30.

Non condivido un letto a castello da quand’ero piccolo e ora ricordo perché. Sono disteso sotto un uomo che ha problemi di flatulenza e russa in continuazione. L’altro letto a castello nella piccola stanza è occupato da due uomini grossi, minacciosi, tutti tatuati, che sembrano avere l’intenzione di uccidermi da un momento all’altro. Non sorprende che non dorma molto.

Chiamo Jessie appena esco sbadigliando nella luce del giorno parigina. Nonostante la voce assillante nel profondo della mia mente mi dica che la Ragazza dei girasoli stia attualmente facendo bungee jumping a Queenstown con il suo fidanzato modello alto due metri, mi sento piuttosto ottimista. Della serie: nella terza città andrà bene. Inoltre, ho nuovi amici lassù in alto.

«Ho saputo da Jake che il viaggio è stato interessante.»

«Sì, che posso dire? Il Signore opera in modi misteriosi.»

«Oddio, aveva ragione, sei uscito di testa.»

«Per favore, non nominare il nome di Dio invano.»

Non riesco a controllare le indicazioni sul telefono mentre parlo con Jessie e finisco per seguire un itinerario molto più lungo attraverso la città fino alla Rive gauche, dove si trovano le librerie inglesi. Sorrido tra me superando l’imponente Palais Garnier, in cui abitava il fantasma preferito di Jesus.

«Non hai detto che c’era una ragazza di Parigi che si era messa in contatto? Forse è lei.»

«Sì, hai ragione. C’era, ricordo che ci ha mandato una mail invece di un messaggio diretto, ma non riesco più a trovarla e non ricordo come aveva detto di chiamarsi.»

«Sei un disastro come me, non sai il suo nome.»

«Scusa, non ho pensato che fosse la Ragazza dei girasoli. In quel momento non pensavamo che potesse vivere a Parigi. Sono sicura di avere il messaggio da qualche parte.»

«Che senso ha aver creato questa pagina Instagram se poi perdete i messaggi?» mi sfogo.

«Lo troverò, non temere. Che programmi hai oggi?»

«Scusa il tono brusco. Sono solo stanco. Ho alcune librerie da controllare stamattina, quindi tieni le dita incrociate per me.»

«Terrò le dita delle mani e anche quelle dei piedi incrociate. Fammi sapere appena hai qualche notizia.»

Attraverso lo splendido Jardin des Tuileries passando accanto a persone allungate sulle sdraio verdi, simili a statue sui piedistalli, prima di superare il ponte sulla Senna. Un venditore ambulante intraprendente mi offre ottimisticamente un lucchetto dell’amore.

«Vorrei avere qualcuno a cui darlo», gli rispondo mortificato.

Deve avere un buon modello di business perché le ringhiere del ponte sono adorne di centinaia di lucchetti di tutte le forme, dimensioni e colori. Scribacchiate sopra in pennarello permanente ci sono le iniziali insieme a cuori e dichiarazioni d’amore. Ho letto che, a causa del peso, hanno dovuto rimuovere i lucchetti dal Pont des Arts più in giù, ma questo non sembra aver impedito alle coppiette di trovare un luogo nuovo per consacrare il loro sentimento. Invece di gettare la chiave nel fiume, forse dovrebbero limitarsi a usare lucchetti a combinazione, nel caso la relazione finisca male.

Davanti mi accolgono il Musée d’Orsay e un grande manifesto con i Girasoli che pubblicizza la mostra di Van Gogh.

Ancora tu.

È questo il quadro giusto?

Mi fermo e leggo il manifesto. Sponsorizzata da banche e società di revisione di tutto il mondo, la mostra, noto, durerà altre due settimane prima che il quadro venga restituito a Filadelfia. I turisti smaniosi si affrettano a entrare sperando di schivare le code che si formeranno più tardi. Supero il museo continuando lungo il fiume e curioso tra le cartoline, le riproduzioni e i libri venduti dai bouquinistes.

Mi allontano dal fiume con l’intenzione di fare un giro nelle tre librerie che ho contrassegnato, a cominciare dalla San Francisco Books. Non passo più di due minuti in quel negozio minuscolo gestito da un francese scontroso, e tutti gli altri in questo vecchio quartiere di librai sembrano chiusi. L’Abbey Bookshop è più accogliente, con un uomo cordiale all’esterno che vende caffè in un thermos. Ma è chiaro perché sta fuori: dentro i libri formano pile così alte e ingombranti che non c’è modo di passarci in mezzo. Sicuramente lei non si nasconde là dentro.

