15.

«Avrebbe potuto mettere la squadra del quiz al primo posto. È lui che ci ha iscritti allo spettacolo.»

«Josh, è il suo anniversario. Credo che stasera abbia il diritto di uscire con Jake.»

«Avrebbe potuto festeggiarlo un’altra sera, non pensi?»

«Ma non sarebbe stato il suo anniversario, no?»

«Chi festeggia un anniversario dopo sette mesi?»

«Mi ricordo che tu e Jade lo avete fatto! Anzi, per l’occasione hai perso il quiz!»

È mercoledì sera ma Jake ha abbandonato me e Jessie per uscire con Jake. Decidiamo di non partecipare al quiz. Se fatichiamo a battere i Quizlamic Extremists in tre o in quattro, andarci soltanto in due sarebbe quanto meno impegnativo. Siamo invece seduti da Pinkman, una pasticceria moderna con caffè, con davanti una teiera e un mazzo di schede di cultura generale, intenti a ripassare per la nostra apparizione in TV. Situata a un paio di minuti a piedi dal Wills Memorial Building, di giorno è gremita di studenti ma la sera i lunghi tavoli comuni di legno hanno pochi posti occupati, e ora c’è soltanto un altro uomo assorto a lavorare al laptop.

«Ti sei ripresa dalla maratona?» Sono passate due settimane ed è la prima volta che vedo Jessie dopo la gara.

«Non so se mi riprenderò mai. Penso che mi costerà una fortuna andare da un chiropratico per anni. Il giorno dopo è stato tremendo, e le gambe mi fanno ancora piuttosto male.»

«La rifaresti?»

«Non lo so, nonostante il dolore, è stata davvero formidabile. Forse. La prossima volta però tocca a te. Verrò io a fare il tifo per te e mi perderò il momento in cui passerai.» Inarca le sopracciglia.

Lo ha sempre saputo.

«Sì, mi dispiace molto per questo, anche se erano circostanze straordinarie.»

«Speri ancora di trovarla?»

«Mi piacerebbe.»

«Okay. Come facciamo?»

«Facciamo?»

«Be’, sono coinvolta quanto te in questa storia. Sono dovuta andare in giro per Londra per ore dopo aver corso una maratona, perciò sì, la troveremo insieme.»

«Non lo so, ho riguardato l’intero servizio TV sulla maratona per cercare di individuarla da qualche parte in mezzo alla folla, ma non ho avuto fortuna. Non ho visto nemmeno te, ma c’era uno che aveva lo stesso tuo costume.»

«Lo so, volevo dirtelo. La sua foto è finita sul “Daily Mail”. Perché non ne hanno scattata una a me invece?»

«Assurdo. Penso che ti abbia copiato.»

«Che costume ti metterai l’anno prossimo?» mi chiede.

«È escluso che la faccia l’anno prossimo, okay?» rispondo divorando una fetta di torta di carote, scelta dalla moneta al posto dell’altrettanto allettante torta Bakewell. Mi accorgo, mentre ne mangio un boccone, che dalla maratona non ho mai pensato a Jade.

«Ricapitoliamo quello che sappiamo di lei», afferma Jessie prendendo un notes e una penna dalla borsa. Lo sfoglia fino a trovare una pagina bianca e scrive «ragazza dei girasoli» in alto per poi sottolinearlo.

«Be’, non è granché. Solo quello che ti ho detto dopo la ma­ratona. Suppongo che sia sulla ventina, ha i capelli scu­ri…» Temo che la sua immagine si sia già distorta nella mia mente. Non voglio perderla per sempre.

Jessie annota i miei commenti sotto forma di elenco puntato e mi aspetto quasi che faccia uno schizzo in base alla mia descrizione.

«Questo non restringe molto il campo.»

«No, lo so.»

«E pensiamo che viva a Monaco, Amsterdam, Tokyo o Filadelfia?»

«Sì, esatto.»

«Le popolazioni combinate di quelle città ammontano a quanto? Parecchi milioni, immagino?»

«Circa diciotto. Ho controllato.»

Jessie si appunta ogni cosa come se inserisse tutti quei dati in un’equazione algebrica.

«Quindi anche se quello che ti ha detto è vero e vive in uno di quei posti, hai una probabilità su diciotto milioni di trovarla?»

«Però sappiamo che lavora in una libreria, quindi questo restringe il cerchio.»

«Mi chiedo però quante librerie inglesi ci siano? Potresti fare una ricerca e scrivere per sapere se abbiano qualcuno corrispondente alla descrizione che lavora là?»

«No, può sembrare una cosa losca e dubito che qualcuno risponderebbe. Probabilmente penserebbero che sia una truffa.»

