«Allora viene in Germania in vacanza?»
Ho raggiunto l’inizio della fila al controllo passaporti e sto dando il documento ad Andreas Keppler, come annuncia fieramente la targhetta con il suo nome. Il volo è andato liscio, a parte la paura di precipitare quando abbiamo incontrato una turbolenza. Due volte.
Per qualche motivo sono riuscito a scegliere la coda con il funzionario più temibile. Andreas sembra il tipo di persona che non vuole far entrare nessuno nel suo paese ed è così stufa della posizione del suo governo in tema di immigrazione che ha scelto questo lavoro per impedire personalmente alla gente di mettere piede sul suolo tedesco.
Fa le domande con il tipico forte accento e non si preoccupa nel contempo di cercare un contatto visivo. Preferisce piuttosto prestare ulteriore attenzione al mio passaporto, che è stato esaminato solo due ore fa all’aeroporto di Bristol e che non so in che modo possa essere cambiato nel frattempo.
Come rispondere a questa domanda?
«Be’, in effetti sto cercando di rintracciare una ragazza che penso lavori in una libreria inglese a Monaco e di cui credo d’essermi innamorato.»
Probabilmente non così.
Gli occhi di Andreas si sollevano di scatto dal passaporto per studiarmi di persona. Non penso gli piaccia la mia risposta.
Non capisco mai se i funzionari del controllo passaporti mi stiano interrogando o solo facendo due chiacchiere cordiali. Questo tedesco tatuato dal volto severo seduto in un box di vetro vuole conoscere nei dettagli la mia visita programmata nella città tedesca o soltanto sapere se non sto importando ed esportando enormi quantità di sostanze illegali?
«Quanto tempo si fermerà in Germania?» chiede, ora con tono più serio, come se avessi fatto scattare un allarme.
«Direi il tempo necessario a trovarla o finché non esaurirò i soldi.»
Mi si sono tappate le orecchie sull’aereo, perciò faccio fatica a sentire quello che dice e urlo rispondendogli.
«Quanti soldi ha con sé?»
Ficcanaso.
«Mille sterline che ho vinto… be’, a dire il vero non le ho vinte tutte io, in parte me le hanno date i miei amici.»
Ancora una volta troppe informazioni, Josh. Troppe.
Anche se forse all’inizio era così, non penso che stia più facendo educatamente conversazione. Sapevo che sarei dovuto andare ai cancelli elettronici. Non funzionano mai ma sarebbero stati preferibili a questo.
Dietro di me sta cominciando a formarsi una coda e l’uomo d’affari alle mie spalle gesticola e sospira tanto forte che lo sento al di sopra degli annunci. Non è che lo stia bloccando di proposito per farmi una bella chiacchierata con il mio vecchio amico Andreas.
«Dove alloggerà?»
«Non ho prenotato da nessuna parte. Non ho avuto il tempo di pensarci. Probabilmente in qualche ostello.»
Il funzionario scuote la testa. Cado in preda al panico. Sono le domande standard che fanno a tutti o mi sospettano di qualcosa? La donna alla mia sinistra che ha dato il passaporto nello stesso mio istante ha già superato il controllo. Non può essere un buon segno.
Chi pensa che sia? Un narcotrafficante, un terrorista, un clandestino, una spia? Ricordo di aver letto all’università che durante la Seconda guerra mondiale i tedeschi usavano la parola «scoiattolo» per identificare le spie. Non riesco a pronunciarla. E di certo non so pronunciare il tedesco Eichhörnchen. Se la usano ancora come parola in codice, sono nei guai.
«Che lavoro fa?»
Okay, questa la so.
«Sono una guida turistica, accompagno le persone nei tour a piedi e mostro loro la città», spiego in modo chiaro e conciso sperando che sia l’ultima domanda e mi lasci andare.
«Dove fa questi tour?»
Merda.
«Oh, scusi, be’, li facevo a Bristol ma, be’, è stato in effetti solo d’estate.»
«Quindi adesso non ha un lavoro?»
Sembra che ad Andreas non piacciano i bugiardi. O i disoccupati. La sua faccia inizia a contrarsi. Le rughe sulla sua fronte risaltano maggiormente. La sua stretta sul mio passaporto aumenta.
«No, se la mette così direi che non ho un lavoro.»
Me ne accorgo all’improvviso. Cos’ho fatto? Cosa sto facendo? Ho perso il lume della ragione? Ho buttato tutti i miei soldi per una ragazza, di nuovo. Non ho imparato nulla da Jade?
Mi guarda e osserva di nuovo il passaporto ripetendo il gesto in continuazione. Noto che la foto, scattata nove anni fa, non assomiglia molto alla figura in piedi davanti a lui oggi. Cerco di mettermi nella stessa posa, volutamente senza sorridere. Non capisco mai perché nelle fotografie per il passaporto bisogna avere un’aria così triste.
«Quindi non ha un lavoro, non ha un posto dove stare e viene in Germania in cerca di una misteriosa ragazza che non conosce…»
Sento il sudore gocciolarmi dalla fronte e se lo sento, lui di certo lo vede. Il che mi fa sudare ancora di più.
Devo avere un’aria così colpevole. Chiamerà la sicurezza perché mi portino in qualche stanza sul retro. L’ho visto in quei programmi realizzati sotto copertura negli aeroporti. Abbasso nervoso lo sguardo sullo zaino e temo di averci messo per sbaglio un coltello, una bomba o che qualcuno mi abbia infilato dentro qualcosa mentre ero distratto. La moneta era in vena di generosità sull’aereo, perciò ho finito per comprare un quotidiano, un gratta e vinci sfortunato e un muffin. Cosa succede se il muffin ha dentro la droga?
Ci siamo…
«Be’… buona fortuna, signore. Spero che la trovi.»
Mi restituisce il passaporto con un largo sorriso e una strizzata d’occhio. Lo guardo, disorientato.
Me lo sono immaginato?
«Provi alla libreria inglese in Schellingstrasse… Words’ Worth.»
Mentre supero la sua postazione, noto che ha una copia di Jane Eyre aperta sul banco.
Andreas in realtà è un vecchio romantico.
Prima di imbattermi in qualche altro funzionario, supero in fretta l’area ritiro bagagli ed esco nella luce del giorno tedesca.
Adesso ho davanti il piccolo problema di trovare la Ragazza dei girasoli in questa città di un milione e mezzo di abitanti. Almeno ho la mia prima destinazione.