Se la roulette russa è pericolosa, giocare a testa o croce per decidere chi incontrare su Tinder è micidiale. Sono a un lancio soltanto dal finire legato in qualche scantinato e usato come schiavo del sesso. Dato che è stata un’idea di Jake per spingermi a frequentare altre donne, decido che sia tutta colpa sua se finirò in una cella sotterranea.
Ci sono soltanto più o meno sette donne sotto i sessant’anni che vivono nel raggio di otto chilometri da casa nostra, quindi la moneta non ha un campione molto vasto da cui scegliere. Una si descrive come «un’apprendista strega e adoratrice di Satana». Per fortuna la moneta la rifiuta.
Invece esattamente alle 19.28 mi ritrovo nella zona commerciale del paese aspettando di incontrare la prescelta: Emma, capelli scuri, ventiquattro anni, un metro e settantacinque, parrucchiera. Ama Taylor Swift, il prosecco e la pizza all’ananas.
Nell’attesa riguardo la nostra chat su Tinder. Tutti i nostri discorsi sono stati superficiali: «Come hai passato il weekend?», «scusa per la lentezza nelle risposte», «fai qualcosa questa settimana?». Mi auguro che nella vita vera la conversazione sia più animata.
La zona commerciale è deserta, il farmacista e l’edicolante hanno già chiuso. Mi guardo intorno per vedere se Emma stia arrivando, ma noto solo due persone solitarie che portano a passeggio il cane in questa sera fredda. Rabbrividisco per il gelo e il nervosismo. È il primo appuntamento dopo anni e ho passato le ultime ore a pensare angosciato cosa mettermi, cosa dire, cosa fare.
«Ehi, sei Josh?» esclama spuntando dal nulla.
«Sì, tu devi essere Emma? Come stai?»
Sta per abbracciarmi e io per poco non le do una testata.
Per prima cosa non fare così, Josh.
«In realtà tutti mi chiamano semplicemente Em.» Sorride mentre ci scostiamo.
«Meglio di “ugh”», scherzo.
«Che vuol dire?»
«Sai, il tuo nome. Em… ugh. Meglio essere chiamata Em che “ugh”.»
Mi fissa.
«Non preoccuparti, era solo una battuta infelice.»
Posso ricominciare?
«Oh, adesso ci sono arrivata.»
Ride a scoppio ritardato, a dire il vero sembra più che altro sbuffare, e io la guardo. È alta quasi quanto me. Ha i capelli lunghi scalati, più scuri che in fotografia. È bella e sembra dolce. Ma è chiaro che non è scoccata subito una scintilla.
Dalle una possibilità, Josh.
«Comunque sia, pub o fish and chips? Lascio scegliere a te!» dico iniziando a congelare.
«Che gran scelta. Questo è il problema di Cadbury, giusto? È sempre uno dei due.» Oltre alla scarsità di occasioni di incontro, in paese le alternative per un appuntamento sono ancora più misere: il pub, che sarà gremito di residenti chiassosi, o l’ancor meno romantico locale di fish and chips.
«Lo so, scusa. Magari la prossima volta potremmo andare a Bristol.»
«Sai cosa, ho una gran fame, quindi va bene fish and chips, se non ti spiace», propone evitando di dover ricorrere alla moneta.
«Mi va bene… avrei dovuto prenotare.»
«Non penso che si possa riservare un tavolo.»
«No, lo so. Era solo un’altra battuta. Ora smetto.»
Cazzo. Mi ero scordato quanto imbarazzante fosse un appuntamento.
Faccio scorrere la porta a vetri del locale e lascio entrare Emma per prima.
Ci sono soltanto due tavoli e uno è occupato da due uomini con le tute sporche di vernice, intenti a discutere di corse di cavalli.
«Cosa prendi? Faccio io», le dico quando guardiamo il menu.
«Grazie. Posso avere una crocchetta di pesce con le patatine e una Coca-Cola?»
Ordino mentre lei si siede al tavolo libero.
«Abbiamo finito la Coca, mi dispiace, tesoro. Abbiamo Sprite o Tango», mi informa la donna al banco con un pesante accento del West Country.