«D’accordo, che ne dici di andare a visitare le città e vedere se riesci a trovarla al lavoro in uno di quei negozi?»

«Come Van Gogh?»

«Cosa vuol dire, come Van Gogh?»

«Oh, è solo una cosa che ha raccontato su Van Gogh, è corso dietro alla donna di cui si era innamorato. Sua cugina, credo abbia precisato.»

«Un comportamento po’ strano.»

«Lo so.»

«Be’, ecco l’ispirazione.» Jessie sorseggia il tè. «Non correre dietro a tua cugina, ma andare a cercarla.»

«Sì, ma ti dimentichi che ho dovuto usare il fido per pagarmi una fetta di torta, figuriamoci se posso viaggiare per il mondo.»

Vengo sviato da un odore di pizza al lievito madre mentre alla coppia dall’altra parte del caffè viene servito da mangiare.

«Abbiamo qualche altro modo per rintracciarla?»

«Senza un nome è molto difficile. Presumo che se avessimo il nome e il cognome potremmo rintracciarla su Face­book, ma cosa cerchiamo online: ragazza dai capelli scuri di Filadelfia?» Non le dico che ci ho già tentato e che ho esaminato numerose pagine di risultati della ricerca, così per provare. Ho anche cercato tutti i negozi di libri inglesi e i loro dipendenti, ma senza successo. E ho creato un nuovo account Tinder per passare al vaglio migliaia di donne single a Monaco, Amsterdam, Tokyo e Filadelfia. Ho esaurito le idee.

Jessie tace e legge gli appunti.

«E se lanciassimo una sorta di campagna online per ritrovarla? Potrebbe funzionare.»

«No, assolutamente no. Sembrerebbe ancora più losco che mandare le mail.»

«Sì? Non sarebbe romantico?»

«Non lo so. Non mi perdonerò mai per non averle chiesto il nome e i recapiti. Non riesco a credere alla mia stupidità. Incontro la ragazza dei miei sogni e non mi faccio neanche dire il suo nome.»

«Secondo me dovresti stare attento a non vedere tutto in modo troppo romantico. Sono certa che sia simpatica, ma lei ha parlato per… quanto? Trenta minuti al massimo? Sono sicura che Jack lo squartatore sia stato gentile per la prima mezz’ora.»

Le domande sui serial killer al quiz di qualche settimana fa le sono rimaste impresse in mente.

«Anche se la trovi, non voglio che tu abbia aspettative stratosferiche. Guardiamola in modo diverso…»

«Adesso mi farai una delle tue analogie, vero?»

«Sì. Immagina di essere in un negozio di mobili…»

«Te la stai inventando sul momento?»

«Concentrati. Sei in un negozio di mobili e vuoi un tavolo nuovo. D’accordo?»

«D’accordo, sto cercando un tavolo nuovo. Non ho neppure un appartamento, per non parlare dei soldi, però per qualche ragione voglio un tavolo.»

«Non essere noioso, sto cercando di aiutarti.»

«Okay, scusa, va’ avanti.»

«Mentre giri nel negozio, ne vedi parecchi di stile diverso, alcuni ti piacciono, altri a casa tua non starebbero bene. Poi ne noti uno che trovi perfetto. Ti sembra fantastico.»

«Okay, lo trovo bello. Qual è il problema?»

«Il problema è che non sei arrivato preparato nel negozio. Non conosci le misure del tavolo che in realtà ti serve. Quindi questo ti sembra magnifico ma non sei sicuro se andrà bene quando lo porterai a casa. Inoltre non lo hai neanche esaminato con cura. Le gambe potrebbero non essere stabili, potrebbero esserci chiodi sporgenti sotto…»

Annuisco.

«E mentre sei così fissato su questo tavolo, non ti guardi intorno per vedere se non ce ne sia magari un altro che vada meglio per il tuo appartamento.»

«Cosa vuoi dire? Che dovrei farmi dare una ricevuta?»

«Dico che se questa ragazza, scusa, questo tavolo può sembrare splendido a una prima impressione, potrebbe non essere bello come pensi e forse potrebbe sfuggirti qualcosa di meglio.»

«Ma se è il tavolo perfetto, ed è bello come sembra, e se me ne vado in giro nel negozio in cerca d’altro, qualcuno potrebbe comprarlo al posto mio…»

«Vabbe’. Dovremo escogitare un altro modo per trovare il nostro tavolo.»

L’uomo seduto accanto a noi non è più assorbito dal laptop e ci sta guardando come se fossimo fuori di testa.

«A essere onesto, Jessie, credo che tu stia solo trattando le donne come oggetti», scherzo prendendo una scheda. «Ripassiamo un po’ di cultura generale?»