Seduto sul treno per l’aeroporto Schiphol di Amsterdam, mi sento un emerito idiota.
Ho speso gran parte della nostra vincita per una ricerca inutile. Ovviamente ha conosciuto un altro. O forse ha sempre avuto un fidanzato a mia insaputa?
La pioggia martella sui finestrini del treno. Mi guardo intorno nella vettura osservando le coppie che si tengono strette la mano e i bagagli. Sono pronte per la loro fuga romantica, eccitante all’estero. Io sto tornando da solo nel Regno Unito con la sensazione di aver già vissuto tutto quanto.
Per questo gli uomini britannici finiscono ripescati dai canali?
Appena il treno arriva all’aeroporto, guardo i tabelloni elettronici per informarmi sulle prossime partenze. Mi va bene volare verso qualsiasi aeroporto del Regno Unito, basta che sia economico. Non ho motivo di precipitarmi a casa. Sono in coda al banco easyJet quando squilla il telefono.
«Ehi, Jessie», rispondo cupo.
«Ciao, Josh? Pronto?»
«Pronto, mi senti?» dico controllando il telefono per vedere quante tacche abbia.
«Sì, poco, dove sei in questo momento?»
«All’aeroporto di Amsterdam, sto tornando.»
«Non ti sento. Puoi parlare più forte? Sei all’aeroporto?»
L’annuncio dell’altoparlante copre sgarbatamente la mia voce.
«Sì, sono all’aeroporto, sto tornando a casa», grido nel cellulare cercando di farmi sentire al di sopra del baccano del terminal sempre più affollato via via che la gente si riversa dai treni in arrivo.
«Perché stai tornando? Cos’è successo?»
«È finita. Nell’ultimo negozio in cui siamo stati il gestore ci ha detto che c’era una ragazza inglese che lavorava là e che se n’è appena andata per trasferirsi in Nuova Zelanda con il suo fidanzato. Combacia con il messaggio che hai ricevuto», le sintetizzo con tono solenne.
Lei resta in silenzio all’altro capo del telefono.
«Okay, ammetto che possa sembrare deludente. Ma non sappiamo con certezza se questa ragazza sia lei e, be’, il messaggio può essere arrivato da chiunque.»
«Non lo so, però a questo punto penso di dover mollare. Ho fatto un tentativo ma credo che sia ora di tornare a casa.»
«Non puoi fermarti adesso.»
«Ma Jessie…»
«Ho delle notizie per te. Ti stavo chiamando per avvisarti che al momento i Girasoli non sono a Filadelfia. Sono in prestito al Musée d’Orsay a Parigi e si trovano là da sei mesi. La mostra termina questo mese.»
Non so proprio cosa dire. Ripenso a quella volta in cui con i nonni ho cercato un dipinto, prestato a un altro museo, per tutto il Bristol Museum.
«Mi hai sentito?» chiede Jessie. «Stavo parlando di te sul lavoro, e lo hanno visto a Parigi alcune settimane fa.»
«Sì, grazie per avermi informato ma da quello che abbiamo scoperto oggi e dal messaggio che avete ricevuto, sembra che lei fosse qui ad Amsterdam.»
«Ma pensa solo se – e sottolineo, solo se – quel messaggio non è suo. Hai già escluso tre dei cinque quadri. C’è il cinquanta percento di possibilità che sia Parigi. Non vale la pena di fare un ultimo tentativo?»
«Sì, ma questo solo se ciò che mi ha detto è vero e se non si è trasferita, e c’è un’infinità di altri possibili scenari. Potrebbe essere ovunque nel mondo. E chiaramente non vuole essere trovata, altrimenti avrebbe risposto alla tua pagina Instagram.»
«Non penso che sia l’atteggiamento giusto. Non sappiamo nemmeno se l’abbia vista. Non dovresti lanciare in aria la moneta per decisioni del genere?»
Cosa le succede?
Non voglio lasciare questa decisione al caso o al destino o a qualsiasi forza superiore stia controllando la mia vita. Voglio solo andare a casa. Non posso più comportarmi così.
«Dai, fallo», esclama percependo la mia esitazione. Prendo con riluttanza la moneta dalla tasca e cerco goffamente di tirarla tenendo il telefono fra la testa e la spalla. Cade per terra.
«Allora?» la sento chiedere.
Mi chino per vedere quale lato sia rivolto verso l’alto.
«Dice che dovrei andare a Parigi», rispondo sommessamente.