Faccio da intermediario riferendo il messaggio a Emma e torno indietro.
«Una Sprite, grazie», risponde.
«Una Sprite, grazie», comunico alla donna.
«Sale e aceto sulle patatine, tesoro?»
«Vuoi sale e aceto, Em?»
«Solo sale.»
«Sale e aceto su una porzione, solo sale sull’altra, grazie.»
«Portate via, tesoro?»
«Ehm, no, mangiamo qui.» Osservo l’ambiente squallido, non il luogo migliore perché si scatenino scintille al primo appuntamento.
«Okay, ecco qua. Buon appetito, tesoro.»
Prendo un paio di forchette di legno in miniatura e armeggio in modo imbarazzante per aprire le bustine delle salse raggiungendo Emma sulle sedie di metallo. Il tavolo è decorato di graffiti e macchie di ketchup.
Be’, molto romantico.
Dalla porta entra aria. Si gela.
«Preferisci portarlo via? Non voglio essere sfacciato, però potremmo mangiare da me. Forse è un po’ più caldo», dico esitante, non sapendo se sia una buona idea. Non le ho ancora detto che vivo con i miei.
Lei ha un’aria altrettanto esitante.
«Non c’è problema, non preoccuparti, non ho intenzione di ucciderti o roba del genere», cerco di rassicurarla.
Josh, chiudi quella bocca.
«Okay, sì, perché no?» Si alza e chiediamo un sacchetto per portare via i nostri ordini lasciando che i due uomini continuino la loro discussione sulle corse pomeridiane.
Mamma e papà sono via tutta la settimana per una vacanza low cost che papà ha trovato sui giornali. Altrimenti non penserei di invitarla. La mamma inorridirebbe all’idea che abbia conosciuto qualcuno su Tinder. E teme ancora che i pedofili mi adeschino. Dal loro punto di vista direi di essere oltre la data di scadenza.
Ripercorriamo i nostri passi nella piccola zona commerciale e mi rendo conto che, se la serata andrà bene, dovrò inventarmi una storia elaborata e complessa per spiegare come ci siamo conosciuti in modo che la mamma non lo scopra mai. Poi dovremo andare avanti con questa recita per il resto della nostra vita, raccontare la storia fittizia al nostro matrimonio e portarcela nella tomba. La fatica sembra superare i vantaggi.
«Eccoci!» annuncio arrivando a casa e aprendo la porta. Anche se si tratta di una cosa innocente come mangiare fish and chips, portare una ragazza da me è una strana sensazione. Mi sembra quasi di tradire Jade, il che è ironico.
«Che bella casa», afferma entusiasta Emma quando entriamo.
Si toglie le scarpe con i tacchi alti e le lascia vicino alla porta appena mette piede nell’atrio. Ha le unghie dei piedi dipinte di rosso.
«Posso lasciare la giacca qui?» chiede educata mettendo in mostra un paio di pantaloni attillati di pelle e una maglietta grigia.
«Sì, certo, appendila là.» Indico il corrimano. «Vuoi qualche altra salsa?»
«Dell’altro ketchup, grazie.»
«Bene, prendo anche i piatti. Puoi mettere il cibo là e sederti?» Le indico il salotto e vado in cucina.
Cerco di ripescare il ketchup in fondo al frigo. Qualche giorno fa ci siamo fatti portare la spesa a casa, anche se ora vivendo in tre papà ha deciso di tagliare i costi e di passare da Waitrose a Tesco. Non volendo perdere la faccia, la mamma ha chiesto al furgoncino di Tesco di parcheggiare dietro l’angolo, dove lo ha raggiunto armata di sacchetti di Waitrose nelle tasche.
«Hai molte foto tue», esclama mentre reggo cautamente la bottiglia di ketchup, i due piatti e le posate.
Merda. Mi sono scordato che la mamma ha deciso di lasciarle sulla mensola del caminetto.
«Lo so. E in genere sono anche piuttosto imbarazzanti», affermo raggiungendo Emma, intenta a esaminare ogni fotografia.
«No, eri un bel bambino.» Mi ringrazia prendendo un piatto e ci versa le patatine dal contenitore di carta. Sono troppe, e cadono per terra.
