«Non è la zona più bella, lo ammetto, però ha il suo fascino, promesso», esclama Lucy appena ci incontriamo all’uscita della stazione della metro Porte de Clignancourt. È bella con la sua maglietta bianca e la salopette di denim e, quando ci abbracciamo, colgo vagamente il suo profumo floreale.
Intorno a noi ci sono un McDonald’s e un KFC, case tappezzate di tag e un gruppo di operai che sta scavando una buca nella strada principale. È un luogo affollato, puzzolente e rumoroso, completamente diverso dalle immagini da cartolina di Parigi che mi aspettavo. Però sono felice di esplorarlo con lei.
Camminiamo nella via trafficata al di là di una stazione di servizio, diretti verso una massa di bancarelle improvvisate protette da cerate. Vendono vestiti di ogni sorta. Sciarpe, cappelli, felpe con cappuccio, scarpe. Nel giro di trenta secondi mi vedo offrire un iPhone, una boccetta di profumo Dior e un paio di scarpe da ginnastica Adidas.
«Dove mi stai portando?» chiedo.
Continuiamo oltre un truffatore che gioca alle tre tavolette su una scatola di cartone. Non posso credere che i turisti ci caschino ancora, eppure ne ha cinque o sei accalcati intorno.
«Lo vedrai tra un minuto.»
Si scosta i capelli dagli occhi mentre risponde. Li ha raccolti in una coda lasciando due ciocche libere che le ondeggiano davanti agli occhi. I suoi molteplici piercing luccicano al sole.
«Non temere, ti piacerà», mi rassicura.
Appena finisce la frase, un gruppo di uomini ci supera correndo con alcuni borsoni. Quattro agenti di polizia li seguono costringendo le auto a inchiodare quando si precipitano sull’altro lato della via per prenderli. Presumibilmente vendevano qualcosa di più delle finte borse Gucci.
Non saremmo potuti andare al Louvre?
«Okay, è proprio laggiù. Ci siamo quasi.»
Lasciamo la strada principale allontanandoci dalle sirene della polizia e imbocchiamo un vicolo stretto che si apre ben presto sul mercato delle pulci più affascinante del mondo.
Davanti a noi ci sono centinaia di garage aperti decorati con muschio rosso che offrono una varietà di merci, dai modellini di auto ai gioielli, dalle scatole di fiammiferi ai dischi ai videogames da sala giochi.
«Ho l’impressione che oggi gran parte dei mercati delle pulci vendano cose molto turistiche o abbiano sempre prezzi esorbitanti, questo invece è il vero paradiso di chi ama rovistare tra la roba vecchia. C’è sempre qualcosa di bello da trovare. Letteralmente tutto quello che ho a casa arriva da qui.»
Ha ragione. Qui non ci sono pile di felpe I LOVE PARIS. Sembra che molti venditori si siano svuotati le tasche e ne abbiano ammassato il contenuto su un tavolo: auricolari aggrovigliati intorno a matrici di biglietti, riviste strappate, scarpe singole nel caso ne abbia persa una delle tue. Non ho idea del prezzo corrente o dell’uso di una cartuccia vuota per stampante, di una pistola ad acqua rotta o di una Barbie amputata, ma in quella massa di cianfrusaglie si trovano alcuni tesori.
Decido di comprare un paio di souvenir fatti a mano di Parigi per ringraziare Jake e Jessie del loro aiuto. Contratto con il venditore abbassando il prezzo da dieci a cinque euro e me ne vado come se avessi appena negoziato l’acquisizione multimilionaria di una società.
Lucy curiosa nel vasto assortimento di posate e porcellane mentre io, alla bancarella accanto, sfoglio una dozzina di pagine sciolte di un album di ritagli che documentano il viaggio di una donna a Madrid. Le fotografie in bianco e nero la ritraggono sorridente davanti ai monumenti, accompagnate da matrici di biglietti, cartellini di albergo e biglietti scritti a mano. Perché qualcuno vende cose del genere?
