26.

La individuo appena mi avvicino al museo Van Gogh. Anzi, non posso non farlo. Se tutti i vacanzieri sono in pantaloncini e maglietta, lei è vestita da Sherlock Holmes. Le manca solo la pipa.

«Perché ci serve una lente d’ingrandimento?» le chiedo sconcertato mentre mi saluta con un abbraccio fin troppo caloroso considerato che ci conosciamo da meno di dodici ore. Quando ci abbracciamo, le urto per sbaglio il cappello, facendolo cadere.

«I detective si vestono così. Non c’è da meravigliarsi se non l’hai ancora trovata indossando quelli.» Indica i miei pantaloni. Ho gli stessi jeans neri che porto da qualche giorno, abbinati a una felpa con il cappuccio.

«Sai, vero, che andremo solo in alcune librerie per vedere se lavora là? Non stiamo cercando di risolvere un caso di omicidio.»

«D’accordo allora», risponde seccata infilando la lente d’ingrandimento nello zaino e mettendo contemporaneamente in mostra una serie di altri strumenti da detective. Sono sicuro di scorgere una microspia ma decido di far finta di niente. In fondo, si è tenuta per sé il segreto del mio passo falso al bordello.

«Pensavo che magari potessi mettere una mia foto sulla pagina Instagram…»

«Per questo ti sei vestita così? Solo per una foto? Sai che non gestisco io la pagina?»

«Be’, potresti mandare la foto alla tua amica e chiederle che la carichi.»

«Ci tieni proprio tanto, giusto?» Lei annuisce entusiasta ed estrae di nuovo la lente d’ingrandimento, pronta a mettersi in posa.

Un pallone da calcio vagante ci supera mentre le scatto una foto con il telefono. Uno dei ragazzini che stanno giocando nel grande parco vicino a noi lo rincorre spaventando le dozzine di gabbiani che si erano minacciosamente posati sull’erba.

«Bene, da dove cominciamo?» chiedo ora che ci siamo tolti dai piedi il servizio fotografico.

Mi mostra la sua grande cartina di Amsterdam, un oggetto retrò di questi tempi.

«Ci sono quattro librerie inglesi nel centro di Amsterdam. Sono tutte molto vicine al museo Van Gogh, dove si trovano i Girasoli. Le ho segnate in rosso.»

Ha indubbiamente fatto i compiti. Quattro cerchi rossi contraddistinguono le nostre destinazioni. Uno di questi potrebbe essere il negozio?

«Ho pensato di andare da questa parte, arrivare qui e proseguire quindi in questa direzione.» Indica la mappa e mi illustra con il dito l’itinerario che ha studiato, come un allenatore di calcio che spiega la tattica di gioco.

«Ottimo.»

Impiega quasi cinque minuti a ripiegarla e alla fine la chiude in qualche modo ricacciandola in borsa.

«Quando vuoi possiamo andare», scherzo.

«Non andiamo ancora da nessuna parte. Prima di fare un salto in una qualsiasi di queste librerie, dobbiamo visitare il museo. Nessun viaggio ad Amsterdam è completo se non si vedono i Girasoli, soprattutto il tuo.»

«È proprio necessario?»

«Dobbiamo entrare nel suo modo di pensare. Dobbiamo canalizzare la Ragazza dei girasoli.»

La guardo disorientato.

«Dai, Josh, vuoi trovarla o no?»

«Non bisogna prenotare i biglietti?»

«Già fatto, li ho prenotati ieri sera. Mi darai dopo i soldi, non preoccuparti.»

Due biglietti? Strepitoso. Ho un budget limitato.

«Dobbiamo solo prendere prima le audioguide», afferma senza lasciarmi scelta.

Evviva, altri soldi ancora.

Alla fine saliamo in ascensore alle sale espositive, malgrado Eva non sia contenta di separarsi dal suo kit da detective quando ci dicono di lasciare le borse nel guardaroba.

Nonostante la calca, il museo è stranamente silenzioso, tutti si aggirano ascoltando le audioguide. L’unica voce che si sente è quella di Eva. Non si rende conto che sta urlando.

Saltiamo le prime opere di Van Gogh per raggiungere l’attrazione principale. Ha una parete tutta per sé, è posizionata al centro in una cornice dorata su sfondo turchese. A differenza di Monaco, è difficile avere una buona visuale del dipinto perché la gente vi si accalca intorno. Tutti guardano la guida multimediale che riporta immagini in primo piano e ulteriori informazioni.