«Avremmo potuto prendere le porzioni piccole. Assurdo.»
«Lo so, sono così tante.»
«Spero che adesso non siano troppo fredde.»
«No, sono buone, grazie», dice divorandole.
La conversazione sarà anche forzata, ma almeno è più comodo qui che nel locale.
«Devi star bene se ti sei potuto permettere di comprarla», commenta alzando lo sguardo.
«Cosa intendi?»
«Parlo della casa. Io sto ancora cercando di mettere da parte i soldi.»
Cazzo.
Capisco che pensa che sia a casa mia, non dei miei. E, peggio ancora, che l’abbia decorata con foto soltanto mie. Mi crederà un egocentrico.
«Oh no, è…»
Vengo interrotto dal campanello.
«Dammi un minuto. Vedo solo chi è.» Poso il bicchiere sul tavolo e vado alla porta. Fuori è troppo buio perché possa distinguere chi è al di là dei pannelli di vetro.
No. No. No.
«Cosa fate qui?» bisbiglio incredulo e terrorizzato mentre giro la chiave e socchiudo la porta impedendo loro di entrare.
«Che vuol dire, cosa facciamo qui? Ci viviamo, Josh. Hai intenzione di lasciarci entrare?» dice papà mentre la mamma irrompe nell’atrio superandomi e posando le valigie vicino al mobile con il telefono. Nascondo con un calcio le scarpe di Emma.
«Non pensavo che sareste tornati prima di domenica.»
«Perché sussurri? Tua mamma ha avuto una brutta premonizione sull’albergo e aveva bisogno di fissare una seduta con Graham per parlarne, perciò abbiamo dovuto accorciare il viaggio.» Papà alza gli occhi al cielo.
«Cos’è quest’odore? Hai mangiato fish and chips?» chiede la mamma.
«Sì, li ho presi prima da asporto. Perché non portate le vostre borse di sopra e le disfate? Avrete probabilmente voglia di andare dritti a letto dopo il viaggio. Posso portarvi qualcosa da mangiare se volete», propongo in preda al panico.
«Sono solo le otto, Josh. So che per noi l’età avanza ma non dobbiamo ancora andare a letto.» La mamma si spinge sempre più in là in corridoio nonostante le mie proteste.
Come ne esco?
«Dunque, a dire il vero…» mi accingo a spiegare la situazione.
«Oh, scusa, non ci eravamo resi conto che hai compagnia.» La mamma nota Emma, che è uscita in corridoio per vedere che cosa fosse tutto quel trambusto.
«Ciao, sei Jessie?» le chiede la mamma salutandola.
«No, sono Emma.» Ha un’aria confusa.
«Ciao, Emma, sono la mamma di Josh.»
«Oh, salve, ehm… come sta? Non avevo capito… Josh non mi ha detto che i suoi genitori ci avrebbero raggiunto stasera.» Mi guarda perplessa.
«Non lo sapevo nemmeno io», tento di spiegarle.
«Vivete nei paraggi?»
«No, cara, viviamo qui.»
«Oh, pensavo che fosse la casa di Josh.»
«Sì, Josh vive qui con noi.»
«Ma non è sicuramente casa sua. Non paga neppure l’affitto», interviene papà senza essermi di alcun aiuto.
Sento che Emma mi guarda ma tengo la testa china evitando il suo sguardo.
«Ah, avete preso fish and chips. È avanzato qualcosa per noi? Stiamo morendo di fame.» Papà mi supera e punta dritto in salotto.
Lo inseguo.
«Potresti magari andare in sala da pranzo e portarti dietro il resto delle patatine?» Cerco di pilotarlo altrove.
«Più siamo, più bello è, giusto? Sono sicura che a Emma non dispiaccia se io e tuo padre ci uniamo a voi», esclama la mamma.
Emma resta bloccata dov’è, ancora stupefatta davanti a quello che sta accadendo.
I miei vanno in cucina, e io presumo che abbiano capito che preferiamo restare soli finché non tornano con piatti, posate e bicchieri per loro.
Prima che possa impedirlo, ci ritroviamo tutti e quattro in salotto a condividere le patatine rimaste, la mamma ed Emma schiacciate l’una accanto all’altra sul divano, io e papà sull’altro.
