, puoi venire a fare Boxercise con me per vedere se ti piace.»

Quando avrò finito con Adam, avrò probabilmente bisogno di un’ambulanza.

«Aspetta, la moneta ha deciso solo che sarei venuto in palestra, non che avrei fatto anche dei corsi.»

«Non provare a svicolare.»

«Devo consultarla di nuovo», replico infilando la mano nella tasca con la cerniera lampo dei miei pantaloncini sudati prima di tentare, non senza difficoltà, di lanciarla e contemporaneamente di correre. Per un istante penso di cadere dal retro del tapis roulant.

Perché la moneta mi odia così tanto?

La mia aria sofferente dice tutto.

«Ecco. Adesso sbrigati a finire la corsa e raggiungimi in quella sala», afferma Jessie indicando una stanza con una parete di vetro trasparente, così tutti potranno assistere alla mia agonia. Questa palestra è come un’arena per gladiatori.

Per fortuna che sono l’unico uomo alla lezione di Boxercise e mi auguro che non sia troppo intensa perché mi reggo a stento in piedi. Immaginavo che fosse piena di aspiranti pugili, giovani e muscolosi, invece a parte Jessie tutte le altre allieve hanno più di quarant’anni, perciò immagino che non dovrei essere umiliato più di tanto.

«Che fine ha fatto Jake?» le chiedo mentre facciamo stretching per scaldarci.

«È proprio come pensavamo. C’è stato un problema all’hotel e ha dovuto correre là per risolverlo.»

«Cos’era questa settimana? Un’altra rissa?» Un paio di settimane fa Jake era stato chiamato alle quattro del mattino dal portiere notturno quando un invitato a una festa di addio al celibato aveva scoperto che un altro partecipante aveva dormito con la sua fidanzata. Si era scatenato il pandemonio e nella reception era scoppiata una scazzottata generale. Ci eravamo chiesti tutti perché il portiere avesse chiamato Jake e non la polizia…

«No. A quanto sembra un tizio si era messo a correre nudo per l’albergo e a imbrattare i muri della sua stanza con le sue feci.»

«Simpatico.»

«La situazione è peggiorata quando l’addetto alle pulizie è entrato, ha visto quello che era successo e ha vomitato dappertutto. Non sei contento che non lavoriamo più nell’industria alberghiera?»

A dire il vero, non è una cosa che ho scelto io.

«Povero Jake. Credi che gli altri alberghi abbiano ospiti del genere?»

«Dio solo lo sa. Ad ogni modo, basta parlare di Jake, la domanda più importante è cos’è successo a te», dice seria.

«Forza, ragazzi, dividetevi in coppie. Uno di voi prenderà i colpitori, l’altro i guanti. Dovrebbero essercene a sufficienza», ci interrompe l’istruttore.

«Che vuoi dire, cosa mi è successo?» chiedo mentre tiro pugni ai colpitori di Jessie.

«Sono preoccupata per te, Josh. Tu non ti comporti così. Eri completamente andato. E poi rimorchiare Louise, che non conosci quasi!»

«Louise?»

«Waterloo.»

«Oh, Lou, quella con l’asse del water al collo. Avrei dovuto ricordarmene… a essere sincero sono un po’ confuso.»

Mi sforzo di ricostruire la sera passata, ma ho perlopiù un vuoto.

«Non ricordi d’esserti rotolato sul pavimento del club canticchiando il motivo di James Bond e fingendo di sparare a tutti?»

«Oddio, ho fatto questo?»

«Non ricordi che Louise si è arrabbiata quando hai cercato di baciare un’altra?»

Ora sono contento di non ricordare niente.

«Sai come sono finito nello stesso letto di Elephant? Abbiamo…?»

«Vuoi dire Sarah. E no, non avete…»

«Si sarà messa di mezzo la proboscide», osservo.

«Josh, non è uno scherzo. Davvero non ricordi niente? Ti ha permesso di smaltire la sbronza da lei dopo che ci hai fatto cacciare tutti dal locale.»

«Oh no, sul serio?»

«Sì, sul serio. Questo è quello che intendo. Jake è convinto che sbollire ti faccia bene, ma io sono preoccupata per te. Tu non fai mai follie del genere. Non credo che questa faccenda della moneta sia una buona idea se ti incoraggia a fare scelte come quelle di ieri sera.» Jessie sembra mia mamma.

Ci scambiamo i guanti e i colpitori, e non so se sia un bene, visto il suo umore.

«Non posso spassarmela un po’? Era la prima volta che mi divertivo dopo Jade.»

«Certo che puoi spassartela, ma pensavo che la moneta ti aiutasse a rimetterti in carreggiata, non a peggiorare le cose.»

Il dolore pulsante che ho alla testa concorda con lei.

«Hai ragione.»

«Voglio dire, devi proprio giocare a testa o croce per decidere se vuoi un altro drink? Ieri sera hanno approfittato tutti di te. Pensavo che cercassi di stare attento con i soldi finché non avessi trovato un nuovo lavoro.»

«Ma ho fatto un patto.»

Lei tace per un istante e riflette.

«Perché non la usi solo per le decisioni importanti? O solo qualche volta al giorno? Non penso sia barare.»

«No?»

«No, non lo è.» Mentre lo dice, sono sicuro che colpisca le protezioni con più forza.

Cerco di analizzare a fondo la questione ma la testa mi fa troppo male, il che risponde ai miei interrogativi.

«Forse hai ragione. Probabilmente non dovrei fare a testa o croce per decidere se bermi un bicchierino, e a essere onesto probabilmente non mi serve farlo nemmeno per scegliere quali calzini mettere. La userò solo per le scelte importanti o quando mi ritroverò bloccato e non saprò prendere una decisione.»

«Ho sempre ragione!» Jessie sorride finendo con una combinazione uno-due.

«Bene, cambiate tutti compagno», abbaia l’istruttore.

Mentre ruotiamo nella sala, vengo separato da Jessie prima che possa confiscarmi la moneta. Mi ritrovo davanti a una donna minuscola di mezza età con un paio di occhiali da bibliotecaria. Solleva le protezioni mentre le colpisco con delicatezza, come se fosse una bambina piccola, per paura di usare troppa forza e di farle del male.

«Se non lo avete già fatto, adesso scambiatevi i ruoli.»

Mi tolgo i guanti e li passo alla donna.

Al primo pugno rotolo per terra.