«Sono davvero incredibili.» Lucy mi raggiunge per guardare con me la collezione di vecchie foto. «Amo queste cose. Stimolano la mia curiosità: vorrei sapere qualcosa di più della loro vita.»
«Chi era con esattezza? Cosa faceva? Chi era andata a trovare?»
«Chi ha scattato le foto? C’era un interesse romantico? Ha funzionato? Dovremmo rintracciarla.»
«Penso per quest’anno di aver avuto il mio buon da fare a rintracciare donne.» Scoppiamo tutti e due a ridere.
Girovaghiamo nel labirinto di garage fermandoci a indicare gli oggetti che piacciono a entrambi, che vorremmo nelle nostre case immaginarie o forse future, mi dico. I mobili antichi sono il sogno degli architetti di interni.
«Bonjour chérie, comment vas-tu?»
Un francese carismatico dai capelli grigi, che Lucy senza dubbio conosce, la saluta abbracciandola e baciandola. Sulla sua bancarella c’è di tutto, dai bottoni ai numeri civici alle maniglie per le porte. Osservandoli ridere e scherzare in francese, provo un pizzico di gelosia. Quanto vorrei ricordare il mio vocabolario di base. Mi indicano e io sorrido in risposta ignorando che cosa stia succedendo. Lei gli dà dei soldi e lui in cambio le passa un libro, che Lucy infila veloce in borsa.
«Cos’hai comprato?» le chiedo appena mi raggiunge.
«Te lo mostro dopo. Se hai finito di guardare, ti porterei nell’altro mio posto preferito.»
La seguo mentre prendiamo la metro per attraversare la città tra scherzi e risate. Le racconto della mia famiglia e dei miei amici, lei dei suoi: dei genitori che lavorano per il Foreign Office e della sua migliore amica che si è appena trasferita in Sudafrica per sei mesi. Si sofferma sull’intraprendenza di Jake e Jessie. Parliamo della nostra infanzia. Di come prendesse a prestito vezzi e modi di dire da libri sconosciuti per apparire più interessante. Ci scambiamo aneddoti sull’università confrontando le esperienze a Cambridge e a Londra. Ricordiamo la Caesarian Sunday, la nota festa, e le tabelle punti del vomito. La discussione della sua tesi su Jack Kerouack e la Beat Generation e la mia, L’impatto della guerra dei Nove anni. Discutiamo dei nostri film preferiti, di cibo e di musica. Se sia meglio il ketchup o la salsa barbecue. Quale Toy Story sia il migliore della serie. Della sua fase Kate Bush e della sua recente passione per Ed Sheeran. A ogni stazione mi innamoro sempre più di lei.
Quando scendiamo a Philippe Auguste, noto il cimitero Père-Lachaise davanti a noi.
«Prima mi coinvolgi in un blitz della polizia e ora mi porti in un cimitero? Sai proprio come far colpo su di me, no?» Rido. «Da queste parti non c’è una torre piuttosto famosa che dovremmo vedere?»
«Non era neanche lontanamente un blitz della polizia! Alla fine il mercato ti è piaciuto, quindi non raccontare storie. E credo che anche qui ti piacerà. È strano che il mio prossimo posto preferito sia un cimitero?»
«Non direi. Okay, forse solo un po’», aggiungo con un sorriso riprendendo le sue parole del giorno prima.
Entriamo nel cimitero da un grande cancello di pietra con accanto, in posizione strategica, un negozio che vende lapidi. Veniamo raggiunti da una dozzina di turisti, tutti intenti a consultare le cartine, e resto stupito da quanti scelgono di trascorrere la domenica pomeriggio a guardare tombe.
«Vanno tutti a vedere Jim Morrison, il che è ironico, dato che alcuni sostengono che non sia nemmeno morto.»
«Non dirmi che dai retta a tutte quelle teorie del complotto», replico ridendo di nuovo.
