39.

Il cuore mi batte all’impazzata. Davvero ho intenzione di farlo?

Sento la porta del negozio aprirsi e il rumore dei suoi passi sulle piastrelle mentre cammina sul pavimento del pianterreno, di sotto. Inizio a suonare appena sento cigolare le assi di legno della stretta scala. Ho fatto abbastanza esercizio con il vecchio organo del nonno mentre aiutavo la nonna a passare in rassegna tutte le sue cose, ma suonare un piano è diverso, soprattutto questo, vecchio e sgangherato. Ed è ancora più difficile quando il cuore mi martella nel petto e le mani mi sudano.

Non la vedo da dove sono seduto, sul piccolo sgabello nell’angolo della stanza invasa dalle pile di libri. Non so come reagirà o cosa dirà. Alzo lo sguardo per vedere se riesco a scorgerla ma mi perdo una nota e devo rivolgere subito lo sguardo al piano. Voglio vedere il suo volto.

Concentrati, Josh.

Lancio un’occhiata a sinistra e d’un tratto lei è là, seduta su uno dei letti improvvisati per i Tumbleweed. Sorride e sembra che faccia del suo meglio per non piangere. Voglio disperatamente alzarmi e abbracciarla, invece continuo a suonare fino alla fine della canzone. Le decorazioni luminose appese al soffitto luccicano, le candele tremolano e i lampadari antichi brillano, ora con tutte e tre le lampadine funzionanti.

Quando suono la nota finale, mi fa una standing ovation e grida scherzosamente: «Bis!».

«Per stasera basta, mi dispiace. Lo farei ma a quanto pare alle dieci e sette di sera qui c’è il coprifuoco. Il gatto va a dormire, sai», dico controllando l’orologio. «Scusa per certe note.»

«Non c’è problema. È stato bello, davvero. Non posso credere che tu abbia imparato a suonare.»

«So di aver detto che avrei imparato un concerto per pianoforte di Beethoven ma mi auguro che per il momento Ed Sheeran possa bastare.»

«È stato perfetto.»

«Be’, voleva essere Perfect», rispondo giocando con il titolo della canzone.

Non credevo che l’avrei mai più vista sorridere.

Non so se abbracciarla o baciarla, eppure appena mi alzo resto radicato sul posto, i piedi immobili sulle piastrelle esagonali di terracotta.

«Come ci sei riuscito? Come sei entrato qui?»

«Diciamo solo che il vostro ultimo Tumbleweed è molto più socievole dell’ultimo con cui ho parlato. Lui stesso è venuto a Parigi in cerca dell’amore, perciò ha capito e mi ha dato una mano. Adesso è di sopra con il gatto. Mi avevi detto che chiudi sempre tu il venerdì sera, quindi mi sono augurato che non avessi cambiato abitudini, altrimenti avrei dovuto aspettare tutta la notte per suonare il piano.»

«Sei stato incredibilmente gentile. Come vedi, lo apprezzo molto.» Prende un fazzolettino dalla borsa e si asciuga gli occhi lucidi.

«Senti, mi dispiace tanto, Lucy, mi dispiace di non averti detto della moneta ma ti prometto che non è come sembra», balbetto.

Cerco di fare del mio meglio per ricompormi. Fatico a respirare.

«All’inizio dell’anno non avevo per niente fiducia nella mia capacità di prendere decisioni. Ero completamente perso. Ho iniziato a fare testa o croce sperando così di risolvere tutti i miei problemi e di trovare una direzione. La verità è che non so ancora cosa fare nella mia vita e nemmeno dove voglio farlo, ma dal primo momento che ti ho visto ho capito di essere certo di una cosa. Speravo che la moneta mi aiutasse a trovare me stesso e nel frattempo ho trovato te.»

A differenza di quanto accaduto con Emma o Olivia, non mi sono preparato.

Mi sono semplicemente reso conto, là in piedi nel bagno di Jade, di sentire più nostalgia del suo appartamento che di lei. Di essere grato per la relazione che abbiamo avuto, con tutti i suoi alti e bassi, ma che era finita. E soprattutto che Lucy è l’unica ragazza con cui voglio stare. Ho disobbedito per la prima volta alla decisione della moneta, ho lasciato subito Jade e sono partito per Parigi.