«Come vi siete conosciuti?» domanda la mamma.
«Ci siamo conosciuti su…» fa per dire Emma.
«Anche lei vive a Cadbury», la interrompo.
«Non mi avevi mai parlato di una Emma. Allora questo è un appuntamento? Non ci avevi detto che ti vedevi con una ragazza», mormora eccitata nella stanza.
«Sai che ti sentono tutti, mamma.» Vorrei che il mondo mi inghiottisse.
«Adesso sei così riservato, non come quand’eri a scuola ed eri felice di raccontarci la tua giornata. Ricordo quando tornavi a casa e ci dicevi con chi parlavi all’intervallo…»
«Io non mi vedo con nessuno.» Mi sento arrossire.
«Be’, tanto per cominciare è magnifico che dopo Jade tu stia guardando avanti.»
Ora Emma si starà chiedendo chi siano Jessie e Jade.
«Mamma, puoi smetterla?»
«Scusalo, Emma, non so perché stasera sia così di cattivo umore. Raccontaci di te. Cosa fai?»
«Sono parrucchiera, o meglio apprendista parrucchiera. Lavoro nella via principale», risponde totalmente sbigottita.
Vengo almeno a sapere qualcosa della ragazza con cui sono uscito, anche se non sono io a fare le domande. Papà nel frattempo, ignaro di tutto, si sta sbafando metà del pesce che mi ha rubato.
«E dove vivi?»
«Proprio dalla parte opposta del paese. Avete presente le case dietro la chiesa?»
«Sì, Ho capito dove. Vado a fare yoga con una donna che vive da quelle parti… Susan?»
«Sì, è mia mamma.»
«Che buffo! Quant’è piccolo il mondo. Quindi a differenza di qualcun altro non ti imbarazza vivere con i tuoi?» Punta la forchetta e mi strizza l’occhio.
«No, andiamo molto d’accordo.»
Il fatto che abbiamo tutti e due più di vent’anni e viviamo ancora con i nostri genitori sembra essere l’unica cosa che abbiamo in comune.
«Posso chiederti di che segno sei?»
Oddio, non inizierà a farle l’oroscopo.
«Mamma, credo che le domande possano bastare.»
«Ma a Emma non dà fastidio, no?»
Lei sorride impotente.
«Anzi, aspettate qui. Vado a prendere i tarocchi, così te li leggo…»
Non ci posso credere.
«Oh, è molto gentile da parte sua… ma devo… devo iniziare presto domani mattina, quindi è il caso che vada», dice timidamente Emma.
«Non vuoi finire prima la cena? La mamma le dà un colpetto affettuoso sulle ginocchia. Emma non ha quasi toccato le patatine da quando i miei ci hanno raggiunto.
«No, in realtà non ho fame. Grazie comunque.» Scatta in piedi ed esce in corridoio a recuperare la giacca.
«Abbiamo una stanza in più se vuoi fermarti, magari non ti va di tornare a piedi al buio», le propone la mamma seguendola, senza consultarmi.
«Per una stanza sono solo quarantanove sterline a notte», si intromette papà con la bocca piena. Non so se stia scherzando. Tra un po’ le dirà i prezzi per il noleggio asciugamani e il check-out oltre l’orario.
«Oh, Gary, non essere sgarbato. Potresti piuttosto darle un passaggio.» Si gira verso di lei. «Non voglio che torni a piedi da sola.»
«Non c’è problema, sul serio…»
«Non accetterò un no come risposta. Sbrigati, Gary.»
Papà posa deluso il piatto di patatine e afferra di nuovo le chiavi della macchina dopo essere appena rientrato da un viaggio.
«Spero di rivederti», afferma la mamma salutando Emma con un abbraccio.
Emma, già in parte fuori dalla porta, decide di non abbracciarmi.
Io e la mamma rimaniamo sul portico a salutare il mio appuntamento Tinder che se ne va mentre papà la riaccompagna a casa. È seduta davanti, pietrificata.
Mi sono preoccupato inutilmente che fosse un tipo strambo. Invece lo strambo ero io. Povera ragazza.