«Sai che non hanno mai fatto un’autopsia, quindi chissà? Forse è ancora là fuori da qualche parte.»
«Adesso mi dirai che Elvis è ancora vivo.»
«È così.» Fatica a rimanere impassibile.
«Davvero spiritosa. Molti altri personaggi famosi sono seppelliti qui?»
«Un sacco: Oscar Wilde, Edith Piaf, Chopin, Molière, Proust, Gerturde Stein. Mi dispiace per le persone comuni sepolte accanto a loro, che vengono calpestate tutto il giorno. Andiamo da questa parte.» Indica a destra mentre sto per seguire una coppia britannica. Ci incamminiamo nella direzione opposta rispetto a tutti, allontanandoci dal viottolo di calcestruzzo. «Attento», esclama quando per poco non inciampo in una radice sporgente nascosta sotto uno strato di foglie.
«È un po’ un labirinto ma a me piace moltissimo gironzolare, leggere gli epitaffi, immaginare che vita abbia vissuto ognuno. So che è forse un po’ morboso, però venire qui mi ricorda quanto breve sia la vita e il fatto che bisogna ricavarne il meglio.»
«Quindi ci vieni ogni fine settimana?»
«Sì, cerco di farlo. È una fuga così piacevole dalla città. Ci saranno più di un milione di persone sepolte qui, quindi ho ancora molti epitaffi da leggere. Ne trovi alcuni molto toccanti, mentre altri sono divertenti. Guarda questo, per esempio.» Ne indica uno scritto in francese che mi traduce. «In amore ci casco sempre, però amo i tipi romantici.»
Osservo le tombe di varie forme pensando alle sue parole.
«Sei mai stata innamorata?» le chiedo quasi titubante.
«Una volta, ma non ha funzionato.» Tace, e mi domando se sia tutto quello che intende dire. «Ero molto innamorata di quel ragazzo. Uscivamo da una vita, da quasi due anni, ma lui non ha mai voluto dare un nome al nostro rapporto. Non sembrava sicuro di voler stare con me o, più in generale, di ciò che voleva. Alla fine ho deciso che mi meritassi qualcuno che invece lo sapeva.»
«Mi dispiace», affermo mentre continuiamo a girovagare nel cimitero.
«A parte questa, ammesso che conti, non ho avuto relazioni lunghe. Penso di aver passato troppo tempo in biblioteca e all’università, e dovrei forse smettere di portare i ragazzi nei cimiteri, giusto? Forse è qui che sbaglio.»
«No, nient’affatto, sono contento che mi abbia portato qui. È proprio bello.»
«E tu? Sei stato innamorato?»
Taccio valutando se dirle la verità su tutto.
«Oh, dai. Io mi sono aperta con te.»
Decido di lanciare la bomba.
«Ho chiesto alla mia fidanzata di sposarmi l’ultimo dell’anno.»
«Oh, wow, okay.» Lancia un’occhiata alla mano sinistra per vedere se porti la fede.
«Ha detto di no confessandomi che si vedeva con un altro, e in quel momento eravamo sul London Eye. Quindi sì nella mezz’ora seguente siamo rimasti bloccati lassù, il che non è stato il massimo.»
Lucy scoppia a ridere. È un brusco contrasto con il compatimento di tutti gli altri.
«Non puoi ridere di questo.»
«Scusa tanto, non volevo ridere, ma dai, se non si fosse trattato di te sarebbe stato molto buffo.»
«Purtroppo si trattava di me, comunque sì, ora che ci penso, può essere divertente.» Sorrido.
«Comunque mi dispiace, sul serio. È proprio una brutta cosa. Oddio, poi arrivo io e dopo cinque minuti che ti conosco, ti racconto delle proposte di matrimonio di Van Gogh finite male. Perché non mi hai detto niente?» afferma prendendosi la testa tra le mani.
«Che ci creda o no, non pensavo che discutere della mia proposta di matrimonio rifiutata fosse la tecnica migliore per flirtare.»