Quando raggiungo la facciata gialla della libreria Shakespeare and Company di fronte a Notre Dame, ho i piedi distrutti per la camminata. Fuori c’è un gran fermento, persone sedute che mangiano fette di quiche e di torte nel caffè adiacente. All’interno il negozio è gremito di turisti che entrano ed escono, molti sfidano l’invito a non scattare fotografie e caricano i loro scatti pseudoartistici su Instagram. Il locale è indubbiamente molto fotogenico. È splendido. Tra il pavimento a mosaico e il lampadario rustico che oscilla sopra le citazioni dipinte sulle pareti e sulle scale, i libri sembrano contenti di stare qui. C’è un dedalo di stretti passaggi in cui i clienti si destreggiano, e fra la Blue Oyster Tearoom e la Old Smoky Reading Room si sta formando un ingorgo. Mi infilo dentro prendendo la scala rossa cigolante che porta al primo piano, ed è allora che lo vedo, dipinto in lettere nere sopra il telaio della porta.

«Non essere inospitale con gli sconosciuti, potrebbero essere angeli in incognito.»

Ho un improvviso flashback. La Ragazza dei girasoli aveva una spilletta rosa sulla borsa proprio con questa citazione. Perché non me ne sono ricordato prima?

Dev’essere questo il posto.

Di sicuro.

Con rinnovata speranza mi lancio a esplorare il primo piano sperando di girare un angolo e di vederla. Supero qualcuno che sta usando una macchina da scrivere vintage e ascolto quello che sembra essere un gruppo di lettura costituito da varie persone, tutte con addosso un cardigan, che discutono con supponenza del significato di Tristram Shandy. Entro nella Piano Room dalle luci soffuse dove un piccolo lampadario con soltanto due lampadine funzionanti su tre illumina l’antiquato pianoforte nella nicchia. Un cartello scritto in fretta a mano in pennarello rosso esorta i clienti a non suonare dopo le sette di sera perché svegliano il gatto. Mentre mi faccio strada per ridiscendere le scale, scorgo uno specchio tappezzato di biglietti. Persone di tutto il mondo hanno lasciato messaggi su pezzetti di carta, matrici di biglietti e cartoline. Ne leggo uno: «Icaro non ha analizzato a fondo le cose, forse neanche tu dovresti farlo».

Avanzo tra i clienti verso il banco.

«Salve.»

L’uomo non alza lo sguardo, tutto preso a scrivere su un foglio A4 a righe.

«Bonjour, salve?» ripeto.

«Sì, desidera?»

Continua a scrivere. In vendita vicino alla cassa noto una scatola di spillette identiche a quelle della Ragazza dei girasoli.

«C’è una ragazza inglese che lavora qui? Avrà più o meno vent’anni, capelli scuri, carina…»

Alla fine alza lo sguardo.

«Posso sapere chi è lei?»

Non voglio raccontargli tutta la storia.

«Solo un amico.»

«Un amico di una ragazza misteriosa che potrebbe o no lavorare qui e di cui non sa il nome?» osserva cinico.

«Okay, sì, sembra strano, ma c’è una ragazza corrispondente alla descrizione che lavora qui? È qui ora da qualche parte?»

«No, ora non c’è», continua con un atteggiamento ben poco disponibile.

«Ma lavora qui? Potrebbe per cortesia darle questo e chiederle di contattarmi?»

Gli allungo un biglietto che ho preparato prima con il mio numero, un messaggio e una citazione presa dalle lettere di Van Gogh: «Che cosa sarebbe la vita se non avessimo il coraggio di fare tentativi?».

Lui mi guarda sospettoso prendendo il biglietto dalla mia mano. Mi aspetto che lo butti direttamente nel cestino.

«Glielo darò», risponde controvoglia.

Lo ringrazio ed esco dal negozio tornando nella luce e nel trambusto. Inizio a camminare senza meta attraversando il ponte verso Notre Dame quando il telefono mi vibra in tasca.

«Vediamoci davanti ai Girasoli alle tre.»