«Non ho avuto bisogno che la moneta mi dicesse di viaggiare per l’Europa alla folle ricerca di te, l’ho fatto… l’ho fatto perché non potevo concepire di non rivederti più. Avrò preso milioni di decisioni quest’anno, ma questa è stata di gran lunga la migliore. Ho vissuto momenti splendidi con te e quella sera ho lasciato Parigi solo perché mio nonno era in ospedale… è morto.» Fatico a dirlo.

«Oh, Josh. Mi dispiace tanto.»

«Non preoccuparti, ma mi ha fatto pensare, come hai detto tu al cimitero, che la vita è breve. E riflettendo sul rapporto che avevano i miei nonni, la vita del nonno non è stata bella per quello che ha fatto o non ha fatto, ma perché hanno avuto una persona speciale accanto per tutta la strada. Non so se tra noi funzionerà. Forse questo diventerà qualcosa, forse finirà in niente. Ma quello che ho capito è che, come tu non hai bisogno di conoscere la fine dei libri, io non ho bisogno di sapere come finirà questa storia. Voglio solo passare più tempo con te e vedere cosa succede.»

Persino io sono stupito dal modo in cui mi escono queste parole.

«Quindi, sì, questo è quanto», concludo senza più energie, facendo infine un respiro. «Che ne dici?» chiedo speranzoso.

Il negozio è completamente silenzioso, a parte il rumore del traffico parigino fuori. Passano forse solo alcuni secondi, ma mi sembrano un’eternità mentre attendo che Lucy risponda.

«Davanti a questo cosa posso dire?»

È lei ora quella che ha bisogno di un attimo per ricomporsi. Non riesce più a trattenere le lacrime. E io sto per imitarla.

«Mi dispiace così tanto per tuo nonno. Avrei voluto saperlo per poter essere presente. Adesso mi sento un verme per aver bloccato le tue chiamate…» Fa un profondo respiro. «Ma… devo saperlo: hai usato la moneta per scegliere tra me e un’altra ragazza?»

«No, ovviamente no. Mi dispiace che sia sembrato così, non è mai successo… da quando ti ho conosciuto sei l’unica a cui penso. È stato solo quando la mamma…»

«Basta parlare, Josh. Ti credo. Mi dispiace di non averti permesso di spiegarlo allora. Penso che temessi di essere di nuovo ferita e mi sono sentita una stupida per essermi fidata di te così in fretta, per essermi innamorata di te e di una specie di storia folle idealizzata, presumo di aver concluso che non ti conoscessi affatto.»

«Invece mi conosci. Quello che hai visto sono veramente io. Ti prometto che è tutto reale ma sono d’accordo, vorrei poterti conoscere di più, e che anche tu potessi fare lo stesso.»

«Anche a me piacerebbe», sorride.

Ricambio, sollevato. Faccio per abbracciarla ma il suo sorriso svanisce.

«C’è però un’altra cosa, Josh, che non sai. Il punto è che questa è l’ultima volta che chiuderò il negozio. Domani lascio Parigi. Torno a Londra per qualche settimana per passare il Natale con la mia famiglia e dopo viaggerò.»

Non può essere. Non dopo tutto questo.

«Dove andrai?» chiedo disperato.

«Comincerò dall’Europa e vedrò fin dove riesco ad arrivare. Non ho un piano preciso. Voglio vedere il più possibile del mondo.»

«Sai quando tornerai?»

«Non a breve. Non lo so… sei mesi? Forse un anno? Probabilmente quando finirò i soldi.»

Un anno?

Il mio grande gesto romantico e le mie speranze di ritrovarla vanno all’aria.

Restiamo in silenzio a meditare su tutto.

«Non voglio dover attendere un anno per rivederti per sapere se c’è qualcosa tra noi. Sento di aver già sprecato troppo tempo», affermo audace.

«Cosa proponi?»

«Che ne diresti di un compagno di viaggio?»

«Ma la tua vita? Non puoi mollare tutto e basta.»