«Però pensavi che dirmi che volevi tagliarti l’orecchio avrebbe funzionato?» Scoppia a ridere. «Ad ogni modo, come si suol dire non è meglio aver amato e perso piuttosto che non aver amato affatto?»
«Non lo so. Presumo che stessi solo facendo quello che credevo di dover fare, non quello che desideravo veramente.»
Anche in quattro anni con Jade non ho mai provato quello che sento adesso dopo qualche ora con Lucy.
Risaliamo la collina e troviamo una panchina su cui sederci. Ce n’è una libera con la vernice verde scrostata e da lì possiamo ammirare lo splendido panorama di Parigi. Adesso capisco perché è il suo posto preferito in città.
«Mi hai chiesto cos’ho comprato prima», afferma Lucy infilando la mano nella borsa e prendendo il libro acquistato dal rivenditore al mercato.
«Sì. Che libro è?»
«Armance di Stendhal. Lo conosci?»
Non posso rispondere di sì.
«Ogni settimana compro un romanzo francese al mercato e il pomeriggio vengo qui a leggerlo. Mi serve per esercitarmi in francese, e in questo momento sto cercando di leggere tutti i classici.»
«Tranne la fine, giusto?»
«Lo trovi ancora strano, vero? La storia del libro, il cimitero. Forse dovrei smettere di raccontarti tutte queste cose.»
«No, non essere sciocca. Ammetto di non aver mai incontrato nessuno come te.» Lei si copre gli occhi con le mani. «Ma in senso positivo, te l’assicuro. Mi piace che tu sia diversa. E sono molto onorato che mi abbia portato qui, nel tuo luogo preferito.»
«Immagino sia un po’ come con tutte queste persone sepolte qui. Perché correre verso la fine? Quando è finita, è finita. Lo stesso vale per un film, un ottovolante o perfino per il sesso. Il finale può essere fantastico o terribile, ma in tutte queste cose contano il crescendo, il viaggio, gli alti e bassi, il mistero, le svolte inattese, le sorprese. Dov’è il divertimento se sai come andrà tutto quanto? Perché vuoi arrivare all’ultima pagina e rovinare la sorpresa? Non lo so, fa’ finta che non ci sia, adesso smetto di parlare.»
Apre il libro e inizia a leggere la prima pagina.
«Forse potresti tradurmelo?»
Lucy è seduta al sole, legge il suo nuovo libro a voce alta.
Quando il sole comincia a tramontare ci incamminiamo verso il centro città e la accompagno al suo appartamento sbirciando dalla soglia.
«Scusa, c’è un po’ di disordine. Qualcuno accumula piante o ninnoli. Io libri. Stanno prendendo il sopravvento», afferma guardando al di sopra della sua spalla. Nel piccolo monolocale ci sono pile di libri dappertutto, sembra che stia giocando a tanti Jenga fatti di tascabili e si prepari ad aprire una sua libreria.
«Quand’è il tuo compleanno?» chiedo notando la fila di biglietti d’auguri che decorano la sommità della credenza in fondo.
«In maggio.»
«In maggio? Com’è che hai ancora tutti i biglietti appesi? Credevo che fosse la settimana scorsa.»
«No, trovo sempre triste togliere i biglietti dopo qualche giorno, perciò li tengo tutto l’anno fino al compleanno seguente e li sostituisco con quelli nuovi.»
Il mio di mamma e papà a forma di scarpa da calcio è già stato relegato sul fondo della borsa.
Continuiamo a parlare sulla soglia, perlopiù di cose senza importanza. In realtà sto pensando se baciarla o no.
«Ho passato una giornata proprio perfetta», sorride.
«Sì, anch’io. È stata splendida.»
Vorrei tanto baciarla ma indietreggio e opto per un abbraccio. Ci scostiamo e restiamo in silenzio guardandoci negli occhi prima che mi allontani nella notte parigina illuminata, prendendomi a calci per non esser stato più audace.