«Per Van Gogh il giallo rappresentava la felicità. Usò, com’è noto, solo tre tonalità di giallo per completare questo dipinto. Nella letteratura olandese il girasole era il simbolo della devozione e della lealtà. Nelle loro varie fasi di appassimento i fiori ci ricordano inoltre il ciclo della vita e della morte.»

Saliamo un’altra rampa di scale.

«Questo potrebbe essere importante.» Mi tolgo le cuffie e chiamo Eva mentre esamino la corrispondenza originale in mostra tra il pittore e suo fratello Theo. «Lei ha detto che stava leggendo le sue lettere, quindi forse le ha viste qui.»

«Sì, è possibile. Diamo un’occhiata al gift shop.» Mi trascina attraverso la sala fino al negozio ricavato in un angolo. «E guarda cosa abbiamo qui», esclama in piena modalità detective.

Accanto a ogni possibile oggetto con i Girasoli – portachiavi, matite, magliette – c’è una pila di volumi, Lettere a Theo.

«Penso che sia venuta qui, abbia visto le lettere e comprato il libro.»

«Sarebbe logico.» Annuisce concordando con la mia teoria. «Credi che dovremmo comprarne una copia per canalizzarla?»

«A dire il vero l’ho letto», rispondo posando la copia che Eva mi passa.

Ho scaricato il libro e l’ho letto in un giorno dopo che la Ragazza dei girasoli me ne ha parlato, per poterne discutere se mai ci fossimo rincontrati.

Mentre scendiamo al pianterreno e restituiamo le audioguide, non le confesso che il museo è stata una buona idea, ma ora sono più ottimista sulla ricerca.

«Pensi che adesso abbiamo ottenuto il modo di pensare giusto per andare a cercarla?» chiedo sarcastico uscendo nell’aria fresca.

«Credo di sì, ma dopo tutto questo mi è venuta parecchia fame. Non ho ancora fatto colazione, quindi perché prima non ci mangiamo qualcosa? Ti piacciono le omelette? Bene, perché conosco il posto ideale per te.»

«Puoi scegliere qualsiasi tipo di omelette desideri. Bello, no?» afferma sedendosi a un tavolo grande. Le casse diffondono canzoni di vecchi musical che competono con il rumore del cibo che viene fritto in cucina.

«Cosa prendi? Suppongo che lancerai la moneta. Posso farlo anch’io?»

«Certo.» Gliela passo.

Stiamo scegliendo tra un’omelette e un’omelette.

Il ristorante ha proprio fatto le cose in grande: le pareti sono decorate di opere d’arte che ritraggono uova in volo, e lo chef indossa una maglietta rossa con la scritta EGGSPERT sulla schiena. Lo guardo cucinare ed è all’altezza del suo titolo mentre prepara contemporaneamente quattro omelette.

«Cosa le dirai quando la troverai?»

«Non lo so ancora.»

«Che vuol dire non lo sai? Avrai pensato a qualcosa. E se l’avessi trovata in Germania? Non saresti rimasto in silenzio a fissarla, mi auguro?»

«No, immagino che le avrei detto semplicemente…»

«Facciamo un po’ di role playing

«Cosa? Per la conversazione?»

«Sì. Io sarò la Ragazza dei girasoli e tu sarai tu. Fingi di avermi appena vista nella libreria.»

«Non intendo farlo.»

«Sì, devi esercitarti. Avrai soltanto un’occasione. Non voglio che combini un casino.»

«Che ne dici se prima mangiamo?»

Nella mia testa so cosa dire, è solo che non voglio riesaminarlo con Eva.

«Qualcuno qui si sta arrabbiando un po’. Dai, finché non arriva da mangiare.»

Non mollerà.

«Ehi, ti ricordi di me? Londra, ci siamo incontrati alla National Gallery il giorno della maratona», dico con una voce da idiota.

«Hai intenzione di esordire con “ehi”? Sul serio? E suona troppo nervoso. Devi essere più audace. Più sicuro. Ricomincia.»

Perché ho accettato di passare la giornata con lei?

«Ehi, ci siamo incontrati a Londra, alla National Gallery il giorno della maratona e volevo invitarti a uscire ma non ti ho mai chiesto il numero di telefono, perciò ti ho rintracciata.»

«Bleah, sembri proprio uno stalker. Rintracciata? Non dirlo.»

«Okay, cosa dovrei dire?» Faccio del mio meglio per non infuriarmi.

«È un bene che ci stiamo esercitando, no? Che succede se non si ricorda di te? O se si ricorda e non le piaci? O se ha un fidanzato?»

«Credevo che volessi aiutarmi!»