«Posso e voglio. Il nonno in realtà mi ha lasciato un po’ di soldi nel testamento e penso che approverebbe se li spendessi vedendo il mondo, soprattutto con te.»

La guardo sperando disperatamente che mi dica di sì. Lei fissa per terra riflettendo.

«Credo che l’unica cosa giusta sarebbe lanciare in aria la moneta, non ti pare, Josh? Non è così che funzionano le cose?» Sfodera un sorrisetto malizioso.

La mia espressione speranzosa si trasforma in shock totale. Non amo più l’incertezza del testa o croce. Il cuore mi batte così veloce che mi sembra stia per esplodere.

«Dici sul serio?»

«Sì, dai, lancia la moneta. Testa… ci allontaniamo insieme verso il tramonto. Croce, ci diciamo au revoir per il momento.»

Prego la moneta per buon auspicio prima di tirarla. Mi sembra che si muova al rallentatore, fa i salti mortali come i ginnasti olimpici, rotea, piroetta e impiega un’eternità a ricadere sul mio palmo.

Non riesco quasi a decidermi a guardare il verdetto.

«Sì! È testa!»

In un negozio che ha visto nascere un’infinità di storie d’amore, nel centro del primo piano della libreria Shakespeare and Company, sulla Rive Gauche a Parigi, bacio infine la ragazza più bella del mondo.

Le sue labbra morbide sfiorano delicatamente le mie, curiose ed esitanti all’inizio, poi d’un tratto più sicure, più determinate, più decise. Mi passa le dita tra i capelli mentre la stringo forte tra le braccia non volendo più lasciarla andare. Ci fermiamo un istante a riprendere fiato. Le asciugo una lacrima sulla guancia, ci scambiamo un sorriso e con il sapore del suo burro di cacao alla menta ancora in bocca, mi avvicino per avere di più.

«Avrei forse dovuto controllare che fosse testa invece di fidarmi», scherza Lucy tra un bacio e l’altro.

«Cosa sarebbe accaduto se fosse uscito croce?»

«Sarebbe comunque uscito testa. Sapevo che eravamo destinati a stare insieme.»

«Molto coraggiosa a fidarti in questo modo del destino.»

«Lo dice chi si è fidato del destino tutto l’anno.»

«Dovresti magari aggiungere un post scriptum alla tua biografia di Tumbleweed per il negozio.»

Restiamo là abbracciati. Tutto sembra così naturale. Così giusto.

«È un sogno o ho appena visto un coniglio attraversare la stanza?» mi bisbiglia Lucy all’orecchio.

«Dov’è andato?» dico mentre ci scostiamo.

«In quell’angolo, credo.»

Mi chino e mi allungo dietro la pila di libri che sta indicando per recuperare il coniglio dal suo nascondiglio.

«C’è qualcuno che vorrei farti conoscere.»

Dopo averlo lasciato a casa nell’ultima mia avventura europea, ho pensato che si meritasse di venire in viaggio con me.

«Lucy, ti presento Jeremy. Jeremy, ti presento Lucy.»

«Wow, questo è Jeremy. È un piacere infine conoscerti. È così carino», esclama accarezzandolo. «Mi chiedo cosa pensi di tutto questo. Forse in effetti è meglio non saperlo. Pensa se non gli piaccio.» Scoppia a ridere.

«A chi non piaceresti?»

«Dici tutte le cose giuste, vero?»

«No, di solito no!» rido anch’io mentre continua ad accarezzare Jeremy. «Okay, basta. Sta rubando tutta l’attenzione. Non è lui che ti ha suonato magistralmente una serenata al pianoforte.»

«Magistralmente? Vieni un po’ qui, tu.»

Poso Jeremy per terra e lei mi attira a sé baciandomi ancora.

«Allora quale sarà la nostra prima meta?» chiedo.

«Ancora non lo so ma abbiamo ancora alcune ore della mia ultima sera parigina da goderci.»

«Forse potremmo andare dove volevo portarti l’ultima volta?»

«Sì, non serve che lanci la moneta. Andiamo.»

Lucy, Jeremy e io chiudiamo il negozio e ci incamminiamo lungo la Senna illuminata.